martedì 26 gennaio 2010

Commenti a caldo su Multwins.

Personal comment

Vorrei condividere con voi due cose riguardo al racconto appena giunto al termine.

La prima. La storia inizialmente era destinata ad un corto e come tale, aveva degli espedienti completamente diversi per spiegare parecchie cose della trama in cui qui ho inciampato parecchio. Il corto era puntato su una sorpresa finale e su un discorso ambiguo con un bellissimo sottofondo musicale di Beethoven "Chiaro di Luna". Qui ovviamene ho dovuto trovare altri espedienti.

La seconda cosa, comunque legata alla questione della migrazione da corto a racconto, riguarda il fatto che ho dovuto improvvisare un ampliamento di trama.
Trovo che non sia stato brillante come avrei voluto, ma prometto che il prossimo racconto sarà studiato in modo più accurato.

Ho due temi in testa, vedremo chi avrà la meglio.
Dopotutto, uno è armato di pistola, l'altro no, solo di un carillon.

Buona lettura.

The final test - End

Multwins - Part 5 Last

Senza rendersene conto, aveva ucciso il soggetto iniziale – quello che aveva dato il via a tutta quell'incredibile storia. La stessa persona, invaso chissà da quale triste convinzione, annotò tutto il necessario allo svolgimento di quell'attività di “pulizia” nelle prime pagine del libro che si portava appresso.
Proprio nelle prime righe scriveva “Io ho cominciato tutto questo, ma non sono certo che sarò io a terminarlo. Probabilmente non lo merito dopo tutto quello che ho fatto. Tu che hai fra le mani queste parole, siediti e leggi attentamente. Se sei arrivato a questo punto, vuol dire che io sono morto, e tu, mio “clone”, stai per prendere il mio posto”.
Nel libro raccontava di come, i suoi esperimenti visionari sulla fisica delle stringhe lo portarono a scoprire e a toccare il multiverso, composto da quarantadue universi paralleli, contaminandolo involontariamente con la sua presenza. Non credeva fosse una cosa grave fino a quando non si rese anche conto che in nessun universo parallelo esisteva la stessa persona; da qui l'esperimento effettuato sulle cavie da laboratorio.
Il risultato fu scioccante. La cavia che contaminava il multiverso, moriva quarantadue volte più velocemente di una cavia gemella, a meno che non si uccidevano le altre copie per riportare le anime indietro.
L'asterisco, che correlava la parola anima, indicava a fondo pagina che si trattava solo di un termine confidenziale per indicare qualcosa di molto più complicato e scientifico, e che non si trattava agli effetti della parte spirituale della persona. Per Angelo, che non era lo scienziato visionario che aveva fatto la scoperta, quelle strane sagome umanoidi e luccicanti che comparivano stampate sulla pellicola della speciale serie 600 Polaroid che si portava dietro erano davvero anime. Qualsiasi cosa avrebbero provato a raccontargli.
Angelo aveva paura che non fosse l'unico che stesse perpetrando quell'obbiettivo di pulizia. Non sarebbe stato capace di sopravvivere ad una sorpresa come quelle che lui serbava agli altri cloni. Era stato parecchio fortunato quella sera, e così non lo sarebbe mai più stato.
Smise infine di fissare assente il medicinale mentre ripensava al passato.
Armato di tutto punto si diresse verso il letto e, dopo essersi cambiato e aver indossato una semplice tuta, ci si sdraiò sopra.
Tirò su la manica sinistra quasi fino alla spalla. Con velocità e senza pensarci, riuscì a stringere forte il laccio emostatico con l'aiuto dei denti. Oramai l'aveva fatto parecchie volte.
Doveva essere veloce. La prima volta che assunse l'Orezemina, si iniettò l'anestetico con quasi un minuto di ritardo e la cosa gli costò parecchio. Sia mentalmente che fisicamente.
Anche se non prendessimo in considerazione la sensazione di milioni di aghi che affondavano con la violenza di una coltellata, ciascuno su ogni millimetro quadrato della pelle, contemporanea all'impressione che delle delle mani artigliate stessero facendo a pezzi il suo torace velocità, il suono delle sue urla, distorte dal cambio di piano, e quello che furono capaci di vedere i suoi occhi in quegli istanti, furono la cosa più terrorizzante.
Non voleva riprovarlo. Piuttosto avrebbe accettato la morte, con sollievo.
Si guardò il braccio destro. Sembrava un drogato. Le traccie di tutte le iniezioni di Propofol erano ancora li, belle in vista. Non sarebbe più stato capace di vestirsi in maniche corte in pubblico per il resto della vita.
Strinse il pugno a ripetizione per una dozzina di volte bloccava la capsula di Orezemina tra i denti e preparava la siringa sulla vena.
Quando era il braccio assunse una colorazione quasi scarlatta, inserì l'ago nella pelle, alla ricerca di un pezzo di vena sana. Tirò leggermente lo stantuffo della siringa per vedere se aveva preso correttamente la mira. Il mischiarsi rapido del sangue con l'anestetico gli diede la conferma che stava cercando.
Inghiottì la pillola e premette lo stantuffo. Terminata la lenta corsa del pistoncino che sembrava infinita, estrasse la siringa con rapidità e scagliò a terra. Prese il cerotto pronto sul comodino e lo sbatté sulla ferita. Respirò a bocca aperta a fondo un paio di volte in piena velocità mentre sentiva i battiti del cuore che stavano cominciando a salire vorticosamente.
Sfilò il laccio emostatico con furia e attese.
Come una fiamma che risale piano, il Propofol bruciò la sua lucidità un centimetro alla volta, facendolo sprofondare in un sonno senza sogni, ancora una volta.

