giovedì 30 giugno 2011

Un gatto di nome Caronte - 1/X

Versus - Parte 1/X

Nella vita di Nicola esistevano due tipi di giornate: quelle sbagliate e quelle di ferie. Il trillare della sveglia gli ricordò che non sarebbe stata una bella giornata.
La mano zittì la suoneria per lasciare il posto al giornale radio. Mentre il braccio tornava a cascare sulla coperta, gli occhi fissavano il soffitto della stanza. Davanti a lui si prefiggeva un’altra giornata di merda, in un posto di lavoro che odiava, immersa in una vita grigia e in una città altrettanto allegra e colorata. La solita routine.
Si mise a sedere sul letto. Era solo martedì ma sperava che fosse già sabato. Diede un’ultima occhiata alla sveglia per farsi coraggio e andò in bagno a lavarsi mentre la radio era pronta per ripartire con il notiziario, ormai uguale da quasi due mesi a questa parte.
Era di fronte allo specchio, pronto per radersi con la schiuma ben distribuita sotto al mento, quando puntuale partì il servizio colpevole di aver monopolizzato l’informazione italiana nell’ultimo periodo.
I manifestanti anti Versus continuano l’animata protesta davanti a Montecitorio, raccogliendo firme per un referendum atto ad abolire le partite della misteriosa società sul suolo italiano. Ma governo, maggioranza e opposizione sono in accordo sul fatto la Versus continuerà ad operare come attualmente fa in molti altri paesi d’Europa e degli Stati Uniti. L’Italia – comunica il ministro dell’interno Pretini – è un paese maturo e sarebbe moralmente inaccettabile rimangiarsi la parola dopo gli investimenti effettuati dalla Versus sul suolo nazionale. Un ennesimo appello alla ragione arriva dal vaticano tramite il cardinale Gianello, portavoc—
Spense la radio con il dito ancora umido e tornò a farsi la barba. Era stufo di sentire quel disco rotto. Il popolo avrebbe potuto protestare quanto voleva – pensava Nicola tra i colpi di rasoio – tanto non sarebbe servito a niente. Come sempre.
Il resto della sua mattinata era scandita ad un ritmo ben preciso; quell’ottimizzazione dei tempi gli permetteva di dormire qualche minuto in più. Subito dopo essersi lavato, andava nel cucinino per scaldarsi il caffellatte da consumare con una singola fetta biscottata. Senza nemmeno aver finito d’ingoiarla, si alzava per andare a vestirsi per la giornata lavorativa. Per oggi aveva preparato: vestito nero, camicia bianca e cravatta arancione. Lavarsi i denti era l’ultima attività prima di prendere la borsa con il computer ed uscire di casa.
Si lasciò l’appartamentino alle spalle mentre i passi che lo portavano all’uscita risuonavano nel corridoio e lungo le scale, persi nel vuoto delle pareti sbiadite del palazzo. Uscì dal portone per entrare nel pigro traffico mattutino di Gorizia, dove il silenzio dell’edificio ancora addormentato, venne sostituito dall’incessante rumore di fondo della città. Guardò l’ora. Era due minuti in anticipo e poteva camminare con tutta tranquillità verso la fermata a un centinaio di metri da casa.
Il corso Italia, se percorso sull'autobus dal teatro alla stazione dei treni, durava dalle due alle tre canzoni, in base all'umore della coppia di semafori che lo interrompevano. Da più di un anno Nicola rubava un passaggio quotidiano al servizio pubblico; il controllore saliva sempre alla fermata della stazione, dove lui scendeva per attendere la corriera della linea 38. Quei cinque minuti che lo separavano dalla seconda parte del viaggio, facevano la sua giornata. Una delle due cose che riempivano la sua vita si mostrava. Stefania.
