lunedì 28 ottobre 2013

La storia di Koranthia

Sperimentazione di Worldbuilding Medievale-Fantasy

LA STORIA E L'INIZIO
Grandi civiltà avevano segnato il mondo. Credevano che questi segni sarebbero stati irreversibili, ma la Grande Guerra Ancestrale aveva dimostrato loro il contrario. Tutti i Vecchi Imperi del passato erano faccia a faccia con la fine.
Differenze culturali, razziali, lussi, risorse strategiche erano state le scintille che incendiarono la guerra, l'avarizia il carburante che l'alimentò e la paura della fine fu l'acqua che la estinse. Dei Vecchi Imperi erano rimaste solo ceneri, ferite da rimarginare e volontà di ricordare gli errori del passato. Nuovi Regni, frammenti dei Vecchi Imperi, emersero dal caos per stabilire un nuovo equilibrio, ma questo non fu sufficiente a vincere il sospetto e la diffidenza che serpeggiava tra di loro.
Per cercare di superare questo ostacolo e di risolvere i problemi di scarsità dei prodotti di prima necessità causata dalla devastazione, venne dato il via al primo mercato fieristico mondiale.
Ogni Regno venne invitato a partecipare per mettere in mostra le loro merci in avanzo, con lo scopo di colmare le mancanze. L'unica richiesta era quella di mandare assieme alla delegazione commerciale anche una coorte militare per garantire la sicurezza di tutti. Nessuna discriminazione e un posto di uguale importanza per tutti.
Il luogo scelto per la fiera fu un'antica fortezza danneggiata dalla guerra, sulla tratta di uno delle più grandi vie commerciali dei Vecchi Imperi, al punto che ai piedi di quella fortezza erano caduti eserciti pur di averne il controllo. Strategicamente posizionata su un promontorio roccioso che si spinge nel mare, era facilmente raggiungibile da parte di tutti.
Il successo fu enorme.

I PRIMI ANNI E L'EVOLUZIONE
Per l'organizzazione della prima fiera, furono costituite delle regole largamente accettate stabilite specificatamente per dare forte spinta al commercio. Queste furono decise da rappresentanti politici ed economici dei Regni. Per controllare che tutto andasse come previsto e che le coorti militari fossero coordinate per garantire la protezione di tutti, fu istituito il Concilio dove sedevano personaggi politici provenienti da tutti i Regni.
Il compito principale del Concilio era di assegnare le cariche di Contestabile della Fortezza e di Tesoriere del Commercio a persone che fossero gradite da tutti i rappresentanti dei Regni. Al primo erano demandati tutti i compiti di protezione e sicurezza. Del secondo era responsabilità assicurarsi che i mercanti non frodassero le poche regolamentazioni economiche che vigevano. La durata della carica si limitava a un evento, poi nuove selezioni venivano effettuate.
La fiera durava circa un mese, ma ebbe talmente tanto successo che dopo diversi anni alcuni commercianti decisero di fondare delle Missioni Commerciali stabili presso la fortezza. L'unico costo che sostenevano era il pagamento del gettone giornaliero che dovevano versare al consiglio per la loro presenza nella fiera. La possibilità di pianificare gli scambi con anticipo tra grandi commercianti era un ottimo modo per massimizzare i guadagni, ma sotto questa “nobile” veste c'era un trucco atto ad aggirare il sistema di tassazione adottato dai Regni per i commercianti.
Molti Regni adottavano un sistema di bolle che permetteva di capire quanto materiale portassero in fiera i commercianti e quanta merce riportassero indietro. Tutto l'oro che si avanzava dallo scambio veniva tassato. La fondazione di queste Missioni aveva lo scopo principale di accumulare in una zona esentasse tutto l'oro possibile. Grande disponibilità di oro in un luogo del genere permetteva di sveltire le trattative e cominciarono anche le prime attività di prestito per dare la possibilità ad altri commercianti di completare transizioni economiche nel caso mancassero dei fondi.
Venne fondata la Gilda delle Missioni e dei Commercianti Liberi che raccolse i fondi di chi avesse intenzione di finanziare la ricostruzione della fortezza, l'ampliamento delle mura trasformandola in una cittadella e il miglioramento delle infrastrutture portuali e stradali. Avviati i lavori fecero pressione per avere più coorti a protezione.
Il Concilio fu contento di fornire nuova protezione con un aumento del costo del gettone giornaliero, ma cominciò a sentire puzza dietro il nuovo benessere dei grandi mercanti e gli uomini del Tesoriere del Commercio cominciarono a scavare. Alla scoperta delle attività illecite di prestito e accumulo aurifero, il Concilio introdusse i libri contabili per la gestione dell'oro e una quantità di tasse annuali sui depositi auriferi. Le tasse sarebbero state versate ai regni di appartenenza.

LA MATURITÀ E LA FONDAZIONE DELLA REPUBBLICA COMMERCIALE
Dalla prima fiera erano passate tre generazioni e con la fondazione di sempre più grandi Missioni Commerciali stabili in mano a commercianti, ai loro figli e al loro personale, la fiera cominciava a somigliare sempre di più ad una città. Cominciarono a comparire le prime attività produttive e i primi servizi. Molte persone che risiedevano nella cittadella erano nate lì e non si sentivano più legate alle loro terre di origine.
Dopo lo scandalo dei depositi auriferi e dei servizi bancari, alcuni grandi commercianti non erano più visti di buon occhi in quanto dovevano presenziare alla fiera mondiale per aiutare l'economia del regno, non per i propri interessi personali. I politici del Concilio approfittarono della situazione e della loro posizione per cominciare a mungere la vacca grassa.
Il Concilio aggiunse progressivamente nuove tasse sui depositi auriferi al punto da rendere infruttuosa l'attività di prestito e cominciò a falsificare i suoi documenti contabili trattenendo una parte dell'oro all'interno della cittadella, invece che versarla ai Regni. Con quella grande quantità di oro in eccesso il Concilio fondò il Banco della Cittadella che, avendo come scopo esclusivo il finanziamento dei Regni invece del finanziamento alle attività commerciale, era l'unico ente di prestito a godere di un regime di tassazione privilegiato per i depositi auriferi.
Alcuni grandi commercianti intuirono che qualcosa di sporco si celava dietro l'operazione, ma non avevano uno strumento legale per contrastare il Concilio: in fondo non erano altro che commercianti presenti ad una fiera. Così studiarono un progetto a lungo termine per cacciare i politici del consiglio e puntare all'indipendenza.
Il primo passo fu costituire una Milizia Cittadina pagata direttamente dai commercianti con il fine di facciata di ridurre i costi a carico del Concilio, ma con lo scopo principale di passare la fedeltà delle forze militari dal Concilio ai mercanti. Il Concilio tagliò quasi completamente la guardia cittadina lasciando pochi membri per difendere il Concilio stesso e poco dopo la riduzione del gettone giornaliero ci fu un ritocco della tassazione aurifera.
Il passo successivo fu quello di legare economicamente alcuni Regni con le banche dei commercianti. Anche se in perdita, prestarono grandi quantità di oro ai Regni con un sistema molto ingegnoso. Con la scusa di ridurre i rischi legati al trasporto dell'oro, le banche emisero dei Certificati di Valore per i loro depositi auriferi. I Regni che accettavano quel genere di valuta, avrebbero avuto degli interessi estremamente bassi. Questo mise fuori mercato il Banco della Cittadella. L'unica garanzia che si chiedeva era quella di accorrere alla difesa della cittadella in caso di guerra; dopotutto c'era tutto l'interesse di salvare il deposito aurifero che si celava dietro ai titoli cartacei.
Il consiglio non contrastò i piani delle banche commerciali. Dato che l'oro delle banche rimaneva nella cittadella, lo poteva tassare per intero e accrescere le riserve del Banco della Cittadella. Pur di legare un numero di regni sufficienti per garantirsi la sicurezza, la banche dei commercianti chiesero in prestito soldi al Banco della Cittadella, senza preoccuparsi degli interessi da restituire e facendo finire il Banco in una zona grigia. Non avrebbero potuto prestare l'oro alle banche commerciali, ma dato che l'avrebbero utilizzato per finanziare i Regni il Banco non si sentiva troppo un fuorilegge. Inoltre l'oro andava nei depositi commerciali e potevano tassarlo a regime pieno.
Al momento giusto i commercianti mostrarono le prove della corruzione del Concilio: dichiaravano un gettito dalle tasse minore di quello versato e usavano il disavanzo per accrescere il proprio patrimonio e finanziare i regni prima e le banche poi tramite il Banco.
Nel centro dello scandalo, con la mancanza di un Concilio forte, i commercianti dichiararono l'indipendenza della prima repubblica commerciale: Koranthia.
Nessuno dei Regni ebbe il coraggio di contrastare quella manovra, in quanto molti erano in possesso di titoli che sarebbero diventati carta straccia al primo cenno di ostilità verso la Repubblica Commerciale.

