mercoledì 30 novembre 2011

Mele, mediatori e segugi.

Sfida di trenta minuti

L'uomo era seduto sul letto della sua stanza e stava scrutando ogni millimetro quadrato della mela che aveva poggiato sul comodino da più di quindici minuti. L'aveva guardata e riguardata da ogni angolazione possibile, valutandone ogni imperfezione o puntino colorato, ed era riuscito finalmente a convincersi; era il miglior diversivo sul quale poteva contare in quel momento. Le staccò gli occhi di dosso e guardò l'orologio: 19:41. Estrasse il cellulare dai pantaloni del vestito e lasciò andare un profondo sospiro notando come nessun messaggio o chiamata persa era in segreteria. “Merda, un altro giorno buttato via.” pensò. Fissò la parete beige davanti a sé per qualche minuto ancora, poi si alzò e lasciò la camera in direzione dell'ascensore dell'albergo. Avrebbe passato un'altra serata in compagnia del barista, o di qualche altro cliente, per cercare di ammazzare il tempo fino al giorno successivo. C'erano stati fin troppi rinvii perché l'affare si sbloccasse quella notte e non aveva intenzione di pensare troppo alla faccenda fino all'indomani, accontentandosi di un diversivo qualsiasi per passare la serata, anche una sciocchezza.
In meno di un minuto era di fronte alla soglia della pesante doppia porta di vetro satinato che separava la hall dal bar.
Il locale era una calda mescolanza di toni rossi e legno scuro, con diversi tavoli disposti per il salone e un lungo bancone circondato dai classici sgabelli alti.
Si diresse a quello più vicino al barista che lo fissò con aria malinconica.
«Non dirmelo.»
«E allora non te lo dico.»
Si guardarono negli occhi per qualche secondo.
«Ancora niente?»
«A quanto pare mi toccherà stare qui per una sesta giornata», guardai lo spremiagrumi dietro di lui, «mi faresti un'altra spremuta di arancia, per favore?»
«Certamente», il barista si girò e cominciò a tagliare delle arance, «ma perché non lasci stare quello che ti hanno detto e non esci a farti un giro per la città? C'è stato un bel sole oggi e ti stai perdendo delle giornate fantastiche.»
«Vorrei... ma se poi mi chiamano, sai... per la legge di Murphy...».
Il barista ridacchiò «Comunque, per quanto possa sembrarti noioso, almeno devi solo aspettare. Sono certo che potrebbe andarti peggio.»
«Già, hai ragione.»
Invece no, aveva torto. Il barista non aveva idea di come l'attesa fosse la cosa peggiore che gli potesse capitare nel suo lavoro; era il terrore sacro di ogni bravo mediatore. Spesso quello stallo significava che una delle due parti della transizione voleva prendere tempo per poter mettere un segugio sulle traccie della merce desiderata, con il risultato di mettere nei guai il povero mediatore con il suo datore di lavoro in quanto responsabile di gestire la delicata transizione per loro (legale o meno che fosse). Più uno era bravo e più i materiali trattati erano pericolosi o delicati, e più i materiali erano di valore alto e più grossa era la penale da pagare in caso di errore. Lui era il migliore nel suo campo e quindi trafficava solo la merce a più alto rischio. In questo caso il prototipo di un cervello biologico interfacciabile con i sistemi informatici sviluppato da una delle più grandi società di bioingengeria del mondo, la eVolve. Per lo scambio il carico era stato nascosto all'interno di una mela. Dall'altra parte c'era un colosso di servizi online, la World Network Servicies, che sembrava volere il carico ma non sembrava disposta a trovare una soluzione per i fondi neri da girare in un conto off-shore per concludere la transizione.
Come usuale, lui aveva firmato un contratto che comprendeva delle penali alquanto bizzarre, in confronto al quale la morte sarebbe stata un'opzione preferibile.
Il barista gli consegnò la spremuta e mugugnando un «Scusami un secondo» se ne andò a servire una coppietta appena entrata nel locale. Il mediatore sollevò il bicchiere e lo squadrò un paio di secondi. Prima che potesse poggiarci le labbra sopra una affascinante ragazza dai corti capelli biondi esclamò «Un brindisi ai lavori di merda?»
Lui si girò e vide che una ragazza vestita elegante a due sgabelli di distanza che lo fissava con aria complice con un paio di occhi scuri come cioccolato fondente.
«Perché no?»
