mercoledì 21 aprile 2010

Sweet dreams

Fair deal - Part 3

Prendendo come metro di paragone il corridoio, qualsiasi stanza avrebbe avuto un aspetto più accogliente. Non si trattava di una stanza d’albergo a cinque stelle, ma era sufficiente a far sentire a proprio agio i clienti delle ragazze del locale per qualche ora. Un comodo letto a due piazze occupava il centro della stanza e un piccolo bagno piastrellato con doccia era nascosto dietro l’unica parete divisoria. Anche qui le tonalità giocavano sul viola, compresa la moquette che copriva per intero il pavimento, mantenendo inalterato il tema del salone principale. Il profumo di lei aleggiava leggero nell’ambiente.
Roberto era seduto sul letto e Samantha lo scrutava poggiata sulla parete di fronte a lui. Attendeva una mossa dal ragazzo in quanto, durante le visite quotidiane degli ultimi giorni, si erano già detti tutto e l’ultima cosa che voleva sentir uscire dalla sua bocca era la parola Sara; l’argomento era stato trattato fino in fondo e non voleva più tornarci sopra. Aveva capito quanto Roberto avesse tenuto a quella ragazza, ma le emozioni erano qualcosa al di fuori della sua competenza, ormai ridotte a semplici e meri simulacri ricreati ad arte per quelle occasioni. Anche se fosse ripartito con quella storia non sarebbe stata scortese o severa con lui, almeno non più del necessario; la trattava sempre bene, meglio degli altri clienti, e voleva tenerselo vicino in quanto era l’unico che le dava quanto serviva per andare avanti senza fare la minima storia. Proprio per via di quel suo comportamento lei avrebbe preferito incontrarlo meno frequentemente, ma lui sembrava insistere a volerla vedere tutte le sere. Samantha sapeva che lui, andando avanti così, sarebbe durato ancora poco.
Roberto poggiò il borsone a terra dopo che era stato tenuto in grembo fino a quel momento. Lo sguardo di lei mutò “Hai portato quello di cui mi accennavi ieri notte?”, chiese con aria più amichevole.
“Certo, è tutto qui”, lo spinse verso di lei.
Samantha si portò accanto una sedia e ci si sedette sopra.
“Vediamo”, si allungò in avanti e lo avvicinò a sé. Aprì la cerniera e, incuriosita, cominciò a estrarre dalla borsa i vestiti di Sara. La prima a mostrarsi fu la camicetta a maniche corte bianca accuratamente ripiegata, secondo il gilet scollato grigio azzurro che si sposava con i suoi occhi, a seguire i jeans attillati neri a vita bassa che le piacevano tanto e che metteva solo per le occasioni speciali, poi il fine intimo nero che le aveva regalato per la gita in collina e, per ultime, le scarpe da ginnastica bianche.
Guardò a fondo dentro il borsone, senza trovare altro. “Tutto qui?”, chiese quasi stupita “Mi aspettavo chissà quale perversione”.
Nello scorgere i calzini di seta blu arrotolati nelle scarpe, allungò la mano e ne prese uno “Comunque vedo che non hai tralasciato alcun dettaglio”, commentò mentre lo apriva e lo faceva dondolare. Poi si lasciò andare sullo schienale della sedia mentre lo guardava, in attesa.
“Quindi … per stasera, li indosseresti?” la voce ebbe un tremolio nonostante gli sforzi per apparire tranquillo. La paura che rifiutasse di prestarsi a quello che doveva sembrargli un gioco privo di senso era sempre dietro l’angolo.
“Certo, vuoi guardarmi mentre li indosso?” chiese senza malizia nella voce.
“Non mi fa differenza”
“Nemmeno a me”
“Allora preferisco guardarti”.
Poggiò gli abiti ripiegati sul comò accanto a lei, allontanò il borsone e cominciò ad accennare uno spogliarello. Roberto le rivolse il palmo della mano come a volerla fermare “No, per favore, cambiati normalmente … come se non ci fosse nessuno a guardarti”.
Sul momento lei alzò le sopracciglia, stupita, per poi fare spallucce, tornare a sedersi e cominciare a cambiarsi ignorandolo come da sua richiesta.
Roberto calibrò il suo sguardo per cogliere tutti i dettagli a lui cari in quei momenti d’intimità: come incrociava le braccia per togliersi il maglioncino, il modo in cui si levava le scarpe, l’espressione assente degli occhi, ma concentrata del volto, mentre sganciava il ferretto dietro la schiena; un collage d’immagini che lo portavano ad un mese fa, prima della perdita. L’unica cosa che voleva ignorare era la carnagione di Samantha. La tonalità smorta e pallida della pelle e le occhiaie scure nascoste alla meglio dietro al trucco lo distraevano dal suo obiettivo.
