venerdì 28 dicembre 2012

Non resta altro

Contest ArteScritta - Fine del mondo

Ricorda che doveva essere un bel natale quello. Era riuscito a prendere quel regalo fantastico per suo figlio, chissà che faccia avrebbe fatto a Natale. Voleva arrivare a casa presto, per nasconderlo, per poterlo stupire. Era felice quel giorno. Un ultimo momento di felicità.
Poi, ricorda le sue dita strette attorno al volate, bianche per lo sforzo. Immagina il suo sguardo spalancato, fisso in avanti, di un paio di occhi spenti che non guardano più nulla; rivedono quanto già visto. Una visione che non dimenticherà, sa già in quel momento che lo tormenterà per tutti i suoi giorni a venire. Solo un istante in più o in meno avrebbe potuto cambiare tutto, vede migliaia di coincidenze che l'hanno portato lì in quel momento e vede migliaia di modi nel quale avrebbe potuto evitarlo: si chiede come mai non è riuscito a metterne in opera nemmeno uno.
Per un attimo torna cosciente, nota l'incrinatura a ragnatela davanti a lui; sente il piede sinistro, schiacciato sul freno, fargli malissimo, ma non riesce a toglierlo di lì. Non ha il coraggio di scendere, di affrontare il mondo. Vorrebbe rimanere chiuso lì dentro e morire anche lui.
Un corpicino di sei anni a malapena è sdraiato sull'asfalto a una decina di metri dalla sua macchina. Potrebbe stare dormendo, non c'è una goccia di sangue lì attorno. Il piumino che indossa sta lentamente diventando più scuro.
Anche per quella madre sarebbe stato Natale fra quattro giorni. Forse anche lei aveva preso il regalo che tanto aveva desiderato quel corpicino. Chissà cosa ne avrebbero fatto. Un padre lo guarda attraverso il vetro, incredulo quanto lui, forse di più. Non ricorda molto di quello che è successo dopo, non ricorda nemmeno il volto di suo figlio il giorno di Natale. L'unica cosa che ricorda è quel momento. Tutto il resto non ha avuto più importanza. Per un uomo che uccide un bambino non resta nient'altro. È la fine del suo mondo, la fine della sua vita. L'ultimo giorno di sempre. Il 21 dicembre di quel maledetto anno, costretto a riviverlo ogni notte, ogni giorno, ogni momento del resto della sua esistenza.

giovedì 8 novembre 2012

Al mercato

Capitolo 5 - Al mercato

Insieme a Madonna superai uno degli ingressi del gigantesco capannone del mercato coperto di Chennai. Come misi piede all'interno mi resi conto di come gli onnipresenti odori di curry, sporco e tè che invadevano le strade divennero nulla in confronto al misto penetrante di sangue, carne, spezie, pesce, merda, stalla ed elettricità che assaltavano il naso di coloro che varcavano la soglia del portone a scorrimento.
Lo seguii mentre si faceva spazio nell'ammasso di persone che intasavano il capannone. Camminavamo lasciandoci alle spalle banconi e gazebi con merce di ogni tipo, compresi sacchi di spezie di ogni colore ed odore e corpi appesi di animali che finivano di sgocciolare sangue per poter essere venduti come halal. Cose che non credevo che avrei mai visto negli États-Unis d'Europe.
Passammo accanto ad un rivenditore di attrezzatura per IV nuove di pacca e buttai l'occhio guardando i prezzi sulle etichette per un set di seconda generazione indicato come nuovo, completo di tutto e pronto all'uso; lasciai partire un fischio. Con quei soldi mi sarei potuto comprare un'automobile.
Madonna doveva avermi sentito, e dopo aver guardato lo stesso set ricominciò a parlare.
«Comunque, solo perché è vecchia», indicò con un cenno della testa lo stand, «non vuol dire che sia a buon mercato. Anzi, con il fatto che è l'unica economica per i professionisti, sta vivendo un boom e molte compagnie di hardware stanno facendo uscire nuovi prodotti di buona qualità per semplificare un po' il lavoro dei tecnici. Ma non devi preoccuparti, anche se non siamo a Chiba, ho buone conoscenze e una certa esperienza. Vedrai che non spenderemo più di quello che abbiamo preventivato.»
Si diresse verso un grosso gazebo di un venditore in camicia bianca e cravatta circondato da bancali di materiale elettrico e armadi espositivi. In alto capeggiava la scritta “Green Elephant – Used VRI and Hardware”. L'uomo ‒ con un paio di occhiali leggeri e dei baffetti sottili ‒ era aiutato da due assistenti e discutevano litigiosamente da dietro il bancone con un paio di clienti indiani. Come vide Madonna avvicinarsi dietro le spalle dei clienti si avvicinò all'orecchio di uno degli assistenti e si disimpegnò da quella discussione, scartando di lato e salutando il nostro arrivo.
«Madonna maifrend, bentornato. E tu?», mi tese la mano, «Piacere, Ramakrishnan.»
«Piacere, Moreaux.», gliela strinsi.
«Ah, bene, bene. In cosa posso esservi utile? Forse qualche ricambio per la signorina ColdJack? O un terminale nuovo?»
«Emmadonna, sta' buono un attimo.», Madonna lo bloccò mentre guardava la merce esposta, «direi... dovresti avere tutto quello che mi serve. Dai un'occhiata qua.», gli porse un foglietto. L'indiano lo prese e cominciò a scrutarlo.
«Non ho la VRSyncMaster 3751. Ma posso darti una 4600 della Kohlner-Braun.»
«Ah! E me la farai pagare un occhio della testa, immagino.»
Ramakrishnan battè la mano sul petto con fare solenne, «Ti do la mia parola che l'avrai allo stesso prezzo.»
«Certo, rotta.»
«Sul mio onore, come nuova.»
«Ommadonna, te lo sei già giocato una volta l'onore con me.»
Senza rispondergli, l'indiano si girò verso uno dei collaboratori che lo stava guardando e cominciò ad abbaiargli degli ordini secchi nella lingua locale. L'altro non fece altro che annuire, per poi correre verso il magazzino.
«Se mi dai cinque minuti, ti farò vedere che non scherzo. Giuro, lo stesso prezzo della 3571.»
«Vedremo. Che mi dici del resto?»
«Ho tutte le centraline di gestione, i cavi, gli innesti vertebrali e anche... sì. Ho tutto, magari non qui, ma in giornata ti trovo tutto.»
«Mandami un preventivo sulla email subito. Se andrà bene consegnerai tutto al solito indirizzo. Entro oggi, ok?»
«Non resti per controllare la 4600?»
«Madonna, tanto se resto qui non cambia. E poi se non funziona te la rimando indietro e non mi rivedrai più.»
«Te lo giuro, sul mio onore.»
«Sì, sì... ci vediamo.», Madonna accennò ad andarsene quando il venditore lo fermò.
«E la cervicale?»
«Che cervicale?»
«La centralina.»
«È sulla lista?»
«Appunto, non c'è. Ti servirà.»
«Non c'è. Non mi serve.», Madonna sbuffò stanco.
«Qui c'è tutto il materiale per una nuova postazione, ma manca la centralina cervicale. Se ti serve, te la posso procurare. Dimmi quello che vuoi.»
«Neanche morto prenderei una cervicale di seconda mano.»
«Te le do formattate a basso livello.»
«Ommadonna, ma tientele. Non le voglio.»
«Ti faccio un buon prezzo.»
«Ti mando a fanculo se non la pianti.»
«Sul mio onore.»
«Madonna, se solo valesse qualcosa il tuo onore.»
«Ah... e va bene», Ramakrishnan annegò il sospiro in un sorriso da mercante, «se vuoi, sai dove trovarmi. Dammi un prezzo e io te lo farò più basso, va bene? Voglio lavorare con te. Per me è importante.»
«Come no. Certo. Saluti.», si girò salutando con una mano alzata il venditore alle sue spalle e poi borbottò qualcosa a che fare con la possibile assonanza tra il suo cognome e il termine “viscido bastardo” in qualche lingua sconosciuta.
Si rituffò nel caos del mercato e lo seguii. Non ebbi il tempo di fargli la domanda che mi rispose; quasi mi avesse letto nella mente la domanda.
«Quello è capace di trovare di tutto. Farebbe impallidire certi importatori di roba giapponese, ma... per questo non gli prendo tutto. Ho paura che sia un informatore... e poi le centraline cervicali vanno prese nuove. Se si tratta di centraline sincronizzate, cavi e compagnia bella trovi ottimi prodotti anche di seconda mano e questo ti aiuta a salvare una valanga soldi. Vedrai appena mi arriva il preventivo.», mi mostrò un sorriso da compagnone, «E che di solito i componenti appartenuti ad un navigatore fritto li svendono a poco. Sai com'è: leggende metropolitane. Dicono che tutta la componentistica venduta dalla linea di un navigatore morto deve avere per forza un difetto, altrimenti non sarebbe morto; quindi tutti le danno per difettose e non costano un cazzo. Io ti confesso: di hacker presuntuosi ce ne sono a migliaia. Quelli crepano perché sono deficienti non per colpa di un difetto nell'hardware. Quindi prendile pure tranquillamente. Quanto alle cervicali... hai già un'idea su cosa prendere?»
Lo guardai senza sapere cosa rispondere. Avevo letto qualcosa, ma non avevo di certo un'idea precisa di cosa potessi acquistare.
«Oddio, non ne hai idea, vero?», continuò lui, «Madonna, e che sono una cosa molto.... intima. Nel senso che potresti andare bene con una, ma malissimo con un'altra.»
Si fermò, pensieroso.
«Posso sempre cambiarla se non va bene.»
«E no. Non è così facile. Una volta installata dentro la vertebra non è una passeggiata andarla a cambiare.»
«Vuoi dire che se per sfiga mi ci trovo male...»
«Se ti ci trovi male passerai un po' più di tempo a prendere confidenza con i tuoi movimenti nella rete. E poi non la rivenderesti a nessuno quella di seconda mano.»
«Mi stavi accennando a qualcosa prima; sul fatto di prenderle nuove.»
Riprese a camminare verso una parete del capannone pieno di piccoli stand di venditori dei materiali più disparati.
«Ah già, vero. Va presa vergine, da uno di fiducia. Sempre. Non farti rifilare roba di un morto. Rischi la sindrome dell’olandese volante.»
Mi sfuggì un sorriso e soffocai la risata. Avevo letto qualcosa ma mi sembrava una leggenda metropolitana.
«Ommadonna, cosa ridi, niente cazzate! Un mio amico diceva di vedere il fantasma del navigatore morto in giro per la rete… ha perso la salute mentale e non riesce più a collegarsi, rischia di andare in paranoia.», abbassò il tono come per confidarmi una segreta verità, «Girano delle voci... dicono che qualcosa dell’esistenza di un navigatore resta nella centralina… credimi: non rischiare. Altri vanno alla caccia delle cervicali dei grandi morti ‒ o anche vivi eh? ‒ credono che gli possano portare fortuna o aiutarli durante le loro navigazioni ma secondo me rischiano per niente...»
Una voce con un comico accento indiano uscì dal piccolo stand della “VRI SuperNode”, salutandoci. L'uomo era piccolo, rotondo e sudaticcio. Sembrava la caricatura di un classico venditore indiano.
«Sempre lieto di vederla maifrend.»
«Ciao Gupta. Mostrami le vergini.»
L'ometto annuì, si chinò e da sotto il bancone estrasse quattro scatole di cartone.
«Ho solo queste. So che non è un granché, ma se puoi darmi tre giorni mi arriva un carico da Chiba.»
«Mi dispiace ma abbiamo un appuntamento oggi con Poyorena e dobbiamo...», Madonna sgranò gli occhi, «Ommadonna! Dai un'occhiata tu devo fare una chiamata!», poi l'italiano scappò fuori da uno dei portoni lì vicino con il cellulare all'orecchio.
«Piacere, Gupta.», l'indiano mi tese la mano, che strinsi e trovai sudaticcia.
«Moreaux.»
«Prima volta?»
«Sì.»
«Hai scelto degli ottimi maestri, sono una bella coppia loro due.»
«Oh, grazie. Cosa... cosa mi suggerisci?»
«Direi che... per uno nuovo suggerisco sempre una centralina Biochips di fascia media. L'hanno inventata loro la seconda. Non sarà delle più intuitive,», indicò una scatola di cartone con disegni viola e arancioni, «ma difficilmente risulta ostica nell'apprendimento. Le altre possono essere più veloci e con delle marco di esecuzione preconfezionate, ma tanto ‒ conoscendo Madonna ‒ avrai presto un egoproiettore su misura.»
Annuii facendo finta di capire cosa mi avesse detto e mi presi qualche secondo per far finta di ragionare. Non potevo far altro che fidarmi e indicai la scatola che mi suggeriva.
«Allora prendo questa.»
«Ottima scelta.»
La mise in una busta e me la porse, mentre Madonna mi diede una pacca sulle spalle. «Vediamo un po' cosa ti ha rifilato quest'imbroglione,», il tono era scherzoso e anche Gupta fece scappare una piccola risata. Dopo aver visto il contenuto della borsa estrasse una carta di credito e la tese verso l'indiano, «Buona scelta. Ecco qua.»
Terminarono la transizione e Madonna si rituffò nuovamente nel caos.