Si erano conosciuti a casa di un loro amico comune – Simone – durante la sua festa di compleanno l’inverno appena finito. In mezzo alla folta schiera di amici presenti l’aveva notata subito, risaltava come solo un dettaglio a colori in una foto in bianco e nero sa fare. Portava i capelli castani ondulati tagliati poco sopra le spalle, accompagnati da due occhi smeraldo dallo sguardo furbetto e un paio di perfette labbra rosse; talmente uniche che nemmeno una foto sarebbe riuscito a dare loro giustizia. Indossava un tubino del colore delle sue iridi che portava in modo incantevole, senza nessun accenno di vanità. Fin da subito con lui si era dimostrata cordiale, simpatica e decisa. Forse fu proprio grazie al suo carattere accomodante che Nicola riuscì a passare con lei l’intera serata, isolandosi dal resto del mondo e scoprendo quante cose avessero in comune, nel bene o nel male. Saltò fuori come entrambi vivevano da soli a causa di una situazione familiare complicata e di come il loro lavoro fosse privo sia di aspettative per il futuro che di soddisfazione; di come fossero sottopagati e con poco tempo libero a disposizione per sé stessi e per le proprie passioni. Si sentivano sottratti della loro stessa vita e niente di quello che ottenevano sembrava giustificare quella fatica. Tutti e due non avevano più nulla da perdere; solo da guadagnare. Fu quella considerazione che fece scattare in Nicola quel attacco di sincerità, quel momento di apertura che lo fece parlare senza freni, indubbiamente aiutato dall’alcol con cui stava festeggiando.
«Dimmi, cos’è che ti manda avanti?», Nicola portò lo sguardo sul viso di Stefania. «Vedi, pensavo che essendo in una situazione simile, mi chiedevo—»
«Sai, non me l’ero mai fatta questa domanda», gli rispose continuando a guardare giù dal balcone con il bicchiere ormai vuoto in mano. Si concesse un minuto di tempo per riflettere, per infine rispondergli guardandolo negli occhi.
«Ci penserò su. Te lo dirò la prossima volta che ci vediamo, va bene?»
«D’accordo, te lo concedo. So che non è una domanda facile» sperava che almeno lei, in quello, fosse diversa da lui.
«Tu invece?»
«È un segreto» rispose solenne.
«Scemo» disse toccandogli con il gomito il fianco.
Risero per poi continuare a scherzare dentro in modo da non dimenticare di festeggiare l’amico che stava per far entrare la torta nel salone.
Era stata una notte magica, la più bella che avesse mai vissuto. Sperava comunque che non rimanesse tale per tutto il resto della sua vita. Rimpiangeva come fosse riuscito ad arrivare a tanto senza però avere il coraggio di chiederle di rivedersi nei giorni successivi. Dopo quella fantastica ‘occasione persa’ tutte le volte che l’incontrava per caso, si era limitato a dirle un timido «Ciao, come va?» senza mai avere il coraggio di andare oltre. Forse fu davvero l’alcol il vero protagonista di quella serata; artefice di quei dialoghi tanto sinceri e capace di sciogliere quel nodo che normalmente lo costringeva a stare sulla difensiva con le donne. Si sentiva un cretino a non aver ancora fatto il passo successivo.
La osservava quasi tutte le mattine raggiungere la stazione per andare a lavorare a Trieste. Rivedere quegli occhi verdi e quel paio di labbra perfette – anche se imbronciate in una smorfia di tristezza che l’accompagnava dall’autobus al treno – erano il più bell’augurio di buona giornata che avesse mai potuto sperare. Quando la corriera per Udine si presentò in anticipo sulla rotonda, capì che oggi avrebbe dovuto farne a meno. Dell’autobus e di Stefania, non c’era ancora traccia.
I pendolari salirono sullo Scania blu e argento, andandosi a sedere nei posti vicino alle uscite. Nicola prese posto nella prima fila, si tolse gli auricolari, estrasse da una tasca della borsa Dune e lo riaprì sulla pagina dove l’aveva lasciato per tornare ad immergersi nella lettura.