Quando lei cominciò ad indossare i vestiti di Sara partendo dall’intimo, Roberto, senza richiedere nessuno sforzo ai suoi sensi, completò l’inganno e il passato cominciò a intrecciarsi alla realtà del presente. Attorno a loro scomparve quella triste stanza nel retro del Grungy Red venendo rimpiazzata dal bellissimo cottage di montagna della gita. Sara era di nuovo con lui e la vedeva rivestirsi davanti a sé dopo quella mattina incantata, favolosa e unica. Rivivere in modo così reale quel frammento di passato lo toccò nel profondo. Le lacrime erano pronte per uscire.
Liberò i capelli dal gilet appena indossato, finì di aggiustarsi il colletto e s’infilò le scarpe per poi alzarsi e guardarlo negli occhi.
“Sono perfetti, sembrano fatti su misura per me. Come hai fatto?”
“Non importa, sarebbe inutile parlarne”
Un interminabile secondo di silenzio si frappose tra i due.
“Le somiglio davvero così tanto?”
“Più di quanto tu ti possa mai immaginare”, la voce era scossa dall’emozione.
Forse lo lesse nella sua mente o forse il suo viso lo esprimeva in modo così evidente che le sarebbe stato impossibile sbagliarsi. Poggiò una mano sul fianco, spostò il peso sulla gamba opposta e gli sorrise inclinando un po’ la testa. Una lacrima traditrice scivolò rapida sulla guancia di Roberto. Eccola lì, la sua Sara.
Rimase a fissarla per un tempo infinito che gli sembrò comunque troppo breve.
“Vuoi continuare a fissarmi ancora per molto?”
“Scusami, non volevo metterti a disagio”
“Non sono mica a disagio”, il tono si stava caricando di sensualità “volevo solo sapere se potevo cominciare”
Samantha prese l’iniziativa e si avvicinò al letto. Poggiò le ginocchia sul materasso, di fianco a quelle del ragazzo, e con una lenta e delicata spinta della mano lo fece sdraiare. Lo guardò ancora per un istante per poi chinarsi su di lui e portare le labbra sulle sue.
Roberto si sentiva avvolto nel suo aroma, miscelato da quelle due note caratteristiche. Ma, mentre il profumo francese che si metteva non era mai cambiato, l’odore della sua pelle – che tanto aveva amato e gli stimolava la memoria in modo così forte – sembrava deteriorarsi. Incessante, un tono acre e pungente prendeva il sopravvento di giorno in giorno, sottolineando come quel corpo stesse marcendo.
Lei tornò a sedere dopo il bacio, mostrandogli un altro letale sorriso. Si alzò, si tolse il gilet e cominciò a sbottonarsi la camicetta per sfilarsela, invitando Roberto a fare lo stesso con il suo maglione.
I due capi furono lanciati sulla sedia dietro di loro e tornarono a sdraiarsi assieme sulle coperte amaranto. La accolse tra le sue braccia percependo rassegnato il freddo della sua pelle nonostante cercasse di non sentirlo. Faceva il possibile per ignorare ogni stimolo capace di allontanarlo dal suo sogno nel cottage. Lui voleva stare con Sara. Desiderava quel frammento di passato tanto agognato almeno ancora per questa notte.
Passarono intrecciati assieme diversi minuti carichi di passione. Roberto era ormai incapace di discernere la realtà dall’immaginazione alimentata dai suoi ricordi. Nell’estasi di quei momenti lui non era con Samantha, ma con Sara. Quelle sensazioni, quel rivivere così tangibile il suo passato, era la sua personalissima droga, capace di portarlo sull’orlo della morte ogni sera. Correva sul filo dell’overdose senza preoccupazione alcuna in quanto la sua esistenza aveva perso ogni significato. Era meglio prendere quello che poteva finché c’era un respiro a tenerlo in vita.
Samantha da parte sua aspettava impaziente la condizione migliore per prendersi il meritato tributo e nel frattempo cercava di simulare al meglio un piacere che non poteva più far parte della sua esistenza. Il momento giusto le capitò quando si trovarono sotto le coperte, l’uno sull’altra, in vista della conclusione. Scarpe e pantaloni avevano trovato il loro posto sulla moquette per terra.
Era sdraiata supina sul materasso quando portò le braccia dietro il collo di Roberto e si avvicinò al suo viso. Cominciò a baciarlo partendo dal mento, per scendere verso il pomo d’Adamo e infine portarsi a cavallo tra il collo e la spalla dove poté affondare i denti nella carne. Ora anche lei provava un vero piacere, il più puro ed il più potente della sua vita.
Quel delicato pungere lo fece destare dal suo sogno. Nonostante gli sforzi del suo cervello nel farlo rimanere aggrappato al suo passato, il morso lo riportò alla realtà. Era migliorata parecchio dalle prime volte e con l’esperienza stava diventando quasi indolore, ma riusciva ancora a percepire il defluire del sangue e delle forze nel corpo di Samantha. Dopotutto era una vampira come tutti gli altri bastardi che appestavano quel locale merdoso.
Prenditi pure fino all’ultimo goccio della mia vita – pensava dentro di sé – che questo bellissimo istante possa essere anche l’ultimo. Niente ora vale di più.