domenica 30 settembre 2012

Memoria labile

Debriefing sul Zenithum

L'uomo continuava a guardarmi con diffidenza, aspettando una risposta che non sapevo dargli. Era seduto davanti a me, dall'altra parte della scrivania, nella sala interrogatori. Sopra il ripiano del tavolo c'era un dossier chiuso e un portacenere dove riposava una sigaretta accesa. Gli estrattori d'aria della stanza facevano quello che potevano, ma la puzza di sigaretta sembrava non volersene andare. Sbuffò e riprese a parlare.
«Lei stava camminando.», rispose per me, «Si rende conto di quello che implica?»
Non lo ricordavo. Dopo l'incidente non c'era nulla fino a quando “ripresi coscienza” nel trasporta truppe blindato. Quel dettaglio mi colse di sorpresa. Rabbrividii immaginandomi la scena.
«Cristo... davvero mi avete trovato a camminare come se nulla fosse in mezzo alla zona 4?»
«Sì.»
Riflettei un po', poi scossi la testa, «Impossibile.»
«Lo pensiamo anche noi.»
L'uomo prese la sigaretta e tirò una lunga boccata, fissandomi. Poi, finita, la schiacciò nel posacenere ed esalò con calma.
«Cosa si ricorda?»
Fissai un punto impreciso del tavolo e cominciai a raccontare quello che ricordavo.

Ore 13.44. L'ex cava Postir era completamente deserta. Vista dal satellite ricordava una scheggiatura bianca tra il Carso e l'Isonzo. La fitta vegetazione verde tutta attorno la rendeva un silenzioso paradiso bucolico. Era silenziosa anche prima del disastro di Trieste ‒ era in disuso da qualche decennio ‒ ma adesso lo era in un modo inquietante: chiunque sia stato nella zona ha provato quella sensazione sulla sua pelle.
In cima all'angolo sud-ovest della cava, solo un attento osservatore sarebbe stato capace di accorgersi che in mezzo alla vegetazione un piccolo blindato da esplorazione VBL dell'ONU era fermo, a motore spento. La difficoltà nell'individuarlo stava nella mimetica: era stato dipinto con una colorazione boschiva invece della classica pittura bianca con le scritte nere.
Al suo interno due soldati stavano monitorando la cava. Uno stava guardandosi attorno con un visore termografico, l'altro aveva un normale binocolo con telemetro incorporato.
«Nessuna forma di vita rilevata, però vedo un falso positivo.»
«Dove?»
«Dall'altra parte della cava, sulla cima di quella parete. Direzione 055.»
Il tenente puntò in quella direzione con il binocolo, senza vedere niente. C'era solo vegetazione e roccia.
Sospirò. «Che forma ha?»
«Aveva... sembrava solo una macchia informe», il sergente mise via il visore.
«Va bene, la segno sul registro e rimaniamo in attes—»
«Cinghiale 1, qui papa aquila. Rapporto sulla situazione, passo.», al suono della radio entrambi sobbalzarono.
«Cristo!», esclamò il sergente, «Non avevano chiesto il silenzio radio?»
«Che cazzo dirti, li hai mai visti organizzati?»
Il sergente ci pensò un po'.
«No.», rispose.
«E allora...»
«Rispondiamo?»
Il tenente cominciò a fissare la radio pensando. Passarono una decina di secondi, poi gli rispose.
«Non trasmetterò niente. Gli ordini erano chiari: “Entrati nella zona di alienazione 4 silenzio radio fino a fine missione.” Come trasmettiamo qualcosa da qua dentro, tempo cinque minuti, arriva qualcuno e saltiamo per aria. Manteniamo un profilo basso e non ci sarà da preoccuparsi.»
«Quindi?»
«Quindi niente. Stiamo buoni e torniamo ad aspettare.»
Tutti e due ripresero ad osservare la cava con i rispettivi strumenti.
«Cinghiale 1, qui papa aquila. Rapporto sulla situazione, passo.»
«I nomi in codice però sono quelli giusti.», appuntò il sergente, abbassando il visore e guardando il tenente.
«Potrebbe essere una trappola. Non trasmettiamo niente, punto e basta. Torna ad esaminare la cava.», fece una lunga pausa e poi riprese a parlare, «E poi la sicurezza in sede è un colabrodo, non mi fido.»

L'uomo mi interruppe.
«A che punto era il sole?»
«In quel momento non saprei, le ombre erano troppo lunghe. L'eliogoniometro non era stato ancora acceso.»
«Si ricorda qualche lettura dello strumento? L'avrete acceso almeno una volta.»
Chiusi gli occhi cercando di far riaffiorare nella mente l'immagine del display.
«Mi faccia pensare...»

Ore 14.03.
«Com'è messo il sole?»
Il tenente fece scattare un interruttore sul tetto e un display a 7 segmenti vicino ad esso si animò, illuminando tutti i segmenti in un '+88,88°'. Fuori dal veicolo, all'interno della sfera scura fissata sul tetto, i meccanismi del fotorilevatore e dell'eliogoniometro cominciarono a ronzare per metterlo in asse con il disco solare. Finita la calibrazione, il display restituì il dato richiesto: '+78,44°'.
Il tenente sbuffò, «Cazzo, si è abbassato un po'.»
«Merda.»
Il tenente richiuse l'interruttore e lo strumento si spense, mentre il sergente sprofondava nel sedile che stava cominciando a diventare troppo scomodo.
«Alla fine hanno capito come mai fa questo scherzo?»
«Ah... non ci stanno capendo un cazzo di quello che accade in questo posto, figurati capire perché il sole non segue più una traiettoria logica.», il tenente riprese il binocolo e tornò a guardare la cava, «Ho sentito delle voci che parlano di un'ipotetica “lente d'aria” che fluttua sopra la zona e che ci fa vedere il sole in una posizione diversa dal resto del mondo. Però... sai com'è.»
Il sergente annuì e guardò l'orologio, «Rientriamo?»
«Dagli tempo, vedrai che risalirà.»
«Voglio dire, siamo qui da quasi un'ora oltre il tempo previsto dalla missione, comincio a pensare che oggi non raggiungerà lo zenith.»
«Dagli ancora un po' di tempo.»
Il sergente sbuffò seccato e il tenente non prese bene la reazione. Lo guardò con aria truce.
«Senti un po', ti sei offerto come volontario o no?»
Il sergente prese il visore termografico e tornò a guardare fuori senza ammetterlo.
Poi il tenente riprese la parola, «E la missione prevede di tornare a casa almeno con una foto del reperto Zenithium—»
«Se esiste.», lo interruppe il sergente riabbassando il visore.
«SÌ, SE ESISTE! Ma di certo la missione non è solo quella di superare il tempo previsto per intascarsi gli straordinari e non risolvere niente. Finché il sole resta attorno allo zenith non ci muov—»
«Cinghiale 1, qui papa aquila. Rapporto sulla situazione, passo.»
«Cazzo... ancora.», sospirò il tenente.
«Quelli ci vogliono far tornare.»
«No... sarà qualcuno che ci vuole localizzare. Torniamo a concentrarci sulla cava e vediamo se il reperto farà la cortesia di farsi vedere prima che il sole di raggiunga i 90° spaccati. Magari non ti sarà sembrato, ma anche io voglio andarmene da questo inferno il prima possibile.»

