martedì 12 aprile 2011

Le vittime di Murphy

La dura legge è sempre legge

Un altro volo di rientro e tutto lo schema si ripeteva con grande precisione come per i sette anni precedenti, nonostante la media di due voli internazionali al giorno, cinque giorni su sette, per tutte le settimane dell’anno.
Passavo il controllo della carta d’imbarco, il metal detector, facevo passare il bagaglio a mano, lo aprivo, lo facevo ispezionare – non senza le solite domande in merito – e attendevo al gate, questa volta il numero sedici, l’imbarco per il mio volo.
Si profilavano ancora venti minuti di attesa prima che cominciassero a far salire i passeggeri e decisi di leggere il giornale per ammazzare il tempo; la scrematura dei possibili candidati a starmi vicino per questo volo era già andata a buon fine, trovando tre persone che possedevano tutti i requisiti necessari. Questa volta era stata anche più facile del previsto anche se non ho mai fallito in vita mia. Ho un dono per questa cosa.
Ognuno di noi nasce con un attitudine. Qualcuno è fortunato; la scopre fin da piccolo e coltivandola con passione riesce a diventare un maestro nel proprio campo. Un sacco di sportivi, artisti o scienziati famosi hanno percorso questa strada. Altri meno; scoprono la loro attitudine tardi. Di questi, alcuni riescono anche a trovare la forza di volontà e la capacità di recuperare gli anni persi mentre tutti gli altri si limitano a guardare da bordo campo quello che accade in un mondo del quale si vorrebbe far parte. I rimanenti portano con sé nella tomba il loro dono, senza riuscire a scoprire quale fosse quella caratteristica innata che la natura gli conferì al momento della nascita per fargli capire che non erano stati dimenticati. Perché tutti siamo stati toccati da lei per farci sapere che siamo nati con uno scopo nella vita. Ma nel mio caso, vi assicuro, avrei davvero voluto che si fosse dimenticata di me.
Non fraintendetemi, esistono un sacco di capacità ammirevoli. Una volta ebbi modo di incontrare un ragazzo che era capace di trovare l’acqua nel sottosuolo con l’ausilio di un semplice bastone di legno. Era qualcosa che aveva scoperto da piccolo e che aveva affinato con il tempo per renderla infallibile. Mi disse che quell’abilità si chiamava rabdomanzia.
Per il mio di dono, invece, non esiste un termine specifico, ma sono quasi certo che esista una legge di Murphy in merito e credo che porti anche il mio nome. Dovrebbe recitare pressappoco così: Murphologia – Sezione Frequent Flyer – Legge di McAllister sulla compagnia. “Se stai per cominciare un lungo viaggio e vuoi sapere chi ti siederà vicino, cerca al gate d’imbarco la persona più molesta, maleodorante, antipatica e brutta… sarà lui”. Questa ha funzionato per ogni viaggio della mia vita nonostante non mi sia esercitato una sola volta; anche quando ho provato con tutte le mie forze a contrastarla ha sempre trovato il modo per ribaltare la mia scelta e compiere il suo volere.
Per il volo di oggi i candidati erano tre: un grassone barbuto con un completo di velluto marrone che – oltre ad avere un aspetto parecchio inquietante – era capace di assordare chiunque gli stesse vicino solo tirando su con il naso, una racchia anoressica sulla quarantina con gli occhi sporgenti in cerca di qualcuno con cui lamentarsi delle innumerevoli storia finite male ed un adolescente parecchio teso – probabilmente al primo volo – con la tensione dipinta sotto le ascelle ed il piede d’atleta che, sommato alla brutta abitudine collettiva di togliersi le scarpe in aereo, avrebbe dato la possibilità a tutti i vicini di condividere con lui il suo problema.
Niente di preoccupante, erano nello standard; mi era capitato di molto peggio nella vita. Per soggetti del genere mi ero fatto il callo: erano l’equivalente di una rassicurante routine quotidiana.
