venerdì 30 settembre 2011

Unexpected tie

Cinical: Dialogue test - Part 2

La mia vecchia Nissan Sunny era parcheggiata in fondo alla strada dove si trovava il Panama’s Court. Anche se si trattava di una delle versioni più accattivanti uscite nel 1992 – un “milleotto” a iniezione – era quanto di più anonimo si potesse sperare, merito anche del trattamento speciale che le era stato riservato. Fuori la triste tonalità della carrozzeria ricordava solo lontanamente il rosso che era stato al momento dell’uscita dalla fabbrica e i paraurti, da un bel nero lucido, erano divenuti grigi opachi; a completare l’opera cenni di ruggine sparsi e righe di sporco a riempire ogni fenditura che acqua potesse raggiungere. All’interno, i sedili erano ricoperti di un tessuto a trama incrociata strappato qua e là che mostravano l’imbottitura gialla in gomma piuma, la plastica del cruscotto era crepata nel centro e la corona del volante era lucida, a testimoniare le migliaia di ore di guida sopportate. Sotto quella scorza logora però si nascondeva una meccanica perfetta, come fosse appena uscita dal concessionario. Tutto questo trattamento la rendeva difficile da notare; un vero toccasana per il mio lavoro.
Mi lasciai andare sul sedile di guida sfondato e passai un paio di minuti a sfogliare le carte che mi aveva consegnato Anna per studiare l’obiettivo, saltando con lo sguardo qua e là per farmi un veloce quadro della situazione prima di partire: Arnoldo Benítez Rodrígez, 36 anni, lavoratore saltuario da quando ne aveva 17, diversi fermi per ubriachezza molesta e sfrattato parecchie volte negli ultimi anni a causa di reiterati ritardi nel pagare l'affitto ‒ le volte in cui era capace di saldarlo. Così dipinto sembrava solo un buono a nulla finito in mezzo per caso, ma qualcuno con una lingua troppo lunga e un portafoglio troppo vuoto aveva avuto un’opinione parecchio diversa in merito. Se la soffiata fosse stata completamente attendibile, e quindi aveva a che fare in qualche modo con il colpo all'assicurazione, doveva essere stato indicato come disposto a collaborare da qualcuno nel sottobosco criminale locale ‒ probabilmente aveva qualche amico in qualche giro non troppo legale ‒ però non riuscivo a trovare nemmeno un piccolo indizio che confermasse tale ipotesi.
Sfogliai il resoconto bancario con più attenzione, quel genere di persone non collabora con il crimine per la gloria e lì doveva esserci per forza qualcosa. Due settimane fa aveva versato in banca di persona una somma di denaro in contanti molto più consistente della sua paga attuale, per poi pagare con assegno una buona fetta di quella somma ad un certo Villaruz, anche se la cosa si era ripetuta in passato con una cadenza quasi mensile. Infatti preparava un assegno con circa un sesto di quella somma allo stesso uomo da quasi otto mesi. Doveva trattarsi dell'affitto e da uno che ha l'abitudine di farsi sfrattare spesso, aver anticipato sei mesi di affitto al padrone di casa era il genere di anomalia che stavo cercando.
La soffiata poteva quasi risultare credibile ‒ Maurice, il mio collega, ci credeva ciecamente ‒ ma io avevo ancora dubbi sul suo coinvolgimento e non mi sarei convinto fino ad una chiacchierata di persona con Rodrìgez.
Era arrivato il momento per un aggiornamento reciproco. Presi il cellulare e attivai la chiamata rapida.
«Eccoti! Allora come è andata con Anna? Te l’ha data una mano
«Sì certo – scusami se non rido – e già che c’ero mi sono anche fatto fare uno sconto, così alla fine di questa corsa ci facciamo una bell—»
«Aspetta, in cambio di cosa? Quella non da niente per niente. Non te la sarai mica portata a letto?»
«Non è il mio tipo», volevo evitare di tornare su quel discorso.
«Raccontala ad un altro, lei sarebbe capace di dare via un braccio per te se potesse»
Lasciai andare un profondo sospiro «Gli ho solo detto che poteva centrare con l’assicurazione»
«Eddai cazzo! Le hai detto tutto! Quella si rivende ogni cosa che le passa sotto mano. Piuttosto portatela a letto la prossima volta. Dimmi, che dati ti ha fornito? C'è qualcosa di valido?»
«Sembrerebbe di sì... i dati sono i soliti: anagrafica, stato civile, situazione economica, resoconti e trasferimenti della carta di credito…»
«Bah, come sempre un lavoro fatto coi piedi. Almeno hai l'indirizzo?»
«Certo, Santiago de Veraguas»
«Sicuro che sia ancora lì?»
«L'altro ieri ha pagato l'affitto per sei mesi, una bella stranezza per uno sfrattato cronico... potrebbe essere una buona pista»
«Direi... certo che ti tocca un bel viaggio in macchina»
«Guarda, non farmici pensare», stiracchiai la schiena sul sedile «Mi si prospettano almeno tre ore di rottura di palle. Vuoi raggiungermi là?»
«Sì, appena ho finito qui»
«A proposito hai novità?»
«Non ancora, ma forse ho una pista su chi potrebbe aver fatto il lavoro»