martedì 20 aprile 2010

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Personal comment

Eh sì. Sta prendendo parecchio tempo la stesura delle ultime parti di Fair Deal.
Ammetto che il titolo non mi piace, spero di cambiarlo appena trovo quello giusto; ma dopo le accurate revisioni che gli sto facendo, il racconto dovrebbe vantare una forma migliore rispetto ai miei standard passati, afflitti dalla fretta e dalla voglia di chiudere.
Spero solo che il finale riesca a portare le emozioni che sto preparando con calma.
Ai lettori l’ardua sentenza.
Spero di colmare presto le vostre attese, all’altezza delle aspettative.

Grazie della pazienza,

domenica 4 aprile 2010

High

Fair deal - Part 2

La stradina era semideserta e le poche persone che passavano accanto a Roberto non concedevano la minima attenzione a quel posto capace di celarsi con estrema facilità dietro l’indifferenza della gente; nessuno dotato di un minimo di buon senso avrebbe mai accarezzato l’idea di superare l’uscio del Grungy Red. In quel momento, lui era l’unico capace di vedere oltre la lercia scritta al neon che sovrastava la piccola porta d’ingresso bloccata dal buttafuori al piano semi interrato del palazzo, ed a percepire qualcosa di più dietro alla musica – se quell’accozzaglia di suoni era definibile come tale – che usciva sorda dalle pareti di cemento dell’edifico. Quella era la sua personale visione dell’ingresso del paradiso; per questo i freni inibitori di Roberto erano incapaci di agire. Adesso niente più aveva la forza di tenerlo dall’altra parte della strada dove, combattuto, aveva cercato di valutare se abbracciare di nuovo quella lenta e piacevole agonia o ritirarsi dal quel doloroso gioco di ricordi. Camminava verso l’ingresso senza timore; era pronto allo scambio: svendere un’altra fetta del suo futuro per un assaggio del suo passato.
Il rito si ripeteva anche per questa notte, del tutto simile a quanto era accaduto per tutte le sere che l’avevano preceduta. Prima di raggiungere la porta si lasciò squadrare dagli occhi imperscrutabili dell’enigmatico bestione immobile di fronte ad essa. Roberto a sua volta l’aveva osservato con attenzione e aveva raggiunto la certezza che se non fosse stato per la carnagione pallida, l’abbigliamento moderno e gli occhiali da sole griffati (nonostante l’ora della notte), il buttafuori sarebbe sembrato uno di quei distributori di sigari a forma di capo indiano che ogni tanto apparivano nei vecchi film americani.
Dopo aver indugiato sul ragazzo ed il suo borsone per qualche istante, il grosso omone gli fece un cenno appena percettibile con la testa, indicando l’ingresso. Roberto ricambiò il gesto in segno di ringraziamento mentre si dirigeva verso la porta che conduceva nella piccola anticamera del locale rivestita di tappezzeria cremisi. La solita receptionist – una snella bionda con capelli corti sulla trentina – si affacciava dalla finestra del guardaroba prestando più attenzione alle sue unghie finte che agli avventori di passaggio. In barba al grosso segnale di divieto che capeggiava vistoso sopra la sua testa, una sigaretta accesa attendeva una nuova boccata, poggiata sul portacenere di fronte a lei.
Senza muovere la testa dalla posizione in cui si trovava, trascinò lo sguardo su di lui per poi tornare a osservarsi le unghie.
“Ciao. Anche questa sera?”, chiese con il solito tono piatto
“Si”, rispose mentre si toglieva la giacca imbottita e la poggiava sulla mensola.