Più si avvicinava il momento dell’imbarco dei passeggeri e più cominciai a credere che vicino a me si sarebbe seduta l’anoressica delusa. Con gli altri due mi sarei dovuto sorbire odori e rumori sgradevoli; una pena che mi veniva afflitta involontariamente e che sarei riuscito a compensare, almeno in parte, con i sistemi di intrattenimento di bordo. Ma con lei non avevo la certezza che avrei potuto farlo; era l’unica che sarebbe stata capace di privarmi di quell’unico sollievo tediandomi attivamente per tutto il viaggio, probabilmente con discorsi noiosi e con personali teorie su quanto fossero stronzi gli uomini. Se l’avessi ignorata non avrei fatto altro che avvalorare la sua tesi e dargli ulteriori motivi per argomentare con me in merito. Sarebbe stato molto importante reagire con calma, con una serie di risposte calibrate, per superare quel campo minato senza lasciarci pezzi o morire nel tentativo. Era un sistema che aveva avuto successo in altre occasioni.
All’apertura dell’imbarco ero già in ottima posizione e riuscii a passare il controllo biglietto per primo. Salii sull’aereo e, salutando gli assistenti di volo, mi diressi verso il mio posto lato corridoio. Se posso scelgo sempre un posto lato corridoio, mi da la possibilità di fuggire senza disturbare il vicino; se non ne trovo nemmeno uno libero – cosa difficile – ne prendo uno attaccato al finestrino. Finire in una fila centrale equivaleva a finire con avere affianco non uno, ma due molestatori. Questa è l’unica contromisura efficace che posso adottare per limitare i danni.
Dopo aver riposto il bagaglio nello scompartimento sopra la mia testa, mi lasciai andare sul sedile ad occhi chiusi, volendo mantenere la “sorpresa” intatta fino all’ultimo istante. Avrei avuto le sei ore successive per averci a che fare.
Con il passare dei minuti percepii come i tre molestatori designati occuparono dei posti nelle file precedenti o successive alle mie. Non ebbi il tempo di capire cosa stesse succedendo che una voce interruppe i miei ragionamenti.
«Scusi?»
Quella voce angelica mi fece sobbalzare sul posto. Aprii gli occhi e scoprii che un bel viso dai capelli corvini mi stava osservando impaziente.
Nonostante la confusione mentale di quel momento, cercai di fare un sorriso rassicurante dopo il «Prego». Dall’espressione che fece lei nel vederlo, supposi che non riuscii a far nient’altro che un ghigno da maniaco. Mi feci il più piccolo possibile per farla passare e la osservai mentre mi sfilava davanti per prendere posto. Era una delle donne più attraenti che avessi mai visto.
Finito di allacciarsi la cintura di sicurezza, cominciò a giocherellare con il sistema d’intrattenimento di bordo. Nel frattempo la mia mente si spremeva alla ricerca di una possibile motivazione logica dietro a questo evento anomalo, ottenendo come risposta cinque ipotetiche soluzioni. La prima: dopo tutta la fatica di questi anni di viaggi con accanto le persone più fastidiose del pianeta, eccoti premiato per tutta la tua fatica; goditi questo momento di gloria. La seconda: Questa è l’eccezione che conferma la regola; mettiti il cuore in pace, dal prossimo volo si ricomincerà. La terza: C’è stato un errore; lei ha preso il posto di uno dei candidati e fra poco tutto tornerà come previsto. La quarta: questa è davvero la persona più molesta del volo, quindi occhi aperti, molta cautela in quello che dirai e attento a dove andrai a finire. Quinta: lei ha una legge di Murphy più potente della mia e io sono la sua punizione.
La mia tranquilla, seppur spiacevole, routine quotidiana era stata spezzata senza il minimo preavviso e non mi sarei rilassato fino a quando non avessi capito quale fosse la soluzione all’anomalia. Se volevo scoprirlo avrei dovuto fare io il primo passo e quindi cominciai a pensare un argomento di conversazione che fosse il più naturale possibile. Non sarei riuscito a sopportare di rimanere in quello stato per tutte e sei le ore di volo.