OGGI
Dopo l'indipendenza venne istituita la Camera della Gilda, per sostituire le funzioni dell'abolito Concilio. Tutti i mercanti che avevano partecipato alla Gilda delle Missioni e dei Commercianti Liberi ebbero un seggio all'interno della camera, ma gli ideali iniziali di cooperazione ed integrazione mondiale della fiera rimasero saldi al punto da diventare leggi. Non fu solo una questione di buonismo, quanto un modo di mantenere buoni i rapporti con tutti i Regni.
Vennero riformate tutte le regolamentazioni economiche in modo da favorire al massimo gli scambi commerciali e gli istituti bancari. Con il passare del tempo vennero fondate anche delle attività produttive per evitare di dipendere industrialmente dai Regni stessi. I migliori maestri furono pagati profumatamente per aprire cantieri navali atti a potenziare la flotta battente la bandiera della Repubblica.
Oggi, nonostante la creazione di altri centri bancari in giro per i Regni, niente può contrastare l'egemonia delle banche della cittadella, grazie anche alle università capaci di creare una classe dirigente degna di questo nome.
Ogni genere di merce e di interesse passa per la Repubblica Mercantile di Koranthia. Proprio per questo gli interessi dei Regni non si è fermato. I Regni hanno l'interesse ad avere del controllo sulla Camera della Gilda e possono garantire a coloro che accettano di perorare le loro cause l'unica cosa di cui la cittadella è priva. Terra.
Gli abitanti della cittadella sono sempre di più e gli spazi sono sempre gli stessi. Questo prima o poi porterà ad una crisi.

lunedì 30 settembre 2013

Morte alata

Contest: In volo

Finii l'alexander e lo sbattei sul tavolino. Feci per andarmene, ma l'uomo mi afferrò la manica della camicia. Disse qualcosa, sovrastato dal volume della discoteca. Gli porsi l'orecchio.
«Ti piacerà.»
«Non ucciderò nessuno. Mai. Chiuso.»
«Mi pregherai di rifarlo, credimi.»
Mi sfilai dalla sua presa e lasciai la sala VIP senza girarmi. Probabilmente avrei visto il suo sorriso se l'avessi fatto; aveva già vinto e io non lo sapevo.
Pensavo solo a dove cercare un lavoro normale quando salii sulla Corvette e vidi il piede di porco sul sedile del passeggero. Non ebbi il tempo di chiedermi come aveva fatto ad arrivare lì che cominciai a sentirmi salire. Non credo che ci possano essere altri modi per definire quell'effetto: vedevi la tua mente lasciare il tuo corpo, salendo piano piano sopra di esso e diventavi uno spettatore impotente di te stesso. Imparai ad amare quella sensazione.
Con delicatezza mi vidi portare la macchina fuori dal parcheggio e guidare verso nord nella notte calda e umida della Florida.
Mi seguii fino a quando non raggiunsi uno squallido palazzo popolare dei sobborghi. Mi vidi prendere il piede di porco, assicurarlo tra le dita e dargli un bacio portafortuna mentre mi dirigevo verso l'ingresso. Superavo il portone lasciato aperto e vedevo correre nella mia testa le immagini dell'incontro in discoteca; cercavo il numero dell'appartamento della vittima. Sentivo crescere l'eccitazione per quello che stavo per fare.
Mi vedevo camminare nei corridoi lerci in cerca di un segno che mi facesse ricordare il numero dell'appartamento. Scosse di piacere correvano lungo la colonna vertebrale e avevo la pelle d'oca in ogni centimetro del mio corpo. Lo sentivo anche se non ero lì con esso.
22B!
Vidi appoggiare il mio orecchio contro la porta. Sentivo dei sospiri di piacere, una donna e un uomo. Il piede di porco si inserì nella porta e cominciai a metterci forza, in silenzio. La porta si socchiuse, bloccata dalla catena. Fine del silenzio.
Un calcio spezzò la catena e mi vidi lanciato a tutta velocità verso la camera da letto. Quando mi raggiunsi il piede di porco aveva già fatto sanguinare la testa dello spacciatore. Non credo che cercai di fermarmi, perché continuai fino a quando non fui più capace di riconoscere la testa in mezzo a quella pozza di sangue, ossa e cervella. Ero in preda del piacere più assoluto, indescrivibile. Era come se tutto il mio corpo fosse un'erezione in procinto di un orgasmo.
Mi vidi guardare verso la prostituta; aveva gli occhi spalancati dal terrore. Non era riuscita a fiatare. Avevo un filo di bava che mi correva giù dalla bocca e un sorriso inquietante non meno del mio sguardo; mi feci paura, ma volevo vedere fin dove potevo arrivare.
Con la barra del piede di porco le bloccai la gola contro il pavimento, schiacciando di peso con le mani alle due estremità. Le labbra di lei viravano verso il blu. La baciai e poi diedi sfogo alla mia erezione, finendo il lavoro che il pusher non era riuscito a fare. Non fiatò; ma stavolta non credo che avrebbe potuto dire molto.
Vidi il mio corpo scagliare il piede di porco contro il muro e lì rimase. Uscii dall'appartamento respirando a pieni polmoni piacere puro. Ero in pace.
Salii sulla Corvette e mi diressi a casa.
Mi lasciai cadere sul pavimento del mio appartamento continuando a volare sopra il mio corpo. Mi ci volle un'oretta per tornare a contatto con me stesso. Sembrava la creazione dell'uomo.
Il piacere cominciò a scivolarmi fuori dalle dita. Cercai di afferrarlo, ma continuava a scappare rimpiazzato dal disagio che si accumulava nello stomaco. Crebbe fino a quando non ne potei più. Provai ad alzarmi con tutte le mie forze, a lanciarmi in direzione del bagno, ma rimasi a terra con le lacrime che mi liberavano il nodo alla gola. Infine il vomito.
Sentivo dolore in ogni fibra del mio corpo e piangevo non per quello che avevo fatto, ma perché quella sensazione paradisiaca era svanita e non sarebbe mai più tornata. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di provarla per un'altra volta, anche se fosse stata l'ultima. Cominciai a pregare tra le lacrime.
Una busta venne passata sotto la porta.
Sopra c'era scritto DeathAngel. Dentro una pillola e un biglietto. C'era un altro indirizzo e una nota: te l'avevo detto. Ora torna a volare.
Grazie a dio. Ingoiai la pillola e tornai a volare.