“E quello non me lo lasci?”, posò lo sguardo sul borsone.
“No, mi serve”
Lei accennò una smorfia “Beh, divertiti” .
Roberto spinse la grossa porta isolante e subito il volume della musica lo investì, prima ancora che l’odore di chiuso, polvere, fumo e sudore furono capaci di farsi sentire, misti in quell’atmosfera calda e umida che riempiva il salone principale. La porta gli si richiuse dietro e concesse il tempo necessario agli occhi per adattarsi alla fioca luce rossa e fucsia emessa dai neon e dalle luci stroboscopiche. Il bancone del Grungy Red occupava uno dei due lati corti della stanza alla sua destra, mentre alla sua sinistra troneggiava un grande palco rialzato per gli spettacoli a tema erotico, temporaneamente occupato da un gruppetto metal che scaldava l’ambiente; nel mezzo, oltre le poltroncine con i tavolini per le semplici consumazioni, c’erano alcuni tavoli vuoti che venivano spesso occupati per il blackjack e il poker Hold’em in base alla serata. A prima vista il locale non sembrava niente di più di un immondezzaio che offriva agli avventori un intrattenimento all’estremo della legalità, ma dietro a quell’aspetto di club controverso nascondeva qualcosa di molto più profondo ed incredibile, oltre al limite del reale.
Terminato l’adattamento alla scarsa luce, la vista del locale ancora semi-deserto gli strappò di bocca un’imprecazione sommessa. Era arrivato troppo presto. Confermò la supposizione guardando l’orologio sulla parete di fronte a lui; ci sarebbero voluti almeno altri quindici minuti prima che la solita calca facesse irruzione, e con essa si sarebbe fatto vivo anche il suo assaggio di passato.
Roberto ne aveva un immediato bisogno o la sua mente lasciata libera di correre avrebbe presentato il conto troppo presto. Strinse le dita attorno alla fascia del borsone sulla sua spalla, quasi ad assicurarsi che fosse ancora lì con lui. Il suo contenuto gli ricordava che questa notte non poteva permettersi di sbagliare.
Per far ammazzare il tempo in eccesso decise di bere qualcosa di forte. Gli sarebbe servito.
Nella breve traversata dei tavoli verso il bancone del bar, gli occhi puntarono sulla porta tagliafuoco recante la scritta PRIVATO – formata da grossi caratteri bianchi su fondo rosso – che, con la sua soglia, divideva la realtà da tutti conosciuta con quella a disposizione di pochi sfortunati, quasi la stessa scritta fosse un avviso al riguardo.
Il barista che attendeva dietro al moderno bancone dimostrava di aver superato i quarant’anni già da diverso tempo. Quando vide Roberto, esordì con la frase preconfezionata “Buona notte e bentornato al Grungy, cosa posso servirti?”. Il tono rassicurante della voce faceva a botte con il suo occhio sinistro completamente bianco.
“Ciao, preparami il solito bloody mary per favore”, disse mentre pensava dentro di sé quanto il destino fosse dotato di un’ironia piuttosto cinica.
“In arrivo”, rispose il barista cominciando a trafficare tra vodka, sale, spezie e succo di pomodoro.
Gli occhi di Roberto correvano senza sosta tra l’orologio, il barista indaffarato nella preparazione e la soglia del mondo reale, mentre continuava a chiedersi perché lei non si trovasse ancora nel salone.
“Ecco qui”, il barista gli porse un bicchierone colmo del cocktail preferito da Roberto “e rilassati, la tua Samantha non è ancora uscita. Arriverà a momenti”.