Mentre scartavo domande banali come “È il tuo primo volo?” o peggio “Sei una frequent flyer?” la sua voce si fece strada sopra il calmo sibilo dei motori che cominciavano a smuovere l’aeromobile sulla pista.
«Sei in viaggio di lavoro?»
«In un certo senso… il mio lavoro mi obbliga a volare tanto, il tuo?»
«Solo una volta»
«Come?»
«Ho detto: solo una volta»
«Nel senso che è la prima volta che voli per lavoro?»
«No, nel senso che questa sarà l’unica per la quale volerò per lavoro»
«Permettimi, che lavoro fai?»
Lei non riuscì a frenare un sorriso malizioso prima della risposta «Lavoro per una multinazionale che lavora un po’ dappertutto»
«Di che vi occupate?»
Rifletté per qualche secondo portando gli occhi verso l’alto con fare pensieroso.
«Politica», rispose.
«Politica?»
«Politica», annuì.
«E come mai diretti a Caracas?»
«Dobbiamo andare a recuperare dei colleghi»
«Recuperarli? Come mai? Non… non possono prendere un aereo da soli?»
«Diciamo che dobbiamo andare lì per sbrigare delle pratiche. Ecco vedi… non possono lasciare il paese se non hanno un… visto e stiamo andando lì per recuperarglielo»
«Interessante» risposi, anche se mi ero accorto che qualcosa non tornava a livello legale.
«Tu che lavoro fai?»
«Uno dei più noiosi del mondo. Fai conto che gran parte del mio tempo è speso ad attendere»
«Non sembra un gran lavoro»
«No, non lo è… anche perché di solito attendo sempre senza che poi succeda niente»
«Uh, sembra proprio un lavoro del cazzo»
Mi scappò una risata, «Beh, non mi lamento. C’è di peggio… c’è sempre di peggio»
In quel momento i motori vennero portati a piena potenza e fecero correre l’Airbus sulla pista fino al decollo. A seguire ci furono i rumori di carrelli, flap e slat che si ritraevano. Infine le orecchie si abituarono al rumore di fondo.
Lei guardava incantata il mondo che si faceva più lontano ad ogni istante. Prima che potessi riattaccare discorso mi disse che voleva guardare un film e da quel momento in poi ci furono due ore di totale tranquillità nell’aereo. Quanto a me e alla mia risposta a quell’anomalia della mia legge di Murphy, non sapevo ancora a quale ipotesi credere; forse mi stavo preoccupando troppo. Lasciai che le cose scorressero e nel frattempo socchiusi gli occhi per gustarmi una pace appena scoperta.

Mi svegliò e il primo pensiero che mi passò per la mente fu “Dannazione, non dovrei appisolarmi”. Il suo viso d’angelo mi stava fissando con un’espressione carica di ansia.
«Che succede?»
«Devo andare in bagno e…» con un gesto mi fece capire che non c’era spazio.
«Oh, scusami», mi alzai e la feci uscire.
Tornai a sedermi e la guardai procedere lungo il corridoio in direzione della toilette. Notai subito come non si diresse verso i bagni più vicini – un paio di file dietro i nostri posti – ma si diresse verso i bagni a prua. Raggiunta la penultima fila prima della toilette, si fermò a parlare con un’altra persona. Con questa si scambiarono giusto due parole per poi girarsi e assieme mettersi a parlare con un altro; questo a sua volta si girò guardando in fondo al corridoio, alla ricerca qualcosa. Una quarta persona, da lì dietro, fece un cenno che venne corrisposto dagli altri tre. Lei annuì per poi riprendere a camminare verso la prua dell’aereo quando – un attimo prima che la tenda divisoria della zona servizi la coprisse completamente – la vidi estrarre una pistola Glock dalla sua fondina nascosta sotto la giacca.
Il primo pensiero che mi passò per la mente fu dirottamento.
Il secondo pensiero mi accese un sorriso amaro. Si chiamerà Legge di Murphy per qualcosa, no?
Il terzo pensiero mi aprì il sorriso da un orecchio all’altro. Ve l’avevo detto che sono uno sceriffo dell’aria?