sabato 31 agosto 2013

Provare

Capitolo 7 - Provare

Varcammo la soglia dell'appartamento e CJ cominciò ad interrogarci dalla sala di navigazione.
«Allora, com'è andata?»
Madonna non rispose subito, si tolse le scarpe e la raggiunse nella stanza. Lo seguii a ruota.
CJ stava montano un rack nell'angolo vuoto della sala di navigazione. Dei tecnocchiali wireless le mostravano in sovrimpressione delle immagini che mostravano le varie fasi di montaggio. Aveva già montato la base e stava procedendo a salire.
«Bene, la cervicale è già qui ed il resto ce lo consegnano nel pomeriggio. Pensa che quel rompicoglioni di Ramakrishnan aveva cominciato a farmi il pippone sulle cervicale formattate a basso livel—»
«Quindi solo uno di noi va da Poyorena con lui?»
«Eh? Sì, resto io qui a casa. Devo controllare che non mi rifili dei rottami alla consegna.»
«Come quella volta dell'Onkyo “fresco appena uscito di fabbrica”?»
«Uhmadonna, non farmici pensare. Ero lì lì per menarlo.»
«Fortuna che ti ho fermato. Avete preso anche la sedia? »
«Vado io adess—»
«Fa vedere la centralina.»
Mandonna le passò la scatola. «Tieni, dicevo... vado io adesso a prenderla. Ti chiamo quando sono qua sotto e mi mandi giù Moreaux per farmi dare una mano. Ok?»
«Sì»
«Ok, vado. Vi lascio il tempo di parlare un po'.»
Appena Madonna uscì dall'appartamento, CJ riprese a parlare continuando a montare il rack, senza degnarmi di uno sguardo.
«Biochips... una tua scelta o di Madonna?»
«Gupta.»
«Sa quello che fa, al contrario di te... non avevi idea di cosa prendere vero?»
Non risposi.
«Per quanto riguarda tutto il materiale per il collegamento? Ne hai parlato con Madonna? Andava bene? E le tessere che ha comprato? Gli hai specificato che tipo di immagine vuoi per la egoproiezione?»
Sospirai chiudendo gli occhi, sentendomi colpevole.
«Non ti sei documentato... ma hai davvero voglia di farcela?»
«Che altro motivo potrei avere?»
«Per provarci.»
«Infatti.»
«Quindi vuoi solo provarci. Non sei intenzionato a farcela.»
«Davvero?! È questo... cioè... qua che volevi andare a parare? Yoda?»
«Questa la domanda è.»
Sospirai, «Capisco... non credi a una parola di quello che ti ho detto, quindi... vuoi sapere davvero perché sono qui? Bene... sei pronta a farti una bella risata?», attesi un cenno, «Ecco qua... voglio morire senza il rimpianto di non averci provato.»
A quelle parole CJ fermò il suo lavoro.
«Contenta? Il susy era il grande colpo per me, l'unica uscita da un mondo di merda dal quale non riuscivo ad uscire e ancora, porca puttana, non riesco a credere di essere stato tradito dal mio collega! E non posso pensare di continuare a vivere senza aver provato ‒ sì, hai sentito bene cara rompicoglioni, provato ‒ a recuperarlo. Spero di riuscirci, ma non mi faccio illusioni, non ho la minima idea a cosa sto andando incontro con tutto questo e ancora non ho capito cosa cazzo vuoi da me. Io vi ho dato tutto quello che ho e detto tutto quello che so. Non so più che cosa fare e se mi vuoi mandare a fare in culo, fallo adesso o chiudi quella cazzo di bocca per sempre e tenetevi pure i sold—»
«Nemmeno io avevo idea di cosa stessi facendo quando presi la prima cervicale», si girò verso di me e guardandomi negli occhi, «sapevo solo che dovevo provare, perché la realtà che mi circondava non mi piaceva. Volevo evadere. Non credevo nemmeno io che ci sarei riuscita, eppure eccomi qua. Ancora mi meraviglio di essere sopravvissuta, dovevi vedere come ho fatto i primi lavori... mi faccio paura da sola a ripensarci... nessuno mi aveva sostenuto, nessuno mi aveva dato credito. So che cosa vuoi dire, quindi...», mi sorrise, «chiudo la mia cazzo di bocca per sempre.»
CJ non disse altro. Il silenzio era interrotto soltanto dal micropc da polso, che emetteva un piccolo suono di conferma ogni volta che passava all'immagine successiva. Curioso il fatto che lo indossasse alla caviglia e mandasse avanti le immagini premendo lo schermo con l'alluce dell'altro piede. Solo adesso, guardandola di schiena notai i copri jack di gomma rosa sulle vertebre.
«Vuoi dare a me il PC da polso?»
Non rispose.
«Hai il permesso di aprire quella cazzo di bocca se vuoi. Non me la prenderò.»
«No, lo tengo alla caviglia. Sono più veloce così.»
«Ancora non ti fidi?»
«E che... lo so e basta. Passami le griglie lì dietro.»
Quando gliele porsi, lei mi passò il micropc da polso.
«E sia. Facciamo una prova.»
«Non ti deluderò.»
«So anche questo.»
Sia il tono che la sua espressione mi fecero capire che le ostilità erano cessate, ora stava a me far capire che la fiducia non era mal riposta.