lunedì 25 gennaio 2010

The final test - Part 1

Multwins - Part 4

La visione del suo appartamento dove l'attendeva la terribile procedura, lo riportò alla cruda realtà in un colpo solo. Rapido e violento. Tutto quello di cui si era dimenticato, guardando il paesaggio e distraendosi con la musica, era di nuovo un peso che gli gravava sulle spalle, e ad ogni volta questo diventava sempre più pesante.
Il rumore della porta di casa che si chiudeva dietro di lui e che sarebbe dovuto essere sinonimo di un gradevole ritorno, veniva da lui sempre più associata al rumore di una cella carceraria.
Si recò in bagno. Lasciò il borsone per terra ed estrasse il libro. Adesso, accanto alla foto scattata la mattina, poteva affiancare quella scattata mezz'ora prima. Fissava l'istantanea con le lacrime agli occhi. Continuava a non crederci, ma questa “realtà” doveva avere ragione in qualche modo a lui incomprensibile.
Dove non c'era assolutamente niente di più che un muro per un occhio umano, la foto era stata capace di catturare l'essenza di ciò che cercava e cacciava con così tanta paura.
L'anima.
Un altra, intrappolata contro la sua volontà e nella totale incredulità dell'evento, nel libro che si era ritrovato costretto a riempire per paura. Era arrivato solo a metà e non sapeva se sarebbe stato capace di riempire tutte e quarantadue le facciate.
Ripensò a quel momento, in cui si trovò lui, faccia a faccia con l'assassino. Era stata una notte difficile, tra incubi, indigestione e alcool. Era in una condizione pietosa ed era tutt'altro che lucido; incapace di rendersi conto se i conati di vomito, le corse al bagno, i quattro Muppet giganteschi che lo picchiavano senza tregua fossero sogni o realtà. A ripensarci adesso era quasi certo che i quattro pupazzi capitanati da un assatanato Kermit fossero un sogno, ma in quel momento non era sicuro di niente. Anche quando un seccatore armato di Walter PPK silenziata gli bussò alla porta per assassinarlo, non fu capace di distinguere la realtà dal sogno. Carico di rabbia per le percosse dei Muppet, sfruttò l'occasione per spaccare il naso al tizio, disarmarlo e sparagli un paio di colpi addosso. Non fece la faccia idiota di tutti gli altri. Non in quel momento per lo meno. Quel volto idiota comparve la mattina dopo, quando capì che quel corpo a terra non era un sogno.
Trascinò dentro il corpo e il borsone che si portava appresso, e cominciò a perquisirlo.
Ci volle qualche ora perché la situazione gli fosse chiara e nonostante tutto continuava a non credere a ciò che si trovava di fronte.
Non voleva ripensare a tutto quello che accadde, avrebbe peggiorato la sua già flebile motivazione. Girò pagina e poggiò il libro sul lavello del bagno. I fogli erano bianchi e candidi.
Alzò la tavoletta per una veloce pisciata. Verde. Di nuovo. Gli effetti collaterali del Propofol cominciavano ad essere troppo presenti. Doveva rallentare il ritmo, non aveva intenzione di lasciarci le penne per quello dopo tutta quella fatica.
Scosse la testa e si girò verso il borsone. Prese: Orezemina, Propofol e un laccio emostatico. Guardò la confezione dell'Orezemina. Doveva solo ingerire una di quelle pillole. “Una sciocchezza” mormorò fra sé e sé, mentre gli tornarono in mente le parole del libro.
L'Orezemina, se assunta da sola, provoca una morte certa e dolorosa. L'unico modo per sopravvivere e godere dell'effetto finale, è superare il momento cruciale con l'aiuto di un anestetico. A causa dei problemi di dipendenza dati dai barbiturici, la mia scelta è ricaduta sulle nuovissime benzodiazepine. Molto più tollerabili dall'organismo. L'iniezione di anestetico deve essere fatta contemporaneamente con l'assunzione del farmaco transitivo”.
Si era premunito di tutto. Le dosi dovevano essere state quarantadue per ogni medicinale. Ma quando toccò a lui, erano rimaste solo trentatré.
Tornò a pensare al giorno nel quale cominciò questa sua nuova esistenza. All'errore di aver fatto passare solo un minuto dall'assunzione dell'Orazemina e l'iniezione dell'anestetico - era quasi morto dal dolore; al fatto di aver dovuto cercare quell'anima con diverse ore di ritardo rispetto ai 4 minuti canonici necessari per farla uscire dal corpo; al momento in cui realizzo che il cadavere che giaceva sul pianerottolo di casa prima, e nel suo soggiorno poi, quell'uomo che gli stava per puntare la pistola addosso, e che lo avrebbe ucciso se solo avesse potuto, non era altro che sé stesso.

