lunedì 7 dicembre 2009

Wake up

Multwins - Part 2

Angelo si svegliò di soprassalto, come tutte le volte che accadeva. Non faceva eccezione nemmeno l'emicrania, anche a questo risveglio si manifestava in tutta la sua forza.
Si abbandonò supino sul letto fissando il soffitto per svariati minuti, terminati i quali, si alzò lentamente dal letto, sollevato dal fatto che quel breve lasso di tempo l'aveva aiutato a smorzare il battere ritmico dell'emicrania.
Uscì dalla stanza per recarsi al bagno con passo stanco e con addosso la solita triste certezza che lo accompagnava oramai da parecchie settimane.
Entrato vide il libro lì dove lo aveva lasciato la sera prima – aperto su una pagina bianca e poggiato sul bordo del lavello. L’uomo, in piedi di fronte ad esso, era piegato in avanti con il volto a pochi centimetri dallo specchio. Da quella posizione poteva osservarsi attentamente, scrutando ogni piega della pelle e dettaglio del volto. I lineamenti leggermente allungati della mascella, la bocca dalle labbra molto sottili, gli occhi chiari e sofferenti di leggero strabismo non sembravano essere cambiati, ma i capelli corti e arruffati che facevano capolino ad una stempiatura appena accennata, erano una novità. Anche la barba, lasciata incolta da diversi giorni non era quasi mai capitata in precedenza.
Si rialzò senza fretta, mentre in lontananza le campane battevano le ore otto del mattino. Fuori dalla finestra la giornata era grigia e triste.
Spostò il libro lasciandolo sempre aperto e lo poggiò sulla tavola del gabinetto. Aprì l'acqua fredda del lavello per sciacquarsi il volto più volte con vigore per poi, non contento, infilare la testa sotto il getto d'acqua e lasciar correre il liquido ghiacciato sulla nuca. Chiuse l'acqua con ancora la testa reclinata sotto il rubinetto e rimase per un po' in quella posizione, come in contemplazione dell'appena ritrovata lucidità.
Allungò il braccio per afferrare l'asciugamano. Se lo portò attorno alla testa strofinandosi con forza fino a quando ogni singola goccia d'acqua, insieme al loro freddo pungere, scomparve, lasciando il posto ad un corroborante sollievo.
Estrasse la prima Polaroid dal borsone che giaceva sul freddo pavimento piastrellato, allungò il braccio che la reggeva verso avanti, e se la puntò contro. Cercò di inquadrarsi al meglio, sfruttando anche il suo riflesso nello specchio. Scattò la foto.
Prese l’istantanea, ancora nera, per poggiarla sulla pagina sinistra del libro mentre sul fondo della stessa annotò con una penna nera: Sabato 13 novembre 1982, variante 21.
Mentre la foto prendeva lentamente forma e colore, dallo stesso borsone scuro, estrasse del nastro adesivo per fissare l'istantanea alla pagina bianca. Completò l'operazione rapidamente, staccando i pezzi con l'aiuto dei denti, per poi rimanere a guardare, con fare assente, l'istantanea diventare sempre più chiara e definita, fino al termine dello sviluppo quando richiuse il libro con vigore facendolo rimbombare nella piccola stanza piastrellata. Lo posò nel borsone e ne controllò il contenuto. La Polaroid normale, la seconda Polaroid modificata, la fondamentale Orezemina, le altrettanto indispensabili siringhe di Propofol, i lacci emostatici, la Walther PPK silenziata, un cambio di abiti, il sacchetto con dentro tutto il necessario per l'igiene personale, la piccola sveglietta e il libro.
Ogni cosa era la suo posto. Fece la verifica meccanicamente, nonostante controllasse il contenuto almeno due volte al giorno. Non avrebbe mosso un passo senza la sicurezza di avere tutto con sé. Si cambiò d'abito e uscì dall'appartamento in affitto – saltando a piè pari la colazione – per dirigersi verso la modesta Lancia Delta che lo aspettava al parcheggio. Aprì il portellone posteriore, per poggiare il borsone nel vano bagagli e, una volta richiuso, si sedette alla guida della milletré.
Guidando con tutta calma, raggiunse il parcheggio dell'appartamento designato in poco meno di mezzora. Prima di prendere in mano il borsone, estrasse la pistola per nasconderla sotto il giubbotto. Così equipaggiato si diresse verso la porta dell'abitazione ricavata da una porzione della villetta bifamiliare.
Di fronte alla porta d'ingresso, lasciò il borsone per terra e suonò il campanello. Guardò l'ora, 9:19. Da dentro una voce fin troppo familiare lo avvisava che sarebbe arrivato subito. Prese la pistola in mano e lasciò scivolare il braccio lungo il fianco, distendendolo.
Era successo troppe volte, non sentiva nemmeno più un pizzico di emozione o di adrenalina. L'unica cosa capace di percepire in quel momento, di fronte a quella situazione, era la totale indifferenza. “Che schifo”, rifletté fra sé e sé.
La porta si aprì.