mercoledì 24 luglio 2013

Cyberclinik Ending

Cyberclinik - Parte 4

Tutto il pomeriggio chiuso in studio. Stanco. Caldo, troppo caldo. Finestre spalancate. Non voglio farmi vedere da nessuno. La segretaria. Le ho fatto cancellare tutti gli appuntamenti. Le ho detto di andare via. Di avvisare mia moglie che non tornerò a casa. Dormo qui. Perché mi guardava strano? Cos'ho? Mi prude sotto la garza. Stupidi cerotti spray eVolve. È il sudore, sono troppo caldi. Torneremo a quelli della BioTech, devo segnarlo che non vanno bene. Mi tolgo la camicia. Continuo a sudare. Mi tolgo tutto, ma fa ancora troppo caldo. Vorrei togliermi la pelle, ma fa male. Altro sangue nel lavello. Sento dei rumori dietro di me. È Stoklos, per l'appuntamento. Mi guarda con un sorriso malizioso, sono nudo. Mi fa uscire dal bagno e mi fa sdraiare sul lettino. È fresco. Mi faccio trasportare dal contatto. Chiudo gli occhi e quando li riapro la vedo. Formosa e ornata di pelle nera lucida. Mi sforzo per sorriderle. Mi guarda strana anche lei. Perché fate tutti quella faccia? Tiene la frusta in bocca e mi mette addosso i costrittori. Sembra tesa. Il lettino si sta scaldando, basta calore. Non ce la faccio più, mi devo alzare. Sono bloccato dai costrittori. Stoklos? Perché sei al telefono? Devo fermarla, trama contro di me. I costrittori sembrano deboli, forse mi basta tirare un po'. Il cavo si spezza. Mi alzo e lei usa la frusta. La ferita brucia, calda. Basta! Urlo. Stoklos ha paura. Vedo l'urina per terra, sotto gli stivali. Stoklos finisce a terra. Batte la testa, la mordo. L'odore del sangue è favoloso. Sento un richiamo, silenzioso. 12B, arrivo.
Sono veloce nei corridoi vuoti. Notte. Nessuno mi guarda strano. Il guardiano in cabina è immobile, mi guarda, altri pantaloni bagnati. Premo il tasto. Ronzio dalle porte. Corro. 12B. È già in piedi, senza costrittore. Mi aspettava. È felice. Rumori fuori. Mi guarda. Dobbiamo liberare i nostri compagni. Corriamo fuori e un tuono fa cadere 12B. Non si muove più, non parla più con me. Mi giro, O'Donnel: ricarica. Urlo. Un altro tuono. La mia mano sinistra, non c'è più! Dov'è? Eccola, frammenti volano. Ricarica per la seconda e ultima volta. Gli amplificatori di riflessi scattano e vedo il mondo rallentare.

domenica 30 giugno 2013

Cyberclinik Darkness

Cyberclinik - Parte 3

Il ronzio scatta e le serrature delle celle si bloccano. O'Donnel dice qualcosa sul fatto che siamo al completo, ma non gli presto la minima attenzione. Per via della sua efficienza adesso non ho più una cella libera, ergo di colpo mi aspetta una valanga di lavoro: un mucchio di ritardati con qualche strana sindrome cyberpsicotica. Forse basterà un semplice trattamento con il braindance. Perché non fa come tutte le altre squadre della anticyberpsicosi? Loro hanno la buona abitudine di tenere premuto il grilletto molto più a lungo del necessario per non sperperare i soldi dei contribuenti in inutili cure costose. Gli do una stretta di mano, mostro il sorriso migliore che riesco a fare e lo invito a tornare al suo lavoro: qui ho da fare. Sto sudando, perché fa così caldo qua dentro? Non vedo l'ora che se ne vada; stranamente mi irrita la sua presenza. Credo che mi abbia guardato in modo strano, forse ha visto in me qualcosa che non va? Io sono capace di capirlo con i miei pazienti, forse avrà intuito qualcosa. Non mi interessa; capisca quello che vuole, io ho un appuntamento con il corpicino anoressico della 12B.
Raggiungo l'ala e parlo con le guardie. Mi guardano in modo strano, cosa cazzo stanno fissando? Cos'ho di sbagliato? Cammino lungo il corridoio delle celle mentre metto la penna ecografica in tasca e mi infilo i guanti per la perquisizione. Muoio dal caldo, possibile che sia la tensione? Non è la prima volta che faccio una cosa del genere ad una paziente. Arrivo davanti alla porta e attivo il monitor di sicurezza per vedere se è ancora legata. È rannicchiata in un angolo, si dondola in cerca di sicurezza e non parla. Almeno niente di comprensibile. Faccio attivare la serratura della porta ed entro. La guardo, mi guarda. Chiudo la porta, mi dirigo dietro di lei e comincio ad osservare le dita delle mani. Ci sono i segni di un impianto, ma non è da combattimento, è estetico; probabilmente tecnounghie ottiche. Prendo la penna ecografica e comincio a scannerizzarle i palmi delle mani. Nessuna risposta anomala. Niente impianti sottopelle. Passo ai piedi, niente sulle unghie, niente sulle piante. Sospiro. Non può essere stata lei a spaccare i cavi di costrizione. Ottimo. Disattivo la telecamera e mi tolgo i guanti. A noi due. Ho un caldo insopportabile. La metto in ginocchio davanti a me. Mi tolgo il camice e arrotolo le maniche della camicia. Lei continua a fissarmi. Lasciandola in balia del costrittore le tolgo la tuta dell'istituto, queste bellezze sono fatte apposta per essere tolte anche se il paziente è costretto in quella ridicola posizione. La guardo e non provo niente. Lo sapevo, non è proprio il mio genere. Ma non è il piacere quello che sto cercando, solo vendetta. Comincio a tastarle il ventre, fingo un qualcosa di medico nel modo in cui la tocco, poi mi lascio andare. Perché provo solo nausea? È davvero così messa male? Impugno la penna ecografica e mi avvicino alla museruola. Attivo la modalità alimentazione forzata. Il paradenti integrato le costringe la mascella in posizione aperta. Ora potrebbe gridare, ma stranamente sta zitta. Inserisco con dolcezza la penna ecografica, ci passa a malapena, e la estraggo coperta di saliva. Puzza da far schifo. Ripeto l'operazione qualche volta sperando che il mio corpo risponda. Niente da fare. Mi fermo. C'è qualcosa che non va. Sento che sto facendo qualcosa di sbagliato. Com'è possibile? Non dovrei farle del male. Se lo merita veramente? La guardo negli occhi, sono cambiati da stamattina: non mi guarda più con odio. Percepisco in lei una sensazione preoccupante: solidarietà. Mi sento male, sto per vomitare. Grido alle guardie e la serratura scatta, esco nel corridoio giusto in tempo per buttare fuori il pranzo sul pavimento. Ordino di ripulire e lasciar stare la paziente. Perché mi guardano in quel modo? Torno in ufficio. Faccio fatica a camminare, se non fosse per tutto questo caldo.

