Materia arancione
Con quella corsa, io e Jennes stavamo infrangendo ogni record sulla tratta Centrale Purificazione Acque – Ospedale, qualcosa degno di essere menzionato negli annali dell'area di alienazione gialla; se mai fosse esistito. A passo di marcia, e con le dovute precauzioni durante il tragitto, quel pezzo di strada si prendeva un'ora e mezza per essere percorso; noi ‒ carichi come muli di reperti gialli e con un inarrestabile di almeno 90 chili su di una barella improvvisata per l'occasione ‒ stavamo arrivando a destinazione in meno di cinquanta minuti dalla partenza.
Con quella corsa, io e Jennes stavamo infrangendo ogni record sulla tratta Centrale Purificazione Acque – Ospedale, qualcosa degno di essere menzionato negli annali dell'area di alienazione gialla; se mai fosse esistito. A passo di marcia, e con le dovute precauzioni durante il tragitto, quel pezzo di strada si prendeva un'ora e mezza per essere percorso; noi ‒ carichi come muli di reperti gialli e con un inarrestabile di almeno 90 chili su di una barella improvvisata per l'occasione ‒ stavamo arrivando a destinazione in meno di cinquanta minuti dalla partenza.
Ormai
procedevamo all'unisono, perfettamente sincronizzati. Destro,
sinistro, destro, sinistro, e
oltre i nostri passi sull'erba cresciuta troppo a fianco della
strada, l'unico altro suono era il fiato che correva dentro e fuori i
polmoni bruciandoceli. La vista dell'ospedale provocò in
entrambi un enorme sollievo psicologico, ma poco servì per il corpo;
il diaframma e le braccia rimanevano in fiamme e l'adrenalina era già
esaurita da tempo.
Quella struttura striminzita la
chiamavano tutti l'ospedale, ma non sapevo quanto potesse esserlo
stato realmente prima del disastro; fin dalla prima volta mi era
sembrato troppo piccolo. Ignoravo quante altre strutture del genere
si potevano trovare nel mezzo della campagna della Moravia
meridionale, ma era molto più che sufficiente per l'allestimento di
un laboratorio clandestino dentro l'Area. Per il 'direttore' del
laboratorio, il Dott. Grishenko, era un vero lusso quel angolo
sperduto. Se solo avesse avuto anche i circuiti del gas funzionanti e
la corrente elettrica sarebbe stato perfetto. Per il primo problema
non si poteva ancora fare molto, quanto per il secondo, si
accontentavano di un grosso gruppo elettrogeno a gasolio delle
dimensioni di un container da 20 piedi nel seminterrato che occupava
il posto dell'ambulanza.
Entrammo di corsa dal doppio portone
spalancato, superando sia i banchi delle accettazioni sfondati che il
disordine delle panchine d’attesa rovesciate alla rinfusa per
l’atrio, per dirigerci al piano interrato dove c’era la sala
preoperatoria. Eravamo certi che Grishenko ci stava aspettando lì.
Cominciammo a scendere per le scale
d’emergenza. Le braccia avevano provato a convincermi di mollare
quel carico antropomorfo da quasi un quintale già una decina di
minuti fa, ma nonostante tutto ero riuscito a resistere fino alla
fine. Il bruciore era tale che mi sembrava di averle perse in
battaglia. Sapere che eravamo arrivati non aiutava molto. A metà
dell'ultima rampa il mio corpo diede atto ad un gesto di protesta
facendomi mancare un gradino. Finii con battere il culo su un gradino
mentre Jennes ‒ continuando la discesa ‒ oltre a schiacciarmi il
corpo della bestia contro, mi cadde addosso. Il fracasso e le
imprecazioni avvisarono il medico del nostro arrivo. Aprì la porta
che dava sulla tromba delle scale che avevamo già riassettato il
carico sulla barella.
«Oh, finalmente!», esordì tradendo
impazienza.
«Ah certo!» il fiatone rompeva la
voce con cadenza regolare «Scusaci… se non siamo… arrivati
puntuali… con questo bastardo… da cento chili… sulle spalle!»