«Davvero non avevate risposto per questo?», mi chiese l'uomo mentre estraeva dalla tasca un pacchetto di sigarette con scritte e bollino italiano. Doveva essere arrivato da pochissimo: qui tutti andavano in giro con le sigarette slovene. Non che fossero più buone, ma costavano meno.
Lo guardai stranito, la domanda aveva una risposta ovvia. Per me.
«Non avete trovato il VBL?»
L'uomo aprì il dossier e cominciò a scartare un po' di fogli fino a quando non estrasse una fotografia che spinse dalla mia parte del tavolo. «Eccolo. Un ricognitore terrestre l'ha trovato nella cava e ha scattato una foto.»
La osservai, «Ah, allora non l'avete visto.», conclusi.
L'uomo mi guardò con l'accendino tra le dita e la sigaretta in bocca; con un cenno della mano mi esortò a continuare.

Ore 14.21. Il tenente spense l'eliogoniometro.
«Però... siamo sulla buona strada. Ottantadue gradi in rapida salita. Tieni gli occhi incollati alla cava, vediamo se comincia a farsi visibile.»
«Prendo la termo?»
Il tenente ci pensò un po', «Sì, controlla con la termo.»
Il sergente accese il visore, «Oh merda. Dentro la cava. Abbiamo... sei, sette forse otto falsi positivi. Vedi nulla?»
«Negativo, zero.»
«Cinghiale 1, qui papa aquila. Rapporto sulla situazione. Possibile 401 in vostra zona. Passo.»
I due raggelarono sul posto.
«Occristo, no...», il tenente prese il mano la trasmittente della radio e aprì la comunicazione, «Papa aquila, qui cinghiale 1. Siamo alla postazione delta. Possibile contatto con l'obiettivo in pochi minuti. Chiediamo dettagli sul 401 per valutare se rientrare. Passo.»
«Cinghiale 1, finalmente. Stavamo perdendo la speranza. I guardiani indicano attività anomale in forte aumento nei quadranti 510590, 510589, 511590...», la radio si ammutolì in rumore bianco.
«Papa aquila, mi ricevete? Papa aquila? Passo.»
Passarono una decina di secondi e la radio si attivò nuovamente.
«Cinghiale 1, rimanete pure della vostra posizione.», ma la voce non era la stessa ascoltata in precedenza.
I due si guardarono negli occhi confusi; ebbero giusto il tempo di mettere assieme le idee ed esclamarono in coro, «CAZZO!»
Il tenente accese il motore e fece scattare il blindato lungo la discesa, a fianco del costone di roccia della cava; un istante dopo un'esplosione colpì il terreno sotto di loro. Il veicolo scivolò di lato, cominciando a precipitare sul fondo della cava. Dentro la cabina non ebbero il tempo di capire bene cosa fosse successo.
Dopo qualche secondo il veicolo si fracassò a terra.

«Mi sta prendendo in giro?»
«Secondo me, se tornaste alla posizione delta, trovereste dei solchi compatibili con una carica cava anticarro; probabilmente un RPG7.», finita la frase, mi fermai a guardare l'uomo che stava finendo l'ennesima sigaretta.
«Tutto qui?»
Aprii le mani, con i palmi rivolti verso l'alto, «Sarà stato lo shock. Che vi posso dire, la memoria comincia a tornare da quando mi sono trovato dentro al blindato che mi ha riportato qui.» L'uomo spense la sigaretta.
«Si rende conto che la sua versione ha una lacuna non indifferente?»
«Certo.»
«Non sto parlando del tempo trascorso, ma della plausibilità.»
Mi accigliai, «Mi faccia capire meglio.»
«L'abbiamo trovata che camminava ‒ quasi come se stesse facendo una passeggiata ‒ lungo la statale 56 nel mezzo dell'insediamento di Villanova.»
Ripensai alla situazione e rabbrividii di nuovo. Non sapendo che dire, feci spallucce.
«Chiunque sarebbe morto o scomparso facendosi a piedi un tratto simile e finché non riusciremo ad avere un quadro chiaro di quanto è successo, sarà difficile rimandarla in libertà.»
«Ecco...»
«Sì?»
«Non so... non riesco a... ho un'immagine in testa, ma non riesco a distinguere se sia successo veramente oppure no.»
«Allora la prenderò con le pinze, non si preoccupi.»
«Ricordo ‒ almeno credo di ricordare ‒ di aver strisciato fuori dal veicolo, una porta aveva ceduto, e— insomma guardo in avanti. Vedo gli alberi e, più vicino, il traliccio della cisterna poco distante e...», mi fermai pensieroso.
«Cosa ha visto?»
«Le ombre a terra, sembravano... volersi nascondere. Erano piccole; il sole doveva essere allo zenith e ho visto, qualcosa... ma non riesco a focalizzarlo... lo sentivo... nel senso che lo percepivo dentro di me, ma... non riuscivo a capire cosa fosse.», mi fermai, spossato da quella memoria.
«Quante volte ha avuto modo di vedere materia anomala?»
«Mai.»
«Capisco.»
«C'è altro?», chiesi preoccupato.
«Direi che per oggi siamo arrivati ad un primo punto.», l'uomo si alzò dalla sedia, si girò verso lo specchio facendo un cenno con la mano, «La lascio andare a mangiare e a riposare. Ci rivedremo domani per approfondire questa parte.»
«Le posso chiedere...», portai alla bocca l'indice ed il medio della mano destra, mimando il gesto di una boccata.
L'uomo sorrise e mi lanciò una sigaretta dal pacchetto che stava riponendo in una tasca della giacca, per poi lasciare la stanza. Una guardia entrò dalla porta per accompagnarmi alla mensa e poi a una piccola cella, abbastanza confortevole.
Mi buttai sulla brandina per riflettere un po', ero molto stanco e chiusi gli occhi.
La visione tornò prepotente nella mia testa.

Un uomo striscia fuori dal blindato, non sa quanto tempo è passato dall'impatto sul fondo della cava a quel momento. Quello che monopolizza la sua attenzione è qualcosa che non riesce a definirlo con precisione. Sembra un cristallo, o più precisamente un essere di cristallo, trasparente e giallo. Sente qualcosa alle sue spalle e si gira: vede i suoi aggressori contorcersi, urlare per il calore ed in fine accendersi in fiamme e morire auto-combusti.
Non sa come, ma crede che quell'essere lo stia fissando. Non parla, ma trasmette qualcosa. Lui lo sente, ed è una sensazione molto, molto precisa. “Non ci sarà una seconda volta per te. Vattene, io non esisto.”

Riaprii gli occhi di colpo e mi misi a sedere, infastidito per la continua ricorrenza di quella scena. Dovevo trovare un modo per rilassarmi e riposare, quindi decisi di tirare fuori la sigaretta. La fissai. “Cosa mi farebbero se sapessero tutto quanto?”, pensai mentre cominciai a concentrarmi sulla punta, “Non credo che potrò raccontarlo a nessuno. Non se voglio sopravvivere o uscire di qui.”
Alla fine di quel pensiero la punta della sigaretta cominciò a fumare leggermente per poi accendersi da sola. Mi guardai attorno di scatto perché non avevo controllato se c'erano telecamere nella stanza: nemmeno una.
Mi lasciai cadere sulla brandina e la fumai con calma ad occhi chiusi. Finita, gettai il mozzicone spento lontano e cercai di addormentarmi.