venerdì 31 maggio 2013

Cyberclinik Reprise

Cyberclinik - Parte 2

L'infermiera mi stringe forte la benda sopra il cerotto spray e la ferma con una graffetta. Io sono concentrato sul suo fisico atletico, precisamente sul seno. Quando cerca i miei occhi alzo lo sguardo e sorrido. L'ha notato.
«Si sarebbe dovuto parare con la sinistra, dottor Kreigmaister.»
Eccola, bastarda. So dove vuole andare a parare e allora la sfotto un po' sottovoce, «E così privarla di certi suoi “godimenti paradisiaci”? Non sia mai, infermiera Stoklos.»
I suoi occhi si socchiudono per un attimo, un suo riflesso caratteristico. Lo fa ogni volta che mi molla un colpo di frusta e se in quel momento avesse potuto farlo di certo non si sarebbe trattenuta come fa in altri momenti. Le avevo promesso che non avrei mai parlato di quelle cose nel suo ufficio, ma sapevo che l'aveva fatto apposta a citare la mia mano sinistra. Io sono solo stato al gioco.
«Stasera verrai punito come si deve», mi risponde con flebile voce vellutata, poi torna ad un normale tono discorsivo, «non credo che il morso della 12B sarebbe stato capace di danneggiarle la sua mano cibernetica dottore.»
«È stato un riflesso naturale. Se avessi avuto gli amplificatori attivati fin da subito non mi avrebbe neanche sfiorato... è stata incredibilmente veloce.»
Il cellulare comincia a suonare nella tasca. Guardo il display: il capitano O'Donnel. Merda, lavoro in vista. Rispondo subito e faccio un segno all'infermiera per dirle di lasciarmi stare.
«Capitano?»
Sento solamente il forte ronzio tipico dei velivoli a spinta vettoriale in dotazione ai reparti speciali della polizia anticyberpsicosi.
«Dottore, come va?», la sua voce si sente a malapena.
«Molto male, ho una mano che sanguina... e per colpa sua O'Donnel.»
«Niente di nuovo allora.»
«La paziente che mi avete portato ieri notte è fottutamente pericolosa.»
«Quale?»
«La anoressica con la cresta rossa e viola. Quella che sembra senza innesti. Mi avevate detto che era tranquilla.»
«Appena si reggeva in piedi quando l'abbiamo prelevata. Me ne racconti un'altra.»
«La prossima volta si faccia mordere lei allora.»
«Però! Ma non eravate un istituto di massima sicurezza?»
«Faccia battute migliori.»
«Vorrei, ma è un momentaccio. Senta, arrivo al punto. Quanti potete accoglierne oggi?»
«Che succede?»
«Stiamo facendo il pieno, almeno una trentina di segnalazioni, tutti con gli stessi sintomi di cyberpsicosi.»
«Quali?»
«Come la sua amichetta con la cresta rossa e viola: nessun sovraccarico di impianti, aggressività, difficoltà nella coordinazione... il resto lo conosce.»
«Verifico quanti posso accoglierne e le faccio sapere.»
«Faccia in fretta che sto arrivando già da lei.»
Chiudo il cellulare e scendo dal lettino. Ad un passo dalla porta chiamo l'infermiera Stoklos e quando mi si avvicina, lontano dagli altri colleghi le stampo un bacio in bocca.
Si stacca da me infuriata, stasera ne prenderò tante da lei. Non vedo l'ora.
«Mi hai chiamata solo per questo?»
«No, per ricordarti di passare stasera nel mio ufficio per gli straordinari.»
«Oh... stavolta ti lascerò i segni, preparati.»
Le sorrido. Mi mette una mano sul sedere e mi ricorda dei costrittori della paziente che mi pendono dalla cinta.
«A proposito. Hai mai visto un costrittore rotto?»
Mi guarda senza capire.
«La paziente aveva addosso un costrittore», lo estraggo e glielo mostro, «guarda il cavo... spezzato.»
«Cristo... mai visto prima.»
«Possibile che sia stato tirato troppo e non si siano accorti del danno?»
«È impossibile.»
«Può sfuggire.»
«No, dico che è impossibile danneggiarlo senza dell'attrezzatura ad hoc. Non è che la 12B aveva digitolame o qualche genere di impianto sfuggito alla perquisizione?»
Immagino la 12B. Immagino di svestirla mentre è ancora legata; di metterle le mani addosso per far una perquisizione molto approfondita personalmente. Non è il mio tipo, ma è un pensiero gradevole. Mi allevierà la giornata e mi prenderò una piccola vendetta.
«Controllerò.»
Lascio l'infermeria per raggiungere in segreteria e dare una risposta a O'Donnel.