«Avrei voluto… vedere te» incalzò
Jennes «Piuttosto… dove lo molliamo?»
«Là, su quel lettino.», ci indicò
un letto mobile dietro di lui.
Lasciammo il bastardo con gran sollievo
per le braccia di entrambi. Non le sentivo più.
«Adesso spiegatemi per filo e per
segno tutto quello che è successo. Dove lo avete trovato, cosa
faceva e come lo avete ucciso. Già non capita di frequente di
uccidere uno di questi cosi e tornare indietro per raccontarlo,
figurati portarselo dietro per farlo esaminare.»
Mi sedetti a terra ansimando seguito a
ruota da Jennes «Facciamo… una bella cosa… tu ci dai… una
bottiglia di acqua… potabile… a testa… e ti raccontiamo…
tutto»
«Horosho, se volete ci sono
delle sedie nella stanza qui vicino»
Rivolsi uno sguardo interrogativo a
Jennes che scosse la testa rifiutando «Stiamo bene qui… per ora»
Grishenko fece spallucce «Vi porto
dell’acqua. Riposatevi».
Tornò dopo un minuto con una sedia
pieghevole e due grosse bottiglie d'acqua di plastica. Ce ne lanciò
una a testa, aprì la sedia, si sedette sopra e rimase li a guardarci
aspettando che cominciassimo a parlare su cosa fosse accaduto. Cercai
di prendere la bottiglia al volo, ma le braccia si stavano rifiutando
di collaborare. Fermai la sua corsa con la faccia, accompagnando il
goffo gesto ad un gemito. Jennes non fu da meno. Con grande fatica
prosciugammo quelle bottiglie d'acqua tiepida, interrompendo di tanto
in tanto le sorsate per ansimare dell'aria e riposare le braccia
tremanti.
Feci frullare in aria l'indice per far
capire a Grishenko di darci altro tempo; lui annuì e si alzo andando
ad esaminare il cadavere. Mentre continuavamo a boccheggiare cominciò
a dare un occhiata ai fori di proiettile uno per uno. L'inarrestabile
doveva aver ricevuto almeno una cinquantina di proiettili prima di
crollare a terra e il dottore ce ne avrebbe messo di tempo per
verificarli tutti a quel modo. D'un tratto strabuzzò gli occhi,
portò le dita su un foro cercando di slargarlo, per poi distaccarsi
di colpo e spingere il lettino dentro una sala. Grishenko svanì
dietro la porta senza fiatare.
Chiusi gli occhi e lasciai cadere la
testa all'indietro sulla parete cercando di recuperare un po' di
forze per il futuro 'terzo grado' che ci avrebbe fatto il dottore
dopo l'esame del corpo.
Probabilmente sarei stato anche capace
di addormentarmi subito ‒ lo sforzo era stato enorme e l'assenza di
adrenalina cominciava a sentirsi ‒ se non fosse stato per l'urlo
terrificante che arrivò dalla sala nella quale si era infilato
Grishenko. Jennes e io ci guardammo senza capire il perché. La
risposta arrivo un istante dopo, quando la caratteristica voce
dell'inarrestabile coprì quella del medico.
Cercammo di scattare in piedi, ma il
corpo non reagiva agli stimoli. Riuscii a divincolarmi dalle
spalliere dello zaino nello stesso istante nel quale Grishenko si
precipitò fuori dalla porta. Non pensai nemmeno per un istante di
prendere il kalashnikov ‒ sarebbe stato troppo pesante da
maneggiare ‒ e pregai le braccia di raggiungere in velocità la
CZ75 nella fondina cosciale. L'inarrestabile superò le porte con un
balzo mentre stavo ancora armeggiando con la fondina, quando una
scarica della mitraglietta Skorpion di Jennes aggiunse ulteriori
venti fori a quelli che gli avevamo educatamente fornito alla bestia
durante la sparatoria di un'ora fa alla Centrale Purificazione Acque.
L'inarrestabile cadde esanime per la
seconda volta.