venerdì 31 agosto 2012

In strada

Capitolo 4 - In strada

Lasciammo l'appartamento pochi minuti dopo. Madonna si era cambiato per amalgamarsi allo stile locale. Indossava una camicia a maniche corte viola, dei pantaloni di un beige molto chiaro, una cintura nera e delle scarpe aperte. A me avevano fatto togliere solo la giacca. Sembrava sufficiente.
Attraversammo la strada davanti alla palazzina dove avevano fatto la base e Madonna prese parola.
«Beh?»
«Cosa?»
«Avanti, confessa... dove li hai rubati quei dati.»
«Stai scherzando?»
Lo guardai bene in faccia: sorrideva sornione, ma era sincero.
«Uff... è roba mia. Davvero, nessun furto.»
«Uh madonna, e come mai il grande inventore della rete fantasma ha bisogno di un gruppo hacker per crackare la sua stessa invenzione?»
Ad un incrocio girammo rimanendo sul marciapiede di destra. Approfittai del momento per evitare la domanda. Mi guardai attorno spaesato, «Dove stiamo andando?»
«Al mercato coperto.»
«Dov'è?»
«Là in fondo,», Madonna allungò la mano per mostrare un grosso capannone che fiancheggiava la via sulla sinistra, ancora parecchio lontano, «fra qualche minuto saremo lì. E non cambiare argomento. Allora?»
«Allora cosa?»
«Perché hai bisogno di noi? Guarda che a chiamare CJ e annullare tutto è un attimo.»
«Su... stai bluffando.»
Tirò fuori il cellulare, armeggiò un secondo e mi mostrò un messaggio preconfezionato di allarme. Bastava un tocco e avrebbe raggiunto la hacker.
«Ok ok, piano.», una goccia di sudore cominciò a rigarmi la fronte, «È che... ecco, diciamo che voi due siete fortunati. Io non ho trovato un socio di cui fidarsi così ciecamente.»
Madonna mi guardò storto.
«Senti, dammi tempo... va bene? Ora non posso dire altro. Ho bisogno anch'io di fidarmi di voi. Nulla mi assicura che sarete onesti con me? No?»
Madonna accennò un musone triste, dondolando la testa pensieroso, e poi riprese a camminare annullando l'operazione sul cellulare e mettendoselo in tasca.
«Va bene, andiamo.»
«Di' un po', quanta roba dobbiamo prendere?»
Madonna scoppiò in una risata, anche se sembravano colpi di tosse.
«Hai visto quanta roba c'era nella sala di navigazione?»
Annuii.
«Raddoppiala.»
Mi lasciai andare ad un fischio di congratulazioni, «Siamo sicuri che la cifra che mi avevate comunicato via mail fosse sufficiente per prendere tutta quella roba?»
«Madonna! Mi ci gioco una mano su quello.»
«Ma... cosa usa CJ, una quarta?»
«Seconda.»
«Ma come? La spina dorsale sembrava vergine»
«Lo nasconde bene, vero?»
«Eh... direi. Ma come mai proprio la seconda? Capisco che eviti la terza, ma—»
«Si vede che non hai studiato abbastanza.»
«Sì?»
«Beh, saprai che la prima generazione era un casino.»
«Ho sentito dire qualcosa.»
«Sappi che non la usa più nessuno. Era stata una cosa per drogati della rete, per pionieri, per... folli. C'erano attacchi grossi come prese scart su tutta la schiena, quattro innesti elettrici e altrettanti processori da acquistare e affiancarci. Con l’ingresso della Biochips nel mercato, e i primi nano processori, le cose migliorarono. Ridussero a due gli attacchi elettrici e le centraline erano più piccole, veloci ed economiche. Ma la schiena rimaneva comunque grottescamente sfigurata e la logica di funzionamento era obsoleta per le nuove tecnologie.»
«E qui che arrivò la seconda, vero? Era stata la Biochips a gettarne le basi.»
«Bravo, e perché furono gli unici che videro nelle IRV un possibile successo commerciale se progettate come si deve. Se la seconda generazione è così buona lo si deve alla lungimiranza del progetto della Biochips; assunsero un po' dei cervelloni che svilupparono la prima e gli diedero dei fondi sufficienti a fare un ottimo lavoro che puntualmente venne fatto. È stata davvero una rivoluzione, e gli utenti se ne accorsero al punto che divenne un prodotto molto più diffuso della prima, ma ancora lontano dai volumi di massa. Era più economica della prima, con un solo processore e parecchi innesti a jack nelle vertebre. Potevi avere una vita normale, senza doverti preoccupare dell’aspetto della tua schiena. È quella con cui hanno cominciato a correre gli hacker e con cui tutt’ora corrono i migliori. Quarta a parte.»
«È davvero così buona la quarta?»
«Il meglio che si può chiedere, soprattutto dopo il grande “errore” della terza. Questa sembrò un grande passo avanti ‒ bastava un unico processore a livello dell’ottava vertebra con un solo spinotto che portava sia l'alimentazione, sia cavi coassiali per i comandi ‒ molto economica, è stata la vera rivoluzione di massa. Ma risultò che era per hobbysti. Qualche esperto provò a farsela installare al posto della seconda, ma non riuscirono ad avere le prestazioni della seconda e tornarono indietro. Indovina qualche fu il problema.»
«Questa la so. Le interferenze.»
«Esatto. I cavi erano troppo vicini e creavano interferenza tra di loro nonostante la schermatura. Uscirono cavi con isolamento migliorato, ma il problema era anche nelle porte. Cambiarono le porte ma il problema migrò nelle centraline alla fine risultava che era proprio il concetto di trasposizione mentale-informatica che generava il problema. Le interferenze erano, e sono tuttora, endemiche; irrisolvibili. Intendiamoci, la HoloData Service vinse la corsa per la diffusione di massa delle IRV e con la terza generazione si è fatta un sacco di soldi, molti, ma molti più di quelli che fece la Biochips. Però la seconda generazione rimaneva la migliore per gli hacker. Poi arrivò la quarta. Qualcosa che vorrebbero tutti. È perfetta, veloce quanto la seconda, se non di più. Un solo attacco grande quanto una moneta e un cavo sottile. È un evoluzione della terza sviluppata dalla stessa HoloData Service insieme alla General Optics; dopotutto avevano tanti di quei soldi... comunque, hanno miniaturizzato tutto e cambiato la logica di trasposizione. Non dà più interferenze e il cavo trasporta i dati con la fibra ottica. È perfetta. Una vera manna – per chi se la può permettere... e guarda che non è una questione di costi materiali, hanno tutto l'interesse a tenere gli hacker fuori dal giro.»
«Questa me la devi spiegare.»
«È semplice. Se non hai soldi, ti prendi una terza a buon mercato ‒ ormai non ti costano quasi niente ‒ i soldi vanno lo stesso alla HoloData, ma ti beccano subito se cerchi di fare qualcosa di illegale nella rete. Se vuoi fare qualcosa di illegale o prendi la quarta o prendi la seconda. Ma la quarta costa troppo ‒ anche per una come CJ ‒ così sono riusciti a dividere in classi chi naviga nella rete. Hai una terza? Sei un poveretto inoffensivo. Hai una seconda? Sei un hacker. Hai una quarta? O sei uno dei “migliori” – che hanno i soldi per potersela permettere – o sei un bastardo: feccia senza grandi abilità che si vende per lavorare protetto sotto la bandiera di una corporazione. Ah... diffida di uno poco bravo con la quarta. Sempre.»
Attraversammo la strada ed eravamo finalmente di fronte ad uno degli ingressi dell'enorme mercato coperto.

martedì 31 luglio 2012

FACTSHEET - MATERIA ANOMALA

Dossier 1/X

LA ZONA DI ALIENAZIONE
L'epicentro della Zona di Alienazione (ZdA) è il sincrotrone di Trieste.
La ZdA ha un perimetro circolare con un raggio medio di 50km ed è suddivisa in 4 settori.
  1. Anello esterno di sicurezza: è il perimetro esterno dell’area. Un cerchio militarizzato per evitare le infiltrazioni dei varcatori (o crosser) o la fuoriuscita non regolamentata di materia anomala. Ci sono tre gate di ingresso per l’area 2, uno per ogni nazione privata di una parte di territorio nazionale (Italia, Slovenia, Croazia).
  2. Corona di contenimento: è una corona circolare di terreno ampia 5km sotto la giurisdizione dell'ONU (attraverso l'UNOAMA). Alcune delle costruzioni presenti sono state modificate ed usate dall'UNOAMA per lo studio in loco della materia anomala. Alcune società governative e private possono ottenere permessi temporanei per lo studio autonomo della materia all'interno di questa corona, sempre sotto la stretta sorveglianza dell'UNOAMA.
  3. Anello interno: è un semplice bordo che delimita la fine della zona 2, definita sicura, e l'inizio della zona 4.
  4. Zona di alienazione: è un cerchio di circa 45km di raggio dentro al quale c'è una contaminazione di materia anomala.

LA MATERIA ANOMALA
La materia anomala è materia proveniente da un universo differente dal nostro che quindi segue regole fisiche differenti dal modello standard. Per queste sue proprietà è il materiale di più alto valore sul pianeta.
La materia è arrivata sul pianeta per via di un incidente avvenuto al sincrotrone di Trieste. Si suppone che la materia anomala sia una quantità finita.
Come per gli elementi del nostro universo, elencati nella tavola degli elementi, si hanno prove che la materia anomala presente sul nostro pianeta abbia differenti pesi atomici e comportamenti.
È già stato portato all'attenzione della scienza internazionale un isotopo di materia anomala che sembra essere capace di far decadere in tempi brevissimi eventuali scorie radioattive. Ulteriori test sono all'ordine del giorno.

L'INCIDENTE
Il 29 marzo del 20XX il sincrotrone di Trieste ha fatto degli esperimenti sulla scie delle nuove scoperte fisiche dell'LHC di Ginevra. Questo esperimento ha provocato l'incidente che ha fatto scomparire il cuore del sincrotrone, lasciando una semisfera vuota nel suo centro (come se avessero scavato un enorme pallina di gelato) e spargendo nei chilometri adiacenti al sincrotrone la materia anomala. Ci sono testimonianze che dicono di aver udito un'esplosione, altri che le esplosioni siano state in realtà due molto ravvicinate.

UNOAMA
(United Nations Office for Anomalous Matter Affairs)
Ufficio delle nazione unite per gli affari della materia anomala.
Il compito dell'ufficio è quello di analizzare e gestire l'emergenza della materia anomala per evitare che possa nuocere.
L'ufficio è sotto il controllo del segretariato delle nazioni unite.
Ci sono tre figure chiave che si distribuiscono il potere esecutivo all'interno dell'ufficio.
Responsabile del personale e attrezzatura militare.
Lui dirige le uniche forze armate legali di TUTTA la ZdA. Sotto la sua responsabilità ci sono tutti i veicoli ed il personale militare. Data la delicatezza dal punto di vista sociale dell'area, è stato scelto un personaggio incline al NON spreco del personale. Piuttosto si sacrifica il materiale. Il suo obiettivo è quello di coordinare le protezione per i gruppi scientifici dentro la ZdA e l'intercettazione ed eventuale mediazione con personale illegale dentro la ZdA. Nota: un morto tra i soldati dell'ONU fa notizia, un morto tra gli interni no.
Responsabile del personale civile e le ricerche.
Sotto la sua responsabilità ci sono tutti i non militari che operano nella corona di contenimento per conto dell'ONU e imposta le direttive per le ricerche sul materiale anomalo. A lui devono fare riferimento tutti i responsabili dei privati o delle agenzie governative che operano dentro la zona. Il suo obiettivo è quello di catalogare la materia anomala e capirne l'interazione con la materia standard.
Direttore tecnico.
Il suo interesse è che la materia anomala non proliferi sui canali illegali e che il bilancio della zona non dreni troppe risorse all'ONU. Gestisce anche le operazioni di coordinazione con le polizie nazionali per crosser in uscita. Il suo obiettivo è cercare una fonte di sostentamento autonoma per finanziare l'UNOAMA tramite le scoperte e le applicazioni della materia anomala e la riduzione della proliferazione illegale della materia anomala. Nota: Più fondi a disposizione vuol dire miglior equipaggiamento di ricerca e militare, che vuol dire più materia anomala, che vuol dire più fondi e così via.