martedì 30 aprile 2013

Doppio gioco

Cinical: Dialogue test - Part 3

Maurice dall'altro capo del telefono non rispondeva, sentivo solo il rumore del motore della sua auto rallentare fino a fermarsi.
«Ti prego dimmi che stai scherzando.»
Lo lasciai ascoltare il silenzio per un po'.
«Cazzo, l'unica pista decente...»
«Tu invece, cos'hai scoperto a Panama?»
«I mandanti non sono saltati fuori, almeno niente su cui possa puntare con la sicurezza di vincere, ma riguardo agli esecutori sì. Indovina chi sono?»
«Thailandesi?»
«Hai vinto una bambolina.»
«Impossibile. Senti, abbiamo un sicario thai che ha—», da fuori sentii la voce di Villaruz che si stava lamentando di qualcosa, «aspetta un secondo.»
Abbassai il cellulare e guardai verso l'ingresso dell'appartamento. Villaruz stava entrando.
«Se mi dava il tempo le avrei aperto la porta io, me la ripaga lei questa?»
«Aspetti fuori per favore.»
«Un secondo, ho due paroline da dire a Rodrígez.»
Cercai di fermarlo, ma riuscì a sbirciare dietro l'angolo. Divenne bianco come un foglio di carta e cadde seduto a terra senza articolare più una parola sensata. Villaruz non sarebbe stato un problema per un po' e tornai a parlare con Maurice.
«Dicevo, abbiamo un sicario thai che mi ha preceduto e ha avuto anche il disturbo di lasciare una firma per qualcuno. Non ha senso, te ne rendi conto?»
«Ne ha se questo vuol dire casino in vista.»
«E se invece fosse più complicato di come lo vediamo noi?»
«Rasoio di Occam... e poi non metterei in discussione il mio informatore.»
«D'accordo. Mettiamo caso che siano stati davvero i thai. Mi viene da pensare che qualcuno deve aver cercato di fregarli o qualcosa del genere e loro hanno risposto, altrimenti non capirei la firma.»
«Ma hai capito che ruolo ha Rodrígez nella rapina?»
«No.»
«Allora dacci sotto e cerca di scoprirlo. Ti raggiungo lo stesso?»
«Io do un'occhiata nell'appartamento e tu cerca un po' di info sulla mala thai in zona, dobbiamo farci un'idea su chi sono e dove operano. Abbiamo il vantaggio che non sanno che stiamo sulle loro tracce.»
«Muoviti con cautela.»
«Anche tu.»
Chiusi la comunicazione e guardai in che stato era Villaruz. Gli sarebbe servito ancora un po' per riprendersi. Meglio così.
Stando attento a non calpestare il sangue a terra diedi un'occhiata alla sala dell'appartamento. Feci il giro della stanza osservando ogni dettaglio. La prima cosa che mi saltò all'occhio e che tutto era al suo posto, non c'erano segni di colluttazione. Probabilmente Rodrígez conosceva il suo assassino e questo confermava l'ipotesi che lui fosse in accordo con i thai. Inoltre mi faceva capire che qualcosa doveva essere andato storto; capire cosa in particolare era la prossima domanda e con essa il ruolo che Rodrígez aveva avuto in tutta questa faccenda. Perché ucciderlo, lasciarlo lì con la firma di un sicario thai? Mi preparai a dare un'occhiata in cucina e sulla via andai a chiudere la porta dell'appartamento. In quel momento realizzai una cosa.
Com'era possibile che la porta fosse chiusa dall'interno? Il thai era salito, aveva ucciso Rodrígez e poi da dove era uscito? Mi guardai attorno con occhi diversi, ripresi la pistola in mano e mi diressi verso la cucina per scoprire che la portafinestra sul piccolo balconcino era aperta. Corsi fuori e guardai in alto e in basso. Poteva essere andato sul tetto o poteva essere sceso, ma non c'era alcun indizio che potesse dirmi qualcosa di più. Rientrai e vidi dietro di me uno spiraglio di luce uscire dalla porta del bagno, lasciata socchiusa. Ci sbirciai dentro, non vidi nessuno e spalancai la porta.
Il bagno era piccolo e tenuto parecchio male. Lo scarico del gabinetto a parete era smontato, accanto c'era un graffito a pennarello diretto ad Ortega ‒ il capo di una grossa banda organizzata di Panama ‒ e quattro sacchetti per il sottovuoto bagnati erano buttati sul pavimento. Osservai l'interno dello scarico. Non era stato toccato e questo spiegava perché le borse fossero bagnate: dovevano essere state nascoste lì dentro e cominciavo a farmi un'idea su cosa potessero contenere e che ruolo avesse avuto il nostro amico sgozzato. Il messaggio lasciato sulla parete confermava ulteriormente la mia ipotesi, però il fatto che fosse interrotto su un lungo insulto nei confronti di Ortega mi fece capire di essere stato un cretino. Avrei potuto beccare il thai in flagrante se fossi entrato nell'appartamento abbattendo immediatamente la porta. Invece avevo bussato e atteso un po' prima, dando così il tempo di dileguarsi all'assassino. Mi feci una nota mentale che non avrei rifatto lo stesso errore.
Dovevo aggiornare Maurice; le nuove risposte portavano a nuove domande e, per quanto la soffiata fosse stata valida e il premio fosse allettante, questo diventava sempre più un lavoro che avremmo dovuto evitare. Lo stavo chiamando quando sentiii bussare alla porta. Che cazzo di tempismo.
Chiusi la chiamata e guardai verso l'ingresso. Villaruz si stava riprendendo, risvegliato dal bussare, ma faceva ancora difficoltà a connettere a pieno. La porta era già stata sfondata una volta e non ci sarebbe voluto molto che se ne sarebbero accorti. Mi fiondai verso il balconcino. La porta venne abbattuta e scavalcai la ringhiera ancora indeciso se salire sul tetto o scendere a terra. Un vociare confuso e diverse imprecazioni si fecero strada fuori dalla portafinestra mentre oscillavo appeso con le mani al pavimento del balconcino per assicurarmi di cadere su quello sottostante. Mi lasciai cadere sbagliando la traiettoria e centrai il corrimano sottostante invece del pavimento; le gambe scivolarono fuori verso il vuoto e con le braccia riuscii ad appendermi alla ringhiera. Qualche secondo dopo ero riuscito a recuperare stabilità e mi stavo mettendo in salvo oltre la balaustra. L'appartamento di quel piano sembrava vuoto e avrei voluto approfittare di qualche attimo per riposare le braccia e far calare l'adrenalina, ma con Villaruz che poteva riprendersi da un momento all'altro era meglio non farsi trovare nei dintorni quando sarebbe successo. La portafinestra dell'appartamento del secondo piano era chiusa, quindi mi toccava ripetere la stessa discesa di prima.
Arrivai a terra senza gli stessi problemi di equilibrio del primo balcone, ma le mie caviglie non furono entusiaste quanto me di avercela fatta.
Zoppicando leggermente mi diressi verso l'auto. Quando raggiunsi l'angolo del palazzo vidi due grossi fuoristrada Mercedes davanti all'ingresso del palazzo con un paio di uomini a fare da guardia. Probabilmente uomini di Ortega, anche se non c'era alcuna arma in vista. Mi mossi verso l'auto dall'altra parte della strada cercando di dare meno nell'occhio quando il cellulare cominciò a suonare. Era Maurice. Spensi il telefono e con la coda dell'occhio guardai verso gli Ortega. Sembravano non avermi notato lo stesso. Raggiunsi la mia Nissan e annotai mentalmente le targhe dei due fuoristrada, poi accesi il motore e mi allontanai di lì lanciando un bel sospiro di sollievo.
Mi fermai qualche chilometro dopo ad una tavola calda per riaccendere il cellulare, segnare le targhe prima che fosse tardi e chiamare Maurice.
«Che era successo prima?»
«Era un momentaccio, stavano per beccarmi.»
«Ah, allora sei riuscito a trovare il thai?»
«No, poi ti spiego, comunque ho capito che ruolo aveva di Rodrígez.»
«Spara.»
«Rodrígez teneva i soldi del colpo e lavorava per i Thai, ma indovina un po'?»
«Doppio gioco?»
«Esatto, e indovina per chi?»
«Non dirmi gli Ortega.»
«Bravo... la bambolina resta a te. I thai dovevano averlo capito e sono andati da Rodrígez a prendersi i soldi. Gli Ortega sono arrivati leggermente in ritardo e invece di trovare i thai per poco non beccavano me.»
«Un bel casino.»
«Maurice, guarda che nessuno ci costringe... e poi...»
«Poi?»
«Ecco... ci sono un po' di cose che non mi tornano.»
«Spara.»
«Come è venuto in mente a Rodrígez di fare una cosa del genere? Non è un criminale professionista.»
«Ricatto di Ortega?»
«Forse, andiamo avanti. Come hanno fatto i thai a sapere del doppio gioco?»
«Questo lo so.»
«Illuminami.»
«Ho cominciato a chiedere un po' in giro riguardo a questo gruppo di thailandesi. A quanto pare si sanno muovere bene. Hanno poca gente, ma molto tosta e probabilmente ‒ ma questo lo sto verificando ‒ hanno base nella città con la comunità thai più grossa. Indovina?»
«Uhh... Panama?»
«No.»
«Dai questa non la so. Vai avanti.»
«Colòn. E a quanto pare stanno lavorando con qualcuno del posto per avere tutte le informazioni possibili sui movimenti di chi non è dei loro. Non ti fa suonare una campanella d'allarme?»
«No... aspe—MERDA!»
«Esatto! Sei contento di aver avuto quello sconto adesso?»
«Non è detto che ci abbia venduto.»
«Forse no, ma fossi in lei non nasconderei a quel gruppo di thailandesi il fatto che ci sono due come noi sulle loro tracce. Fattore sorpresa a puttane. Dimmi un po', in quanto tempo ti ha recuperato i dati su Rodrígez?»
«È stata molto veloce...»
«Ah! Perché aveva già tutti i dati, e si è pure fatta pagare quella stronza.»
«Dì un po'... hai finito lì, Maruice?»
«Sì.»
«Vediamoci da Anna. Ora è lei la nostra pista.»