«Sei ancora a Panama?»
«Sì...», lasciò passare qualche secondo per poi sbuffare «Senti te lo dico chiaro e tondo. Lei adesso ha gli stessi dati che hai tu e sono certo che li avrà già rivenduti a qualcuno interessato ai pettegolezzi sul caso. Non mi sarei giocato l’esclusiva per 200 dollari»
«Non sei un po' troppo sospettoso? Ci lavoro da parecchio e no—»
«È perché continua a chiamarti amore, vero?»
«Ooh, vaffanculo! Senti, la prossima volta ci vai tu. Meglio?»
«Eddai cazzo, ma quanto sei permaloso!»
«Ahh, fottiti»
«Anche tu»
Chiudemmo la comunicazione in contemporanea. Girai la chiave nel quadro ed accesi il motore, provando un certo sollievo nel tornare ad avere il controllo del mezzo; viaggiare con Anna non era una cosa per deboli di cuore. Presi in direzione dello stradone per Panama, per poi dirottare sulla panamericana in direzione di  Santiago de Veraguas.
Accesi la radio fin da subito per non pensare alle cazzate di Maurice. Solo una volta mi spinsi troppo in là con la colombiana durante un lavoro molto complesso; fui molto vicino a portarmela a letto e finii con lo scottarmi, ma sono uno che impara. Se sopravvivo, sbaglio solo una volta e Maurice questo lo sa. Dopo pochi minuti, i caldi ritmi latini alla radio riuscirono a trasportare la mia mente da un'altra parte.
Dopo le tre ore di viaggio previste parcheggiai la macchina nella periferia sud della città, vicino ad una palazzina a quattro piani che corrispondeva all'indirizzo e al numero civico di Rodrígez. L'edificio era una costruzione squadrata di architettura popolare ‒ con tanto di cortile interno ‒ che avrebbe avuto bisogno di una bella rinfrescata sia nella facciata che negli allacciamenti delle infrastrutture; numerosi grovigli di cavi si snodavano tra i pali e gli split dei condizionatori appesi fuori dalle finestre.
Imprecai tra me e me. Nelle carte e nel resoconto bancario non c'era alcuna indicazione di quale fosse il numero dell'appartamento ed ero certo che controllare tutti i citofoni del palazzo sarebbe stato sia inutile che troppo sospetto. Scesi dall'auto e superai la porta d'ingresso. Dentro il piccolo atrio si affacciava un gabbiotto dove un grosso signore di mezza età, con un tipico sombrero pintado in testa, alzò la gli occhi per squadrarmi.
Poteva essere il proprietario, quindi misi in campo la faccia più affidabile di cui ero provvisto.
«Buon giorno Sigor...», feci un cenno della mano verso di lui.
«Villaruz», rispose scorbutico.
«Villaruz...», allargai un sorriso e completai la frase precedente «sto cercando un suo affittuario, un certo Rodrígez. Può aiutarmi?»
«Mai sentito nominare»
«So che abita qui e...»
«Senta! Se vuole può controllare anche tutti i libri contabili», puntò il pollice verso la porta dietro  di lui, «non c'è alcun Rodrígez!»
«Quindi l'assegno di due giorni fa, con sei mesi di affitto, era in realtà il regalo di un anonimo spasimante? Oh, scusi... devo averle rovinato la sorpresa.»
Mi fissò allibito «Cosa?»
«Mi dica a che numero lo trovo», mostrai un sorriso tagliente.
Balbettò qualcosa che sembrava un 311
«Gentilissimo»
«Se-senta... almeno lei eviti di fare lo... “schiamazzo” del suo collega», d'un tratto era diventato dolce come un agnellino.
«Collega?»
«S-sì... ho mandato su mezz'ora fa un asiatico e ho ricevuto delle chiamate preoccupate dai vicini... lei cerchi di essere più... gentile? V-va bene?»
«Certo», cominciai a sospettare di essere arrivato in ritardo.
Uscii nel cortile e salii le scale fino al terzo piano. Raggiunta la porta 311, ci poggiai l'orecchio sopra per auscultare l'interno. Non si sentiva nulla. Portai la mano destra dentro la giacca e presi la piccola Walter PPK dalla fondina ascellare mentre con la sinistra abbassai la maniglia. Era chiusa a chiave. Mi arrischiai a fare una mossa azzardata e bussai, lasciando passare un minuto. Non ebbi risposta. Osservai gli infissi della porta. Sembravano vecchi quanto il palazzo, avrebbero ceduto con un po' di forza. Mi guardai attorno e assestai un calcio all'altezza della serratura. La porta si spalancò.
Il piccolo corridoio d'ingresso terminava con due porte: quella destra su un salone e la sinistra sulla cucina. Camminai rasente la parete destra fino a guardare dentro la cucina. Vuota. Buttai un occhiata rapida oltre lo stipite della porta del salone e mi sentii mancare il fiato.
Rodrígez era legato ad una sedia nel centro della stanza. Aveva un taglio che gli correva da una parte all'altra della base della mascella e la lingua era stata tirata fuori attraverso di esso. Sotto di lui una pozza del suo stesso sangue, come un macabro centrotavola. L’affare si stava facendo preoccupante. Estrassi il cellulare.
«L’ho trovat—»
«Ottimo! Sono per strada, arriverò—»
«Maurice... è morto. Gli hanno fatto una cravatta thai»