PERSONALE ILLEGALE
L'UNOAMA ha classificato tre tipologie di persone che operano illegalmente attorno alla ZdA:
  1. Esterni: non mettono mai piede nella zona. Spesso sono i mandanti, sono dei ricettatori o anche agenti governativi interessati ad analizzare la materia al di fuori della supervisione della UNOAMA. Difficili da prendere se non si trovano dei varcatori disposti a parlare.
  2. Interni: persone che vivono la gran parte del tempo dentro la zona. Ci sono diverse categorie, le tipologie più diffuse sono gli esploratori e i commercianti. I primi hanno una certa confidenza con le anomalie della zona 4 e spesso organizzano spedizioni nelle zone più interne e pericolose della ZdA per recuperare materia anomala. Gli altri sono persone che vivono sulle risorse degli esploratori fornendo vitto, alloggio, armi e cure mediche. Spesso un interno è un autoctono che non ha voluto lasciare la sua terra di origine.
  3. Crosser: o varcatori, sono i personaggi a più alta specializzazione della zona perché hanno il compito più difficile: sono coloro che mettono illegalmente in contatto la ZdA con l'esterno.
    Operano secondo uno schema assodato. Per entrare è facile; devono solo correre il più velocemente possibile oltre la zona 2 dato che le forze dell'UNOAMA non possono superare la zona 3 senza permessi. Per uscire le cose sono molto più complicate, perché se venissero rilevati a varcare la zona 1, poi si troverebbero in territorio nazionale (italiano, sloveno o croato) dove l'UNOAMA collabora con le polizie nazionali e perseguiti fino alla cattura o tracciarlo fino alla scoperta di un eventuale esterno.
Non è escluso che ci siano personaggi che non rientrano all'interno delle categorie stabilite, ma la catalogazione è avvenuta analizzando le attività e indagando sui vari varcatori bloccati ed interrogati.

sabato 30 giugno 2012

Affare fatto

Capitolo 3 - Affare fatto

CJ si rianimò dall'attimo di stupore che l'aveva bloccata. Prese tra le mani la SDHC e la allungò a Madonna.
«Passala prima allo scanner e poi inseriscila sul terminale offline di test. Io resto qui con Moreaux e vediamo che succede.»
Mi rilassai sullo schienale del divano. Ormai era fatta.
Madonna si alzò e scomparì in una delle stanze laterali. Nel frattempo CJ non mi voleva schiodare gli occhi di dosso, mettendomi nuovamente a disagio.
«Di cosa avevate paura?»
Continuo a fissarmi senza rispondere.
Non passò un minuto che Madonna riaprì la porta della stanza facendo capolino.
«Niente di strano nello scanner.»
Dopo quella frase lo sguardo di lei sembrò alleggerirsi.
«Credevi davvero che ci sarebbe stata un'antenna?»
«Non sai mai cosa aspettarti di questi tempi.»
«È un brutto periodo?»
«Siamo in India. Colpa della quarta... sta rovinando tutto.»
«La genera—»
«OMMADONNA VIENI A VEDERE!»
CJ si alzò di scatto dalla poltroncina e si diresse in camera. Mi alzai e, dato che non fece obiezioni, la seguii dentro la stanza. Quando guardai al suo interno rimasi immobile sull'uscio. Avevo sentito tante leggende metropolitane sulle sale di navigazione, ma non ne avevo mai vista una dal vivo.
Nel centro c'era una poltrona che ricordava una sedia da dentista, solo che aveva una grossa asola che lasciava scoperta la spina dorsale. A fianco dell'asola c'era una specie di grosso pettine che teneva in ordine undici cavi con dei grossi jack che ricordavano quelli delle vecchie cuffie audio da 6,35mm, ognuno marcato con una fascetta di colore differente ed uno coassiale più sottile con innesto a baionetta. I cavi terminavano in una serie di grossi case di centraline hardware impilati su un rack. Di fianco una struttura gemella era stracarica di unità di calcolo collegate sia alla prima, tramite una serie di cavi piatti e larghi, sia ad un terminale che trovava posto su di una scrivania adiacente. Lì, davanti ad un vecchio triplo monitor a OLED sedeva Madonna, con una mano su una tastiera e l'altra su un mouse ottico. Nonostante l'affollamento sul quel lato della stanza, c'era ancora spazio per un altro rack. Dall'altra parte della stanza trovava posto un tavolo da lavoro, o almeno così potevo dedurre dallo stagnatore e da una serie di attrezzi a me sconosciuti, occupato da due laptop (anche se uno sembrava qualcosa di differente) ed uno sgabello regolabile in altezza. In un angolo, tutti i cavi alimentazione andavano a confluire in un grosso gruppo di continuità. Anche se era la prima volta che vedevo un posto simile, il ronzio incessante delle ventole di raffreddamento e l'odore elettrico dell'aria ionizzata accomunavano quella stanza a tante altre sale a me molto più familiari. Certe cose non cambiano mai.
«Guarda questa roba, oddio guardala!»
«Non ci capisco quasi niente Madonna, lo sai.»
Madonna si girò verso di me con gli occhi lucidi.
«Lo sapevo, lo sapevo che esisteva!», poi si girò verso CJ, «Questa volta facciamo il botto CJ»
«Attento che non ti scoppi in mano piuttosto... guardatelo con calma.»
«Farò prima se...», il tecnico indugiò su di me, «sarebbe meglio se facessimo una chiacchierata io e te.»
«Ti fidi?», lo interruppe CJ e Madonna rispose annuendo con aria solenne.
«Non hai idea di cosa ho visto lì dentro.»
CJ puntò di nuovo sul monitor dove stavano scorrendo righe di codice di programmazione di basso livello, incomprensibile per chi non fosse del settore.
«Già», rispose lei, «proprio non ne ho idea.». Poi si guardò attorno indecisa e riprese a parlare verso di me. «Sei fortunato Moreaux. Accetto il tuo lavoro. Sei nel gruppo.»
Dentro di me esultai, ma non feci trasparire niente. Forse mi vide accennare un sorriso, che lei ricambiò con gli occhi.
Si girò verso Madonna «Vedi se riesci a trovare una seconda ad un buon prezzo e poi senti Poyorena. Moreaux?», mi girai verso di lei, «Madonna ti porterà al mercato, io intanto comincerò a montare il rack per le tue centraline, così ottimizziamo il tempo a disposizione. Preparati ad imparare. Ti installeremo una IRV.»
Madonna chiuse le mani rumorosamente e cominciò a sfregarsele mentre usciva dalla stanza.
«Vado a prepararmi. Tu vieni così?», disse guardandomi
«S-sì. Perché?»
«Togliti quella giacca, urla “sono uno straniero pieno di soldi”.», rispose CJ per lui. Annuii.
«Ce li hai un po' di contanti?»
«Qualcosa.»
«Ottimo, devo prendere qualcosa di poco tracciabile.», Madonna mi tirò un'amichevole pacca sulla spalla e poi uscì dalla sala navigazione per chiudersi nella stanza dalla quale era uscito quella mattina.

mercoledì 30 maggio 2012

Gran finale

Per il contest "A hard day's night" di #Artescritta (Deviantart)

Oggi mi avevano fissato la riunione nell'ufficio del personale. Dopo tre anni di palate di merda ingoiate e di matasse sbrogliate con una retribuzione al minimo sindacale, da quelle facce di merda non mi aspettavo altro che la proposta per un nuovo contratto più vantaggioso. E invece me ne tornai a casa disoccupato a metà giornata, trovando la mia fidanzata intenta in un selvaggio rodeo sul cazzo di uno sconosciuto.
Ci sono cose che mandano fuori di testa anche il più pacato e questo era materiale capace di farmi diventare uno stronzo di prim'ordine. Non le dissi una sola parola, ne cercai di ascoltare alcuna delle sue. Le indicai la porta e basta. Si prese qualche straccio dall'armadio, qualche cosa dal bagno e se ne uscì. Poi mi lasciai cascare sul divanetto reclinabile, riavvolgendo il nastro della mia vita e mettendo a fuoco vari momenti per capire cosa dovevo aver fatto di male per meritarmi una giornata simile. Niente di niente, ma oggi c'era stato un bel vaffanculo al futuro che mi ero previsto solo quella mattina. Si ripartiva da zero.
Non so come ci riuscii, ma tra tutti quei pensieri mi appisolai. Un sonno leggero, disturbato da sogni fastidiosi; ricordo che in uno di questi c'era anche lei che faceva giochi sadomaso con Lenin. E sì che ero a digiuno dalla mattina. Ma come quel pensiero si fece strada nella mia testa, cominciai a sentire la fame. Aprii gli occhi e il cellulare mi disse che erano quasi le ventidue; oltre che avevo una decina di chiamate perse, qualche messaggio in segreteria e diversi SMS non letti. Lui poteva rimanere così fino a domani; io no.
Andai al frigo e presi dell'affettato, poi svuotai la dispensa di tutto il cibo spazzatura che trovavo. Tra merendine, patatine, un sacchetto di popcorn e un vasetto di peperoncini tondi ripieni al tonno, feci una cena schifosamente buona.
Poi tornai sul mio divanetto reclinabile, fissando il soffitto dell'appartamento con in mano la cosa più distante possibile da un hollywoodiano bicchiere di whisky; un succo di frutta alla pera in tetrapak con tanto di cannuccia pieghevole bianca a righine rosse.
Mi immaginai in quel momento. Ero patetico, e proprio in quel momento avvenne l'illuminazione: chiudere in bellezza. Dato che erano andati a farsi fottere tutti i progetti della mia vita e da domani avrei cambiato tutto, tanto valeva approfittare dell'ultima notte brava. Sarei andato alla ricerca della musica ad alto volume e delle ragazze in abiti succinti sballate d'ecstasy, per poi risvegliarmi la mattina successiva in una pozza del mio stesso vomito con uno sciame di spine danzanti nella testa. Sentivo di aver bisogno di un simile sfogo, l'avrei presa come il motivo per il quale mi era successo tutto quanto. Una scusa perfetta.
Il problema di fondo era che se avessi voluto entrare in una discoteca, mi sarebbe stata obbligatoria una buona dose d'alcool per reggere quella merda che pompava a tutto volume fuori dalle casse; ma a me l'alcool faceva schifo. Le uniche cose che ero capace di bere quando andavo fuori erano: cosmopolitan, grasshopper, baylies. Roba dolce dicevo io; roba da checche scherzavano i miei amici. Poco importava, quelli potevo mandarli giù e me ne sarebbe servito qualcuno prima di raggiungere la discoteca.
Mi misi in ghingheri, presi le chiavi dell'auto e scesi al bar sotto casa per farmi un buon drink prima di mettermi a guidare. La discoteca era davvero poco distante, potevo permettermelo. In fondo non me ne fregava niente. Non quella sera.
Tirai giù di un fiato un baylies e un cosmopolitan; il tempo di raggiungere l'auto e arrivare in discoteca che cominciarono a fare effetto. Sentivo la testa leggera e l'umore era già migliorato. Superai l'ingresso senza problemi e mi apprestai a pagare l'ingresso con un sorriso idiota stampato sul volto. Poi entrai nella sala da ballo e la musica mi investì come un'esplosione.
Luce soffusa, una leggera nebbia di ghiaccio secco e glicerina, raggi di luci colorate che correvano in ogni dove e, nel mezzo del salone, una bolgia umana saltellante al ritmo di quello schifo. Decine di poltroncine circondavano la pista da ballo rialzata e ai vertici del poligono ‒ sui cubi ‒ una sconcertante quantità di “a malapena maggiorenni” si dimenavano come se fosse il loro ultimo giorno di vita. Non volevo bere altro e mi diressi subito verso la pista tenendo il ritmo agitando la testa. Non avevo mai ballato in vita mia, ma là in mezzo non serviva alcuna esperienza. Era arrivato il momento di fare il cretino.