domenica 31 marzo 2013

Cyberclinik 2020

Cyberclinik - Parte 1

Gli amplificatori di riflessi scattano e vedo il mondo rallentare. Quella pazza di una punk non riuscirà a mordermi una seconda volta. La schivo e lei plana docilmente sul pavimento morbido della cella. In realtà l'impatto è violento, spero che si faccia male quella stronza: se lo merita. Combatto con l'inerzia del mio corpo; non riesce a stare dietro alle mie azioni da quanto sono veloci, e mentre lei tenta di rialzarsi le sono già dietro con dei nuovi costrittori. Le blocco i polsi, poi le caviglie e faccio scattare l'arrotolamento. Mostro un ghigno mentre lentamente viene incaprettata. Adoro quegli affari, sono molto robusti e non falliscono mai. Lei urla, ma il suono che sento è distorto; comico.
Disattivo gli amplificatori e tutto torna alla normale velocità. La schivata e l'immobilizzazione del soggetto è avvenuta in meno di un secondo. Il suo urlo adesso è alto, doloroso per le mie orecchie. Raccolgo la museruola polifunzionale, tolta per la seduta, e gliela rimetto addosso stando attento a non farmi mordere. La attivo e le urla della stronza ora si sentono a malapena. La fisso negli occhi. Mi guarda con odio; capisco che mi avrebbe ucciso se avesse potuto.
Le guardie arrivano, finalmente.
«Tutto bene Dott. Kreigmaister?»
«Bene un cazzo. Aprite pure, il soggetto è contenuto.»
Un ronzio fa scattare la serratura della porta. Prima di uscire lancio uno sguardo dentro la cella e vedo i vecchi costrittori raccolti in un angolo. I cavi di costrizione sono spaccati: mai vista una cosa del genere. Li raccolgo, esco dalla cella e lascio un'occhiataccia alle guardie.
«Chi cazzo ha usato dei costrittori difettosi per la paziente?»
Perché si guardano tra di loro con imbarazzo?
«ALLORA?!»
«L'ultimo ad aver contenuto la paziente è stato lei dottore, all'arrivo della paziente ieri notte.»
Sento un bello schiaffo emotivo; me la sono cercata. Come ho fatto non accorgermi di una cosa del genere? E sì che di questi affari ne uso.
«Scusatemi... l'aggressione deve avermi mandato fuori fase.»
Giro i tacchi, impreco sottovoce e mi dirigo verso l'infermeria della struttura tenendo sollevata la mano destra per evitare che il sangue cada sul pavimento.


Il resto del racconto sarà presto disponibile presso una raccolta online di racconti brevi. Restate sintonizzati se volete scoprire come andrà a finire.

giovedì 28 febbraio 2013

Il pulitore

L'odore dell'acciao - Parte 1

La notte di una città perduta è l'anticamera della fine e nonostante Kent lo sapesse perfettamente, sedeva di fronte alla morte in persona.
Non erano tanti che potevano permettersi di sedere su quella sedia e non per via di qualche strana caratteristica della stessa o di privilegio da guadagnare, era l'ambiente che rendeva difficile per una persona stare lì. Era uno di quei grossi bagni pubblici completi di docce, vasche e spogliatoi, all'interno di un vecchio edificio semi abbandonato, appena fuori dal centro. La grossa stanza era stata riadattata anni prima a sala delle pulizie: sia le piastrelle bianche e verdi che la rivestivano, sia le griglie di scolo lungo il perimetro, la rendevano ideale per quella destinazione d'uso.
Kent non voleva vedere la morte all'opera di fronte a lui, allora lasciò andare la testa all'indietro e chiuse gli occhi, mentre il pulitore si preparava ad uccidere con una pistola da bestiame ad aria compressa un pusher legato dentro la vasca. Incapace di reggere la tensione che si accumulava in quella stanza mentre il sibilo dell'aria caricava il colpo, Kent si mise a parlare con il pulitore. Non era la prima volta che succedeva e come tutte le altre volte non si aspettava una risposta dal pulitore; a volte dubitava addirittura che capisse la sua lingua o che fosse in grado di parlare. Ascoltava in modo così paziente le lamentele e i rammarichi di una vita onesta buttata nel cesso da aver guadagnato il ruolo di confessore nella vita di Kent. In un certo senso si prendeva carico dei suoi peccati e li faceva scomparire, che fosse un cadavere o il senso di colpa ad averlo portato lì per quel trattamento.
«Sai a cosa penso quando mi siedo qui?», la pistola sparò con un colpo secco, «al mio vecchio lavoro, se non ci pensassi non sarei capace di rimanere in questa stanza senza vomitare.»
Kent sbirciò per un istante il pulitore, che aveva impugnato un segaossa e stava per tagliare il primo arto del cadavere. Si rimise a parlare per coprirne il suono.
«Ti ricordi cosa facevo prima che cominciassi a lavorare per il Signor Tork?... dai, non è la prima volta che te lo dico... ero al controllo qualità in quell'enorme forgia fuori città... nella zona industriale, prima della crisi. Fresavo l'acciaio dai pezzi grezzi perché gli enti di controllo potessero punzonarci sopra i marchi per i provini... poi li lavoravo e li preparavo per i test meccanici... ma l'odore, quello della fresatura... ti restava addosso per giorni... e sai perché ci penso?»
Ci fu un momento di silenzio e Kent riaprì gli occhi per vedere come proseguiva il lavoro. Vide il pulitore che era nell'intento di aprire una tanica di acido. Come il tappo volò via lui chiuse di nuovo gli occhi.
«Somiglia a quello del sangue, per via del ferro... mi fa pensare a quell'odore... quando non ero intrappolato in questo mondo di merda... quando avevo un vero lavoro... a volte non so come faccio ad andare avanti... se non fosse per—»
I passi del pulitore lo interruppero. Era arrivato il momento del pagamento. Kent si alzò dalla sedia e, mentre il corpo del pusher fumava e si corrodeva nella vasca, lo seguì nella stanzetta adiacente dove teneva la contabilità. Entrò che il pulitore si era tolto solo i guanti; tutto il resto della sua divisa di lavoro ‒ un misto tra un medico e un macellaio, che non lasciava nulla scoperto ‒ era ancora addosso.
Stava contando con molta calma il compenso che doveva consegnare per il lavoro effettuato. I soldi erano del Signor Tork, ma il pulitore godeva di uno status di tale affidabilità ed efficienza da essere diventato un'istituzione fondamentale per il sottobosco criminale che aveva preso possesso della città da quando la crisi finanziaria aveva messo in ginocchio le attività pulite. Kent pensava a che strano scherzo del destino era andato incontro: prima lavorava con gli enti di controllo che marchiavano i pezzi forgiati e ora lavorava con un ente di controllo completamente differente, dato ricevere quei soldi voleva dire che il lavoro era stato effettuato ad hoc e che poteva andarsene.
Prese i 100 dollari, salutò il pulitore e uscì dal suo ufficio con sollievo. Imboccò una serie di corridoi che conosceva a memoria sotto gli occhi delle guardie e uscì da una porta laterale in un vicolo, dove lo aspettavano Bob e la sua vecchia Chevrolet.