Lei si avvicinò e fece tintinnare il proprio bicchiere con quello del mediatore.
«Ai lavori di merda!», esclamarono insieme.
Lei batté il bicchiere sul tavolo e si scolò un cosmopolitan mentre lui finiva in un fiato la terza spremuta della giornata.
«Scusami», cominciò lei, «ma non ho potuto fare a meno di sentire dei tuoi dispiaceri sul lavoro e mi sono detta che valeva la pena fare un brindisi assieme per festeggiare una lamentela comune.»
«Ammetto di essere stato un po' ipocrita, in fondo me lo sono scelto io questo lavoro.»
«Anche il fatto che non puoi uscire dall'albergo lo hai scelto tu?»
«No, è solo un'antipatica clausola del contratto.»
«Spero che ti paghino abbastanza.»
Lui si lasciò scappare una risatina «Fidati, con questo scherzetto metterò via una cifra da capogiro.»
Lei lo guardò negli occhi con uno sguardo sornione.
«Senti un po' uomo dallo stipendio da capogiro», lei abbasso la voce e si fece un po' più vicina «dato che mi trovo anche io a dover rimanere qua fino a fine lavoro, avrei per la mente una cosa divertente che si può fare qua in albergo, io e te... non so se... sai, per far passare l'attesa.»
Lui quasi non riusciva a crederci, doveva essere uno scherzo. Poteva sul serio essere così facile? Si guardò attorno. A quanto pareva quella era la sua occasione d'oro e l'avrebbe baciata all'istante se solo non fosse stato un rischio troppo grosso.
Le sorrise, «Sei proprio quello che cercavo per finire in bellezza questo lavoro.»
«Uh, esagerato. Che numero di camera hai?»
«Vieni con me, te la mostro.»
Assieme si alzarono e si diressero verso l'uscita. A qualche metro dalla porta, il mediatore si girò verso il barista che gli fece l'occhiolino e scandendogli solo con le labbra la frase “Buona fortuna”. Presero l'ascensore e arrivarono al piano. Lungo il corridoio, lei gli poggiò la testa a cavallo tra il collo e la spalla mentre lui allungo una mano attorno alla vita, sotto la giacchetta del tailleur, con una delicatezza unica al punto che lei non se ne accorse.
“Non ci posso credere” pensò lui.
Mentre l'uomo armeggiava con il portafoglio in cerca della tessera-chiave della porta, la ragazza apri la borsetta e cominciò ad armeggiare bofonchiando qualcosa come “contraccettivi”. Lui fece finta di ignorare il click metallico e il sibilo elettrico simile ad un flash che si caricava ‒ riuscendo a malapena a soffocare un sorriso ‒ e appena le diede le spalle per entrare in camera un colpo di taser gli venne scaricato sulla schiena. Neanche il tempo di toccare terra che gli spruzzò dello spray al pepe sugli occhi.
La sentì entrare di corsa dentro la stanza per dopo uscire in velocità prendendosi anche il tempo di assestargli un calcio nel costato e dargli dello stronzo.
“Tipina fine, c'era da aspettarselo”
Rimase a terra per circa un minuto, poi chiuse la porta con il chiavistello dietro di sé e cercò il letto a tastoni, ci si sedette sopra e, tra le lacrime e i dolori, notò come la mela non fosse più al suo posto.
“Cazzo, non ci posso credere...”
Estrasse da una tasca della giacca il portadocumenti di lei, preso di nascosto mentre camminavano lungo il corridoio. Dentro aveva la carta di identità e una tessera che la identificava come dipendente esterna della WNS.
“Sul serio... non ci posso credere!”
Prese il cellulare dalla tasca e chiamò il suo contatto di riferimento della eVolve.
«Che succede?»
«Un segugio del cliente, sono bruciato», nel mentre aprì l'antina del comodino.
«La merce!?»
Diede un'occhiata allo stipetto e vide la mela contenente il cervello ancora al suo posto. Avrebbe cominciato a ridere sguaiatamente se solo il torace non gli avesse fatto così male; glì uscì solo un grugnito incomprensibile.
«È ancora con me. Pensa che era una novellina con dei metodi così ovvi da non crederci. Ci è cascata con tutte le scarpe e si è portata via un fac-simile.»
«Cristoddio grazie al cielo, mi hai fatto sudare freddo... tu stai bene?»
«Un po' ammaccato ma vivo.»
«Bene, chiuditi in camera che ti veniamo a prendere immediatamente. Poi liquideremo subito il contratto come da accordo. Quei bastardi...»
«Sai che saranno un mucchio di soldi, vero?»
«Sì, ci vorrà un po' ma te li sei meritati.»
«Grazie, a dopo.»
Il mediatore chiuse il telefono e sospirò. “Almeno non ho buttato via tutto il giorno”.