Era passato del tempo, anche se non avevo un'idea precisa di quanto, da quando mi fiondai nel casino più totale. So solo che i timpani non riuscivano a sentire altro che quel rumore ritmico e avevo ancora abbastanza alcool in corpo per reggere quell'affronto alla musica. Ad un tratto vidi una ragazza. Sembrava spiccare in mezzo a quei corpi agitati probabilmente per un solo motivo: mi stava fissando. Ricambiai lo sguardo con un sorriso e mi girai nella sua direzione. In risposta lei cominciò ad avvicinarmisi ed io notai come quegli occhi fossero strani, sembrava trasognata. Mi arrivò a contatto e mi resi conto che non stava vedendo me, ma sembrava che stesse fissando qualcosa oltre a me e dentro di me allo stesso tempo. Aveva un bicchiere in mano, vuoto, e mi si avvicinò all'orecchio. Mi aspettavo che dicesse qualcosa, invece ricevetti una leccatina sul collo e un dolce morsetto sul lobo. Ebbi un brivido. Poi tornò davanti ai miei occhi, fissandomi, ma senza vedermi. Si avvicinò di nuovo per cominciare una lotta libera tra lingue. Pensai che forse quella sarebbe stata la mia notte fortunata, poi lei mi infilò la mano libera nei pantaloni. Potevo togliere il forse.
Non avevo alcuna intenzione di aspettare, ne di pensare al perché. Volevo solo difendere la piega “fortunata” che aveva preso la giornata. Le gridai all'orecchio che potevamo andare a casa mia e lei esplose in un urlo di felicità abbracciandomi forte, da farmi male. Non mi mollò nemmeno quando facemmo timbrare i biglietti all'uscita.
Riuscii a scollarmela di dosso solo quando la convinsi a salire in auto. Le aprii la portiera e si accomodò guardandosi attorno entusiasta.
Partimmo verso casa, ma lei sembrava già arrivata. Nonostante distavo solo pochi minuti dal mio appartamento, lei si stava già scaldando. Partì con lo stimolarsi i capezzoli con le mani, lanciando qualche mugugno di piacere ogni tanto e mordicchiandosi le labbra nel mentre; poi allungò una mano tra le mie gambe cominciando ad accarezzarmelo. Si girò verso di me e io la guardai. Di nuovo gli occhi erano rivolti verso di me anche se lei sembrava vedere dentro di me e oltre; mi sorrise innocente. In quel momento, qualche parte del mio cervello cercò di gridare che le cose stridevano, ma continuò ad essere pestato dall'alcool e io non lo volevo sentire. Avevo una giornata di merda da scaricare.

Arrivammo al mio appartamento. Le aprii la porta e la feci accomodare. Come mi girai per chiudere la porta, lei mi saltò a cavallo sulla schiena e cominciò a leccarmi il collo. A fatica chiusi a chiave la porta e, mentre mi stava infradiciando il colletto di saliva, sembrava che grugnisse qualcosa come “letto, ora, letto, ora”. Per reggerla le infilai le mani sotto al sedere, palpandola platealmente. Lei esalò un gemito di piacere, per poi agitarsi e sentire le mie mani che si strusciavano sotto di lei. La portai nella camera da letto, dove lei mi liberò la schiena e si lanciò sul lettone. Le lenzuola erano ancora quelle dell'adulterio, ma non me ne fregava niente. Anzi, sembrava una piccola rivincita.
Si denudò ad una velocità pazzesca. Fece volare via le scarpe e il vestito in un attimo, al punto che io non ero ancora riuscito a togliermi i pantaloni nel frattempo. Mi sedetti sul letto per togliermi camicia e calzini. Una mia fissa: non ce la farei mai a rimanere con i calzini, nemmeno da ubriaco. Lei si piazzò dietro di me e cominciò a massaggiarmi le spalle ansimando “dai, dai, dai”. Sembrava che stesse facendo tutto da sola.
Come accennai a volermi togliere la camicia, lei passò a stuzzicarmi i capelli con le mani, mentre con la lingua tornò a lavorarmi i lobi delle orecchie. La camicia volò ai bordi della stanza e io mi girai per cominciare a darci sotto in due, nonostante lei avesse accumulato un discreto vantaggio.
Sembrò inarrestabile e io stesso mi meravigliai della mia prestazione. Forse fu lo stress da incazzatura da smaltire, ma feci un record di durata. Raggiunsi la quarta base per tre volte in un solo inning. Memorabile.
Poi crollai al sonno, sorridente, come un vero idiota. Magari mi sarei potuto prendere ancora qualche giorno prima di cambiare vita.

Uno squillo, forte. Non so se fosse il primo, ma mi svegliò. Erano appena passate le tre di notte e mi chiesi chi potesse rompere i coglioni a quell'ora.
Mi girai e lei era in piedi, mi guardava con degli occhi spalancati dal terrore. Aveva dipinto in faccia lo smarrimento più puro e la cosa spaventò anche me, perché lei non aveva la minima idea di quello che aveva fatto e di quello che stava per fare. Non fu certo il cellulare nella sinistra che mi terrorizzò, ma fu la destra ‒ che mi puntava contro un piccolo revolver da borsetta ‒ che mi sciolse l'intestino al punto che per poco non trasformai le lenzuola da: palco di un doppio adulterio, a: possibili reduci di un porno scatologico.
Non bastava una giornata dura, pure un finale di merda per la nottata.

lunedì 30 aprile 2012

Stupiscimi

Capitolo 2 - Stupiscimi

Madonna fece sparire il sorriso e tornò a fissarmi, intervallando ogni tanto l'operazione con un sorso di brodaglia o con uno sguardo a Madonna. Probabilmente lo stava aspettando per cominciare.
Non appena il tecnico riuscì a connettere il cervello ‒ ci volle ben più di un assaggio di caffellatte ‒ si accomodò sulla poltroncina affianco a CJ, seduta ancora a gambe incrociate.
«Stupiscimi.», cominciò senza staccarmi gli occhi di dosso.
«Cos...»
«Non ho creduto molto alla tua email, quindi ti consiglio di sbrigarti a farmi cambiare idea.»
Inarcai le sopracciglia, sorpreso. Essere arrivato lì per me voleva dire aver superato già lo scoglio più grande, ma a quanto pare non era così.
«Perché quella faccia? Cosa ti aspettavi, che avrei creduto alle cazzate del primo che passa?»
«Beh, essendo stata una delle poche, forse l'unica davvero in gamba, a prendermi sul serio credevo che—»
«Ascolta. Punto primo: è un po' presto per leccare e credimi: ora non ti aiuterà ‒ tutt'altro. Punto secondo: quanti archeologi ti avrebbero creduto se gli avessi detto che li avresti portati ad Atlantide?», fece una pausa ad effetto, «È normale che parlare della rete fantasma agli hacker abbia causato lo stesso risultato e io sono parecchio scettica.»
Madonna si lasciò andare ad una risata, anche se sembrò a tutti un colpo di tosse. Poi tirò su con il naso, bevve un sorso di brodaglia e prese la parola.
«Moreaux, se sei seduto lì è grazie a me. Ommadonna, pensa che CJ voleva scatenarti addosso un paio di virus per avergli mandato un mail del genere, ma poi... va be', mi sono messo a leggere tra le righe e ho notato qualcosa di insolito, almeno per questo tema, e poi ho cominciato a sospettare che—»
«In due parole: Madonna è uno di quelli che ci crede a quelle storie sulla RF e vuole darti una chance, io no.», tagliò corto lei poggiando la tazza ormai vuota sul tavolino. «Chi dei due ha ragione?»
Sospirai. «Ho tutto quello che mi serve per sostenere la mia tesi, ma si tratta di... 'informazioni confidenziali'. Sì, certo... posso giocarmele, ma poi non potrete più tirarvi indietro.» “È tutto quello che mi rimane” pensai, ma mi guardai bene dal dirglielo.
«Oh-ohh, ci sto... dai... stupiscimi.», il tono di CJ era basso ‒ di sfida ‒ e accennò un altro sorrisetto che mi gelò il sangue.
«Allora...» mi guardai attorno e mi sporsi in avanti sul divano abbassando il tono, «la rete fantasma si basa sul fatto che i database coinvolti non sanno di esserne parte. Come funziona: ogni file viene criptato, spezzettato e distribuito su N database ignari e se uno di questi frammenti dovesse venire analizzato singolarmente verrebbe scambiato per un file corrotto o un file di paging. L'unico modo per accedere ai dati è attivare un software presso uno specifico terminale che ricrea la rete virtuale temporanea degli N database e i file in essi contenuti. La rete è così difficile da identificare perché viene creata solo ad intervalli per eseguire le query in coda e poi distrutta nuovamente cambiando i criteri di encrypt—»
«Alt! Non voglio sapere altro.»
Brutto segno, era troppo presto. Non li stavo convincendo.
CJ si girò verso il suo tecnico «Solo speculazioni. Visto?», poi si stiracchiò, incrociò le braccia dietro la testa e distese le gambe sul tavolino evitando la tazza.
L'italiano aveva la faccia di uno che aveva perso una scommessa.
«Ommadonna, Moreaux cerca di capire, senza una prova tutto questo non vale molto.»
Rimasi a riflettere per un po' fissando la mia tazza.
«E se vi dicessi che posso farvi accedere ad una copia del programma di gestione della rete fantasma?»
CJ si prese un paio di secondi, poi scosse la testa.
«Finiamola qua. Là è la porta.»
«Come?»
«Là è la porta, vattene.»
«Non vi— Cosa dovrei fare!?»
«Meno chiacchiere Moreaux! Dammi una cazzo di prova!»
«E se... ma sai cosa... toh! Eccotela qua!», estrassi una piccola scheda di memoria, un vecchio formato SDHC, «Analizzate quello che c'è qui dentro e poi cominciamo il lavoro. E ora non vi tirate più indietro.», sbattei la mano con la scheda sul tavolino.
«E chi ci garantisce che lì dentro—»
«Ma che cazzo vuoi di più?!», gridai.
«Una garanzia, può esserci di tutto li dentro spina vergine
«Vuoi una garanzia?! VUOI UNA GARANZIA!? L'HO INVENTATO IO QUEL CAZZO DI SISTEMA! ECCOTELA LA GARANZIA!»
Cadde il silenzio, così come la tazza di Madonna.
«Bucherellata testa di cazzo... non vi siete neanche sprecati a cercare chi fossi veramente», le lanciai la scheda SDHC, «begli hacker.», commentai.
A quanto pare ce l'avevo fatta. Sembravano stupiti per davvero.