mercoledì 30 gennaio 2013

SUSY

Capitolo 6 - Susy

Cominciammo a lottare controcorrente nel fiume di persone che intasavano quel punto del mercato.
«Ogni tanto dovrei baciare i piedi a CJ, sono fortunato ad avere una collega così.»
Lo guardai con aria interrogativa, ma non c'era modo che avessimo un contatto visivo in quella bolgia. Già era tanto riuscire a sentirlo in quel chiasso.
«Che cosa vuoi dire?»
«Ha già chiamato lei Poyorena, sapeva che me ne sarei dimenticato. Hai un appuntamento con lui questo pomeriggio.»
«Ok», mi presi una pausa, «ma chi è Poyorena?»
«Qualcuno di cui ti devi fidare.»
Poi tutto ad un tratto la gente sembrò come scomparire. Ci ritrovammo da soli in un angolo del capannone occupato da uno stand piccolo e trasandato; lo strano individuo dietro il bancone fissava la propria merce con aria persa. Era vestito male e poco, i capelli erano raccolti in un turbante, la barba era lunga, grigia e sporca, un occhio sembrava cieco e un vecchio braccio cibernetico russo spuntava dalla spalla destra. Non fece segno di vederci, né aprì bocca quando Madonna cominciò a trafficare con la sua merce. L'italiano pensò bene di compensare la mancanza parlando anche per lui.
«Ciao ciccio, allora? Tutto bene grazie, serviti pure. Troppo gentile, come stai? Bene, ma non vedo l'ora di farmi uno spuntino... non ci vedo più dalla fame...», Madonna si lasciò andare ad una risata per poi continuare a cercare.
Non c'era nulla di normale in quello stand, anche il bancone per l'esposizione: era di legno massello e sembrava che avesse passato chissà che inferno dato che era scheggiato e rovinato anche più del suo proprietario. Doveva essere stato uno di quei mobili degli alberghi che servivano a tenere le chiavi delle stanze, solo che qui era messo in orizzontale e ogni alcova era riempita con mazzetti di carte plastificate colorate nei modi più sgargianti.
Madonna estrasse un mazzo e cominciò a farle scorrere. Notai come ogni carta avesse delle grosse frecce colorate che puntavano ad un bersaglio stampato nel centro e come sul bordo superiore ci fosse un codice alfanumerico identificativo. Sul retro c'erano dei complessi schemi elettrici che non comprendevo a pieno.
Ad un certo punto Madonna estrasse una carta dal mazzo, poggiò le altre carte in bilico tra due scomparti e prese quella che credevo fosse una tazza dal limitare del bancone. Collimò il centro della tazza con il bersaglio e poi premette un pulsante sul lato della tazza: comparì della luce. In quel momento riconobbi quell'oggetto, era una grossa lente.
Dopo aver osservato bene il centro del bersaglio, Madonna poggiò la carta esaminata in un piattino di ceramica, ripose il mazzetto in bilico, ne prese un altro e ricominciò la procedura fino a quando non si accumularono una ventina di carte dai colori sgargianti.
«Moreaux, i contanti.»
Gli porsi un mazzetto di banconote e mi guardò.
«Tutto qua?»
«Mi hai chiesto se avevo un po' di contanti.»
«Fammi contare.»
Fece scorrere le banconote tra le dita e alla fine le poggiò tutte sul piattino, e si intascò le tessere. In quel momento, quello che poteva anche essere stato un manichino, si animò mostrando un sorriso con un'alternanza preoccupante di denti malati e denti d'oro.
«Andata... possiamo rientrare.»
Sulla via del ritorno, Madonna ricevette l'email con l'offerta di Ramakrishnan. Mi mostrò con un sorrisone il prezzo finale e se non me l'avesse mostrato, non ci avrei mai creduto. Confermò la transizione e riprendemmo a camminare.
«Hai voglia di svelarmi il mistero dietro a questo fantomatico Poyorena?»
«Che?»
«Chi è.»
«Il nostro medico di fiducia. Pochi vorrebbero un macellaio a mettere le mani sulla propria spina dorsale, non trovi?»
Annuii.
«Abbiamo fatto diverse volte manutenzione da lui e mi ha anche risolto un problemino ai reni che pochi avrebbero risolto. Che dire, ci fidiamo di lui. Quanto a te... hai voglia di dirmi cos'è successo?»
Feci finta di non aver sentito la domanda e continuai a camminare.
«Guarda che fra poco ti lascerò da solo con CJ e se non hai convinto me, giocoforza non riuscirai a convincere lei.»
«Sono stato tradito dal mio socio.»
«Fin qui c'ero arrivato.»
«Avevamo studiato assieme SUSY e cercavamo dei clienti—»
«Susy?»
«Ah, era il nome in codice del progetto. Adesso la chiamate rete fantasma, ma all'inizio si chiamava così: Scattered Undetectable Storage System... comunque... cercavamo dei clienti, io avevo contattato degli amici che gestivano un sistema di archiviazione online, lui aveva cominciato a coltivare dei rapporti con delle multinazionali che potevano essere interessate. Dopo un mesetto di trattative, lui mi dice che le cose stanno per andare in porto e che avremmo fatto una barca di soldi... poi un giorno rientro a casa e trovo il nostro server trafugato e il mio amico che non risponde più. Il resto lo puoi immaginare.»
Madonna non commentò e non sapevo se prendere quella sua omissione come un buon segnale. Entrammo nell'ascensore del palazzo e raggiungemmo l'appartamento. Avrebbe informato CJ dei suoi dubbi e poi sarebbe stata lei a mettermi sotto torchio. Sentivo che non li avevo ancora convinti e la cosa non mi piaceva affatto.