martedì 1 dicembre 2009

Beyond reality

Multwins - Part 1

Molto spesso capita che durante i sogni, anche i più strani, affrontiamo le situazioni come se fossimo nella “realtà”. Si ha paura di ridicolizzarsi, di fare qualcosa di pericoloso o adrenalinico per paura delle conseguenze che, a tutti gli effetti, non arriverebbero. Le pochissime volte in cui ci si rende conto di essere in un sogno, sono le migliori, in quanto si ha un mondo a completa disposizione.
Angelo era nel suo piccolo e accogliente appartamento – ricavato da una porzione di villetta bifamiliare – dove si godeva il primo di una lunga serie di giorni di ferie meritatamente sudati. Fuori dalla finestra il mese di novembre si mostrava in tutta la sua tristezza, carico di umidità e di nuvole. Dopo un tranquillo risveglio attorno alle nove e dieci, si godeva il calduccio di casa sua di fronte ad un tazzona di caffellatte e biscotti secchi di cui era ghiotto.
Rideva mentre guardava una puntata della sua serie preferita in TV e pensava distrattamente a ciò che avrebbe dovuto fare durante quella giornata.
Il campanello lo interruppe proprio mentre pregustava un ennesimo biscotto. Sbuffando si alzò dal divano poggiando la colazione sul tavolo lì accanto mentre avvisava ad alta voce il seccatore che sarebbe arrivato subito.
Aperta la porta a metà per dare un occhiata a chi fosse lo scocciatore, si congelò appena lo vide in volto. Insieme allo stupore, venne meno la presa sulla porta che cominciò ad aprirsi pian piano.
L’uomo di fronte a lui sollevò la pistola che teneva in mano per puntarla alla fronte di Angelo, incapace di articolare qualsiasi suono degno di nota mentre spalancava la bocca con fare stupito. In quel preciso istante, Angelo capì di essere in un brutto sogno e che presto, dopo il colpo di pistola, si sarebbe svegliato – probabilmente urlando nel letto coperto di sudore. Dopotutto era già successo altre volte e non si preoccupò più del necessario.
Ma nessun risveglio agitato ci fu per lui. Giaceva a terra esanime in una pozza di sangue mentre l’estraneo si faceva spazio in tutta tranquillità dentro casa sua, richiudendo la porta dietro di se per poi prendere la colazione abbandonata sul tavolo e sedersi sul divano.