domenica 18 marzo 2012

Agente ad eliminazione selettiva

From "Unusual universe" concept

Tutta la galassia passava per il Goddard Exchange Center di Proxima Centauri: era il più grande hub merci della via lattea.
Rob era in coda, attendeva di pessimo umore il suo turno per scaricare la merce presso il dock 11 sul circuito di attesa 3. Amava il suo lavoro, però odiava sia il GEC che il suo carico; il primo perché sempre troppo dannatamente affollato, il secondo perché da anni, sotto consiglio del suo socio Ian, non trasportava che fango ferritico al 3,5%. La merce a più basso valore di tutto l'universo
Ricevette il permesso di attracco e portò la sua motrice Hauler 125 D-Special con i 5 rimorchi in coda al punto prestabilito. Si slacciò le cinture inerziali e si diresse verso l'uscita con i documenti, lasciando a Ian le operazioni di scarico. Lui sarebbe andato a trovare un altro lavoro e giurò su Zarquon, il sole ed un paio di buchi neri supermassivi, che non sarebbe stato altro fango ferritico. Sé ne fregava che fosse il materiale più sicuro da portare in giro
Lasciò tutti i documenti al personale della stazione per poi dirigersi alla sala scambi per i trasportatori freelancer.

Il salone era caotico come sempre. Centinaia di megaschermi e ologrammi sponsorizzavano questo o quell'altro lavoro. Rob voleva finalmente sfruttare il fatto di aver comprato al tempo la versione D-Special, quella che aveva lo spazio interno pressurizzato e riscaldato per cinquanta container navali. Passò una trentina di minuti tra alieni di ogni razza che proponevano lavori o materiali assurdi (come un putrescente lumacone Ro'org in giacca e cravatta che l'aveva pregato di trasportare un carico di insetti molesti per un banchetto su Volkron 12) fino a quando non vide un annuncio sul terminale della Infestolution Bioresearch.
'Cercasi trasporto pressurizzato e riscaldato per agente ad eliminazione selettiva di piccoli mammiferi parassitari infestanti sul pianeta in terraformazione Iris. 40 container navali. Urgente. Sedicimila crediti alla consegna ‒ solo se puntuali ‒ con spese di carburante e ammortamento cyberspazio a parte'.
Un affare. Prese la touch-pen del terminale e firmò il contratto elettronico lasciando i riferimenti.

Mentre tornava alla motrice gli arrivò al palmare la conferma della IB e i dettagli sulla consegna alla loro motrice, prevista nell'ora successiva. “Ian sarà entusiasta” pensò.

Ian non lo era affatto, sembrava più incazzato che altro.
«Dimmi cosa non va bene»
«È pericoloso portare un'arma biologica... è un richiamo per i pirati spaziali.»
«E tu non avvisarli»
«Ma sarai idiota. Iris è nel mezzo dei sistemi periferici, se ci attaccano non ci sarà alcuna polizia»
«La sorveglianza dei terrafor—»
«Sì, certo! E secondo te quelli si mettono ad attaccare i pirati? Aspetteranno che avranno finito per venire a raccoglierci con il cucchiaino»
Il palmare di Rob cominciò a suonare. Era il corriere.
«Ormai non ci tiriamo indietro», disse mentre si dirigeva all'ingresso della zona merci con il palmare in mano, «quindi vedi di calcolare una rotta sicura e sperare che non assaltino»

L'ultimo colpo di laser delle navette pirata portò a zero il livello degli scudi di assorbimento di energia.
Rob attivò la radio «Vabeneciarrendiamociarrendiamo!»
«Adesso l'hai piantata di fare il cazzone, eh? Ferma la nave e attiva l'airlock di scambio, salgo a bordo con i miei uomini.»
Rob fermò la motrice e guardo Ian.
«Ci uccideranno?»
«Non lo so, ma se non ti uccideranno loro, lo farò io»

Il capo dei pirati era un pinguino blu e bianco alto un metro, con una cicatrice su un occhio, un braccio (se di braccio si può parlare) cibernetico e una gamba di legno dal piede leonino come quella di un vecchio tavolo. Era seguito da altri due scagnozzi umanoidi. Entrarono nel vano di carico seguendo Rob e Ian.
«È questa l'arma chimica?», indico con la piccola pinna uno dei container.
«È lì dentro, sì»
«Apri il container»
Aprirono le porte. L'interno era stipato di casse di polimeri.
«Portatemi qua una di quelle scatole.»
Rob e Ian sfilarono una cassa per la maniglia. Sul fianco c'erano stampate le istruzioni; l'unico comando era un selettore rotondo ora importato su SLEEP. Poggiarono la cassa ai piedi del pinguino che continuava a fissarli con aria truce. Si chinò, lesse le istruzioni e spostò il selettore su LIVE. Subito si levò dalla cassa un miagolio.
Tutti si congelarono sul posto. Rimasero così per una decina di minuti mentre il gatto dentro la cassa continuava a miagolare. Senza dire una parola il pirata e i due scagnozzi, paonazzi in volto, tornarono dentro la loro astronave e si allontanarono. Allo stesso modo i due soci misero tutto a posto e raggiunsero Iris, il pianeta infestato dai topi.

Mentre scaricavano il materiale, Rob era alla ricerca di un piccolo lavoro per non tornare indietro a mani vuote. L'uomo del dock gli riferì che alcuni laboratori locali avevano munto diversi ettolitri di latte alla tela di ragno; ora servivano urgentemente ad una raffineria attorno a Beletelgeuse.
Rob si guardò attorno indeciso, «Non è che avete del fango ferritico?»