“Grazie”. Lasciò una banconota da dieci euro sulla superficie di vetro satinato del bancone e cominciò a dedicarsi al bloody mary sorseggiandolo con calma dalla cannuccia. Doveva dosarlo con attenzione e distrarsi completamente da quell’attesa straziante; si concentrava sui singoli sapori miscelati, sul salato, sull’accenno di rafano che grattava con delicatezza la gola, il differente piccante del tabasco che faceva bruciare la lingua come una forte pizzicata, sul sapore acidulo e fresco del pomodoro e sulla vodka che lavava via tutto, peccati e tristezza compresi. Almeno così voleva credere. Con gli occhi andava alla ricerca delle particelle in sospensione nel liquido rosso, cercando di intravedere le spezie che danzavano, browniane, nello spazio di quel bicchiere; si perdeva dentro quel colore acceso con la mente, riuscendo a mettere da parte il vero motivo della sua presenza lì; erano lui e il bicchiere, tutto il resto era un alone indefinito di confusione. Solo loro sembravano reali, altro tocco d’ironia del destino.
Un’ombra si stagliò di fronte a lui e alzò lo sguardo. Bastò un attimo per mettere a fuoco quel volto angelico, con i suoi lisci capelli neri a caschetto da ragazzina che lo facevano impazzire, quegli occhi azzurro ghiaccio capaci di mozzare il fiato e la piccola, inimitabile cicatrice sotto il mento.
In un colpo solo, tutte le emozioni fin lì accumulate scomparvero come oscurità davanti alla luce. Il cuore quasi gli cedette.
“Ciao Roberto. Chissà perché, ma ero certa che saresti venuto anche oggi”, Samantha gli sorrise serena, quasi innocente.
Il sangue di Roberto aveva cominciato a battergli in testa, rimbombava potente nelle vene. Stava per piangere, ma questo pianto aveva imparato a controllarlo.
“Ciao Sara”, rispose sorridendo a sua volta.
Un’espressione seria si dipinse sul volto di lei, facendogli perdere quell’armoniosità con la quale si era presentata.
“Scusami … ciao Samantha”, sospirò.
“Vedo che non riesci a resistere neanche un minuto” lo fissò per qualche secondo con un’aria avvilita ed interrogativa per poi esordire “Dai andiamo”. Lo prese per la mano destra e si alzò aspettando che con la sinistra finisse d’un fiato il bicchiere di bloody mary. Gli sarebbe servito, era al punto di non ritorno.
La porta con scritto PRIVATO si chiuse alle loro spalle, lasciando spazio al lungo corridoio scarno, male illuminato e maculato dalla muffa, che serpeggiava nell’ampio retro del locale. Samantha camminava con passo agile, dondolando leggermente i fianchi – per lei sempre troppo larghi ma che lui trovava perfetti – stretti nella gonna corta indossata sopra delle calze nere che coprivano per intero le gambe. Scorrevano le numerose stanze private dove le ragazze come lei portavano i clienti per sfamare i bisogni reciproci: voglia e sopravvivenza. Roberto era concentrato solo su di lei. Fissava e registrava ogni suo singolo movimento, le mani aperte che passavano radenti il suo corpo perfetto, i capelli neri che sventolavano leggeri sopra le sue spalle, il passo aggraziato e deciso. Il piacere dell’attesa era ai massimi dell’intensità, sembrava una mano che gli stringeva il petto oltre lo sterno. Si fermarono davanti alla stanza 12, la sua. Aprì la porta e lo fece accomodare indicandogli il letto. Appena superata la soglia, lei chiuse la porta e girò la serratura. Fuori si accese la scritta “Occupato”. Nessuno li avrebbe disturbati per tutto il tempo necessario.