domenica 8 novembre 2009

Awakening

Pleasure of mistake - Part 2

Si risvegliò all'interno di quello che sembrava un appartamento; o almeno questo era quello che le faceva supporre la stanza priva di arredamento attorno a lei. Cercò di muoversi, ma dei lacci di cuoio la tenevano appesa e bloccata al muro. Polsi e caviglie erano stati saldamente legati alla fredda parete, e la bocca era stata bloccata da uno spesso fazzoletto pulito. La posizione che era stata costretta ad assumere le ricordava l'uomo vitruviano di Da Vinci. Era ancora vestita, ma era stata privata dei gioielli, dell'orologio, del cerchietto, della giacca e delle scarpe; nessuno a parte lei si trovava nella stanza in quel momento.
L'ultimo frammento di memoria che poteva rievocare era quello di lui che le apriva lo sportello di una vecchia berlina lussuosa – poi più niente. Inaspettatamente, il ricordo del perché si ritrovasse lì la soffocò, impetuosa, come un'insormontabile marea di acqua gelida. Questa sua reazione la stupì; tutto ad un tratto, il romantico sogno della sua fine, non riusciva a allontanare quella sgradevole sensazione di soffocamento.
Chiuse gli occhi e si sforzò nel ricercare la pace. La stessa che aveva trovato solo poche ore prima, capace di portarla in quel quartiere e di metterla di fronte a quello che credeva di volere con tutte le sue forze. Con grande sforzo, un sottilissimo velo di calma riuscì a coprire come una fragile pellicola la sua paura, facendole ritrovare una pace apparente.
Non le fu facile capire quanto tempo passò prima di veder entrare dalla porta l'uomo che l'avrebbe liberata in modo glorioso della sua stessa esistenza. Entrò vestito con lo stesso abito semplice e curato che gli aveva visto addosso per strada e armato di un solo grosso borsone scuro che lasciò a terra senza alcuna cura.
“Ah... sei già sveglia”, si meravigliò “mi dispiace per la precauzione del fazzoletto, ma devi capire quanto la discrezione sia un elemento fondamentale per il mio... hobby.”
Lei si limitò ad annuire con la testa fissandolo con occhi colmi di dolce rassegnazione.
Senza degnarla di ulteriore attenzione, si chinò ed aprì il borsone cominciando a cercare con calma. La prima cosa che venne poggiata fuori di esso, fu una grossa macchina reflex digitale che venne subito dopo montata su un solido treppiede di fronte a lei, a tre metri di distanza. Il terzo attrezzo che saltò fuori da quella inquietante sacca, fu un piccolo coltello ceramico di foggia militare. Impugnandolo, si avvicinò a lei con sguardo sereno.
“Tutto questo … questa situazione, assurda ed incredibile, è come un curioso e bellissimo sogno ovattato”, disse con tono dolce “posso fare tutto quello che voglio e che ho sempre desiderato. In effetti ... questo è molto meglio di un sogno. La mattina non svanisce, ma resta indelebile nella propria memoria, e porto con me per sempre i ricordi di quei momenti pieni di appagante piacere”. Si chino ai suoi piedi e con un dito della mano libera cominciò a tracciare una linea partendo dalla caviglia, risalendo su per il polpaccio, la coscia, l'inguine, passando in mezzo ai piccoli seni e risalendo sul collo fino alle labbra. Si trovarono faccia a faccia, con i visi che quasi si toccavano.
“Sai, all'inizio mi ponevo un limite”, il suo tono adesso era niente più che un delicato sussurro “ma ogni volta in cui mi ritrovavo al cospetto dello stesso, mi rendevo conto di come, lo stesso io che mi limitava, voleva spingersi un po' oltre. Mi bastava sollevare il paletto e spostarlo un po più avanti. Dopo qualche tempo, mi resi conto della verità; i limiti non esistono. L'unico vero limite è la tua fantasia”.
La frase squarciò con un colpo netto quella debole pellicola di sicurezza su cui reggevano tutte le sue convinzioni. Ma la paura che era intrappolata dentro di essa, attese cauta. Decise di non riversarsi, come un fiume in piena, dentro di lei. Sapendo che avrebbe avuto ancora poca lucidità per esprimere il suo desiderio di morte, provò a farsi capire attraverso lo scomodo impedimento che le serrava la bocca.
Quello che uscì, fu un semplice e ovattato suono inarticolato; “shh...”, sussurrò lui mentre le portava l'indice alle labbra bloccate dal fazzoletto “Renderesti soltanto le cose più complicate. Rilassati e lascia che questo sia il più bel sogno della mia vita”. Era sempre più vicino al suo volto.
Prese il labbro inferiore della ragazza tra i suoi per lasciarlo quasi subito dopo, poi, con il coltello, con la punta delicatamente poggiata contro la base della testa, cominciò a dividere in due il maglione a collo alto. La leggera pressione della punta sul suo corpo fece correre lungo di lei un brivido caldo liberatorio. Si sentiva vicina al suo obbiettivo e non fu capace di trattenere un sorriso di compiacimento e una lacrima di felicità. Un ultimo barlume di sicurezza che sarebbe durato ben poco.
“Non hai idea di che piacere incredibile sia baciare una donna nel breve periodo in cui, lentamente, muore per dissanguamento”, il tono era quasi commosso “I suoi movimenti diventano talmente tanto delicati da divenire una droga”.
Erica non fu capace di trattenersi oltre. Si vide. La sua fine; appesa come il macabro quadro di un pittore sadico e misogino che dopo aver completato il gesto più crudele, l'avrebbe potuta immortalare – offerta e immolata a trofeo della sua incomprensibile follia – irrispettoso del suo corpo in scenari impensabili da qualunque immaginazione che non abbia albergato in menti deformi e selvagge.
Lentamente i naturali meccanismi, che fin dalla sua nascita erano rimasti assopiti, iniziarono a risvegliarsi stimolati dall'immagine grottesca. Una sinfonia di emozioni cominciavano delicatamente a farsi sempre più rumorose e a scombussolare quello che era stata da sempre la natura di Erica.
La dopamina aveva cominciato a scorrere, e lei, in quel preciso istante, scoprì che non voleva morire. Un destino cinico l'aveva costretta a spingersi tanto per capirlo. Ora era troppo tardi.
Si sentiva viva, come non mai.