lunedì 27 febbraio 2012

Inserire il jack nell'apposito connettore

Capitolo 1 - Madonna e Coldjack33

L'appuntamento con ColdJack33 era alle nove di mattina. Io ero di fronte alla porta dell'appartamento alle sette e mezza. Il complice in quella levataccia fu l'albergo dove avevo passato la notte: faceva davvero schifo. Se i bassifondi di Chennai non erano mai stati una meta turistica, c'era un buon motivo; bastava guardare le strade dalla finestra per sentire il bisogno di lavarsi.
Bussai alla porta: un compromesso per verificare se ci fosse stato qualcuno sveglio in casa e non svegliare nessuno in caso stessero ancora dormendo. Nel caso non fosse arrivato nessuno mi sarei fatto un giro per il quartiere e sarei tornato dopo una colazione locale a base di tortine salate e salse piccanti. Tesi l'orecchio nella speranza di sentire qualche movimento. Percepii un leggero strisciare metallico, poi la serratura scattò e la porta si aprì; oltre lo stipite si stagliava la figura di una donna sulla trentina. Capelli rossi, vistosamente tinti, tenuti a spazzola. Aveva addosso solo un top nero abbinato ad un paio di pantaloncini neri da ciclista. Un bel fisico toccato qua e là da qualche tatuaggio in bella vista. Mi squadrò, poi buttò l'occhio sul micropc da polso per vedere l'ora.
«Non cominciamo bene, l'email era chiara: alle nove.»
«Non avevo sonno.»
Doveva essere Madonna, il tecnico di ColdJack33. Il bell'aspetto mi suggeriva che probabilmente non si limitava solo a quella funzione.
Sbuffò, «Sali qua, sul tappetino, e togliti le scarpe, o non entri.»
Eseguii senza fiatare.
«Lo sporco non è amico degli impianti neurali.»
Allargai un sorriso a quelle parole, «Beh, avete scelto proprio la zona giusta dove piantare le tende.»
Se avesse potuto incenerirmi con lo sguardo l'avrebbe fatto in quell'istante.
«Nessuno ti sta obbligando, vuoi contestare altro?»
Ritrassi il sorriso e alzai le mani in segno di resa.
Indicò la stanza in fondo al corridoio. «Là trovi il salone, va' a sederti sul divano e aspetta.»
Superai il corridoio lasciandomi alle spalle due stanze per ogni lato e arrivai ad una sala che accoglieva una cucina, un tavolone con quattro sedie e un divano messo di fronte a due poltrone. A dividerle c'era un tavolino basso di vetro con sopra un posacenere di ceramica bianca mezzo pieno. Nell'aria aleggiavano i resti di una sigaretta di scarsa qualità.
Sprofondai nel soffice divano e nell'attesa buttai l'occhio sui mozziconi schiacciati nella cenere. Erano senza filtro, forse delle Rouwendaal.
Madonna si fece viva dopo pochi minuti con addosso dei larghi pantaloni multitasca di tela verdi con grossi elastici sulle caviglie e puntò direttamente al frigo.
«Hai già fatto colazione?» chiese aprendolo.
«No.»
«Caffè?»
Annuii.
Tirò fuori del latte, prese tre tazze, due le riempì di acqua e una di latte. Le mise dentro ad un forno a microonde e lo fece partire a tutta potenza.
Si sedette sul piano della cucina e rimase a guardarmi per un po' senza dire niente.
La cosa mi mise a disagio, sembrava volermi passare attraverso con quegli occhi scuri. «Vuoi chiedermi qualcosa?», le chiesi.
Non rispose e si limitò a continuare a fissarmi fino al suono del timer.
Prese le tazze, versò dentro il caffè istantaneo e ne portò due al tavolino basso.
«Grazie», presi una tazza tra le mani.
«Assaggialo prima di dirmi grazie.», si sedette a gambe incrociate sul divano di fronte a me.
Lo assaggiai e le diedi ragione. Faceva schifo.
«Ok, ritiro quanto detto.»
«Spiacente, non c'è di meglio in zona al momento.»
Mi sforzai a buttare giù un altro po' di caffè, poggiai la tazza di fronte a me e cominciai a tastare il terreno.
«Da quant'è che lavorate assieme voi due?»
Si prese un attimo per bere un sorso di brodaglia e riflettere, «Circa sei anni.»
«Com'è ColdJack33?»
Mi guardò stranita.
«Intendo... vorrei sapere qualcosa di più sulla sua persona. Sulla rete non ho avuto modo di scoprire niente su di lui, nemmeno che faccia abbia. Vorrei evitare di dare una prima “cattiva impressione”.»
«Cattiva impressione, eh?»
Un uomo di corporatura robusta uscì da una porta sul lato del corridoio e si diresse verso il salone. Aveva capelli mossi, neri striati di grigio, lunghi fino alle spalle, e una barba sfatta delle stesse tonalità. Aveva addosso una t-shirt azzurra con delle scritte illeggibili per via degli eccessivi lavaggi e dei pantaloncini corti con fantasia tartan.
«Madonna, che ore sono?» il tono era basso e impastato, classico di chi si era appena svegliato.
«Sette e quaranta.»
«E che cazzo ci fa qua Moreaux.»
«È arrivato prima.»
«Grazie al caa—», sbadigliò senza ritegno, «avevi fretta Moreaux?»
«No, ma l'albergo faceva schifo e me ne sono andato appena potevo.»
«Non è una sorpresa, madonna... qua tutti gli alberghi fanno schifo.»
Si diresse verso il frigo.
«La tua tazza è già pronta.»
«Ommadonna», si poggiò le mani sui fianchi e inarcò la schiena all'indietro dando vita ad un concerto di ossa scrocchiate, «grazie CJ.»
Rimasi un secondo a elaborare quell'informazione. Poi capii e mi girai per guardare la donna seduta di fronte a me.
«Di niente Madonna.», gli rispose la donna, «Appena torni online con il cervello vieni a farci compagnia.»
«Sì, certo.», l'uomo rispose con i pugni chiusi poggiati sul bancone della cucina come un gorilla e la testa tuffata dentro l'aroma di caffè che saliva dalla tazza sotto di lui.
«Oh, cazzo...» lasciai cadere la testa all'indietro.
«Tranquillo, ho avuto prime impressioni peggiori di questa.»
«Non credevo...»
«Ci cascano tutti.», era sarcastico, ma fu il primo tentativo di sorriso che le vidi fare da quando ero lì.

mercoledì 11 gennaio 2012

Cosa fareste? (sondaggio)

Sondaggio sulle reazioni personali

È una mattina di Marzo e siete a lavoro. Voi non sentite alcun rumore, ma un forte boato è stato sentito a 35km da casa vostra. Sentite solo delle voci su quello che è successo fino a quando non tornate a casa.
Lì accendete il televisore su un telegiornale e vedete delle immagini incredibili. Un centro ricerca a 35km da casa vostra è scomparso portando via con sé anche una piccola porzione di terreno circostante, lasciando come testimonianza della sua precedente esistenza solo un “cratere” dalla conca perfettamente semisferica. Cratere fra virgolette perché non sembra che qualcosa abbia impattato sul luogo; piuttosto sembra che qualcosa abbia accuratamente tagliato e rimosso quanto si trovava lì. Non ci sono ancora delle ipotesi ufficiali su quello che è accaduto. Il centro ricerca era pubblico e visitabile da chiunque. Voi ci siete anche stati durante una visita scolastica ai tempi che furono per l'inaugurazione di un sincrotrone di nuova generazione ed un piccolo acceleratore di particelle ad anello. Tutti quelli che erano all'interno dell'edificio del centro sono scomparsi e si teme il peggio.
Passate una normale serata a casa, facendo un po' di fatica a dormire per quello che avete visto.
La mattina successiva ci sono nuove notizie che provengono dall'area attorno al luogo del disastro. Quella su cui i media calcano più la mano è il ritrovamento di un centinaio di persone (134 il conteggio attuale) morte durante la notte, il luoghi diversi (all'interno di un raggio di 45km dal centro ricerca scomparso)e con modalità di decesso diverse e, in alcuni casi, sconosciute. Ci sono state segnalazioni di persone scomparse e le autorità sono alla ricerca. Danno meno peso ad alcuni strani avvistamenti all'interno di quest'area, come ‒ la più enigmatica ‒ l'avvistamento di costellazioni sconosciute nel cielo da parte di un'appassionato.
Qualcun altro parla di attentati terroristici o cospirazioni massoniche, ma vengono archiviate come tesi molto poco attendibili.
Alcuni sindaci dei paesi più colpiti e vicini allo strano fenomeno accaduto al centro ricerca, chiedono di tenere i bambini a casa e fanno chiudere le scuole per precauzione, fino a quando non si capirà il rischio e fanno un appello alle ditte perché oggi avvisino tutti i dipendenti di stare a casa per la loro incolumità.
Tu vai a lavorare lo stesso. Non sono cose che capitano a te queste e poi il tuo posto di lavoro è in direzione opposta rispetto all'epicentro.
Attorno a te vedi che le cose sono diverse dal normale. Il traffico, la gente per strada, le vetrine dei negozi, gente che stracarica le proprie auto con beni di ogni genere, forse pronti alla fuga. Tutto sembra anomalo attorno a te.
Rientri la sera che le cose sembrano volgere al peggio. Il video delle costellazioni su internet ha ricevuto milioni di visite e circola un video, di cui si dubita dell'autenticità, dove un uomo sembra vaporizzarsi in mezzo alla strada di un paesino lì vicino in pieno giorno e un altro dove si avvista un animale sconosciuto. I TG aggettivano gli avvenimenti della mattina precedente come “emergenza nazionale” in quanto lo stato ha approvato in via urgente lo stato di emergenza. Si continuano a trovare cadaveri e le persone continuano a scomparire a ritmo preoccupante. Qualcuno ha abbandonato le città per allontanarsi dall'epicentro. Le autorità hanno istituito un numero di emergenza da chiamare in caso di anomalie e hanno messo in stato di allerta l'esercito in caso la protezione civile non sia in grado di gestire le emergenze da sola.
Questa notte non riesci a dormire. Lasci la TV accesa su un canale dove danno solo notiziari per seguire la vicenda e continui a guardare fuori e il cielo. Non sai se lo stai facendo per cercare un segno tangibile di quelle anomalie di cui tutti parlano o per assicurarti che in realtà non esistono. Poi osservi meglio la luna e scopri che non stai guardando la faccia normalmente rivolta verso la terra perché il disegno grigio sulla sua superficie è differente. Il disco bianco dovrebbe essere in fase morente, mentre tu la vedi piena quella notte. Nessun altro se ne è accorto? Passa un minuto nel quale la fissi senza capire e la TV annuncia quello che hai appena notato, sottolineando come questa anomalia accade solo vicino all'epicentro, mentre guardandola da oltre 60km dall'epicentro la luna segua la normale fase prevista.
Arriva la mattina senza che tu sia stato capace di chiudere occhio.
Nei giorni successivi non vai a lavoro e resti a sentire i comunicati della protezione civile che peggiorano con il passare del tempo. La soluzione finale presa nei due giorni successivi è l'evacuazione dell'area di 45km attorno al centro ricerca scomparso.
Ti danno un giorno per preparare i bagagli e sei conscio che, probabilmente, non potrai più tornare a casa. Saluti con una lacrima il posto che ti ha accolto fin da quando sei nato e sali su un autobus requisito al trasporto provinciale con un paio di grosse valigie con tutti gli effetti a te più cari, senza sapere ancora perché è avvenuto tutto questo.
Per quanto accaduto e vittime di una sciagura, ricevete un indennizzo che vi permette di ricominciare a vivere altrove con qualche preoccupazione di meno.

P.S.
Con il passare del tempo viene creato un cordone attorno alla zona dalla quale non può uscire né entrare niente per evitare “contaminazioni”. Si dice che dentro quella zona ora ci sia qualcosa di importante per la scienza, ma nessuno sa ancora che sia con precisione.

Cosa fareste? Riuscireste a vivere esiliati da casa per sempre? Siete disposti a riporre il vostro passato da qualche parte per poter vivere una nuova esistenza senza malinconia? Rischiereste la vita per entrare di nascosto nella zona e trovare quello che cercano gli scienziati?
Ricordate che c'è in gioco la vostra vita.

Vorrei avere la vostra opinione.