giovedì 14 gennaio 2010

Say "cheese"

Multwins - Part 3

La vittima rimase imbambolata a fissare la pistola puntata contro il suo viso, mentre lasciava la presa dalla porta.
Angelo sparò due colpi a sangue freddo, indifferente di fronte al risultato ottenuto.
Raccolse il borsone da terra ed entrò nell'appartamento, chiudendosi la porta alle spalle. Superato il corpo che giaceva esanime a terra, lanciò il borsone sul divano e prese la colazione abbandonata sul tavolo. Non aveva ancora mangiato e aveva fame.
Appena si sedette sul divano, gli venne in mente la piccola sveglia che aspettava quieta tra i suoi effetti personali. La estrasse dalla borsa accanto a lui e impostò il timer a quattro minuti.
Spense la televisione e per dedicarsi ai quei favolosi biscotti – i suoi preferiti – ma il ticchettio della sveglia non gli diede tregua. Lo scandire ritmico di quei quattro minuti, erano la seconda più grande sfida che doveva affrontare regolarmente. Quel flebile suono ripetitivo era capace di far riaffiorare pensieri che credeva di aver seppellito sufficientemente in profondità ma che regolarmente riuscivano a scavarsi una strada nella sua mente, tornando ad assaltare la sua già debole convinzione in ciò che stava attuando.
Scosse la testa, seccato e lasciò perdere la colazione. Non ce la faceva; lo stomaco era ormai chiuso e la fame, che giustamente gli aveva ricordato di essere a digiuno, scomparve.
Prese dal borsone la seconda polaroid. Questo particolare modello della serie 600, oltre ad una strana modifica sulla lente dell'ottica, era fornito di un tipo di pellicola unica nel suo genere – capace di catturare qualcosa di impercettibile per l'occhio umano.
Angelo cercò di sfruttare proficuamente i minuti rimanenti riposandosi sul divano. Rilassò i muscoli della schiena, allungò le gambe e chiuse gli occhi. La cosa avrebbe anche funzionato bene se non fosse stato per il debole rumore metallico emesso dalla sveglia. Ogni scatto, scandito con diligenza da quella piccola trappola di ottone, non faceva altro che aumentare la tensione in lui. Sentiva il suo respiro diventare sempre più presente e rumoroso; il suo battito cardiaco aumentava la frequenza e tornava a battergli in testa; la sudorazione fredda ricominciava, accompagnata da brividi lungo la colonna vertebrale.
Passati tre minuti di febbrile lotta con se stesso, il suono della sveglia fu – alle sue orecchie – una soave melodia di liberazione. Scattò in piedi e si girò verso il cadavere, inquadrò l'area sopra di esso come se la vittima fosse stata in posizione eretta, e scattò la foto.
L'istantanea fece subito capolino dai meccanismi della macchina. La prese in mano e attese, questa volta con impazienza, il risultato. Alla sua vista, sospirò profondamente.
Finito il lavoro, chiuse la porta dietro di lui. La foto era stata scattata e aveva preso quello che doveva portare via. Un nuovo triste tassello di una collezione che non avrebbe mai voluto avere in custodia.
Nell'uscire non poté evitare di cadere con l'occhio sul cadavere. Sentiva dentro di se che la sua motivazione quasi mancava, tanto stava logorandosi colpo dopo colpo, cadavere dopo cadavere. Cosa lo stava costringendo a comportarsi così? Il fatto che potesse essere lui il prossimo? Ma come poteva essere sicuro che gli altri avrebbero agito? Dopotutto successe solo una volta.
Gli tornò in mente l'espressione che fece prima di morire. Rifletté “Tutti quanti muoiono con la stessa stupida espressione sul volto. Tutti”. Possibile che avesse fatto anche lui la stessa faccia incredula?
La semplice risposta che cercava, affiorò tra i suoi pensieri mentre camminava verso l'auto.
Paura.
Aveva più paura di fermarsi che di continuare. Questa era l'ultima cosa che lo mandava avanti.
Salì in macchina e partì alla volta del suo appartamento con la mente focalizzata alla terribile sfida, la più impegnativa, che lo aspettava tornato al suo alloggio: la procedura alla quale si sarebbe dovuto sottoporre per l'ennesima volta.
“Goditi questa mezz'ora di pace che ti rimane Angelo”, si disse, mentre guardava il paesaggio cercando un po' di distrazione.

mercoledì 13 gennaio 2010

Modifiche

Personal comment

Intanto, anche se palesemente in ritardo, porgo a tutti i miei auguri di buon Natale e buon anno nuovo.

Ho rivisto il racconto di Angelo (parte 1 - parte 2), che ho intenzione di finire per questa settimana.
Spero che questo nuovo anno mi convinca a perseguire con più fermezza il mio obbiettivo.

Vedremo.

Per il resto,
Buona lettura.