sabato 17 ottobre 2009

Cerebral Dope

Pleasure of mistake - Part 1

A livello di subconscio, il tutto si riduce ad una sola parola. Dopamina.
Tutti sanno cosa si prova nel momento in cui questa interagisce con il nostro corpo; nelle giuste quantità è capace di far provare un piacere intenso, fantastico ed indescrivibile. La natura ha fatto bene i suoi calcoli. Ci ha predisposti al rilascio di questa sostanza quando ci cibiamo e pratichiamo l'attività sessuale per darci uno stimolo di autoconservazione ed evitare che, senza alcun premio nel cibarsi o nel fare sesso, ci auto distruggessimo per apatia. Oltre ai bisogni primari, questo meccanismo può essere addestrato, consciamente o no, a scattare in associazione con altre attività del corpo o della mente, come ascoltare musica, lanciarsi con il paracadute, derapare con un automobile o centrare un bersaglio con un arco. E' vero che la quantità di dopamina rilasciata non è la stessa provata durante una focosa notte con il proprio partner, ma ci si può avvicinare al piacere provato con l'assunzione del proprio cibo preferito.
L'assenza di questo meccanismo primordiale porta una persona al punto di perdere la voglia di vivere.
Per questo motivo, dopo diciotto anni di vita in totale assenza di piacere di ogni genere, Erica è alla ricerca della propria fine nella sua città natale. Ma non cerca una semplice fine, lei vuole qualcosa di gloriosamente scuro e decadente; qualcosa che faccia scalpore. Poter essere la prossima vittima del serial killer che stava terrorizzando la città da 3 anni a questa parte, sarebbe stato semplicemente un perfetto modo di andarsene. Magari l'assassino avrebbe anche potuto esaudire qualche sua ultima volontà per la sua fine. Sarebbe stato fantastico pensava fra se e se, mentre camminava da sola tra le fioche luci che illuminavano quella scura notte di ottobre.
I vicoli di quel quartiere ex-borghese – ora stipato di poveri cristi che speravano solo di sopravvivere un altro giorno ancora – erano tristemente addobbati da sacchi di spazzatura lasciati alla rinfusa per terra mentre lei camminava pervasa da una tranquillità innaturale, mentre il suo iPod la estraniava dai suoni che avrebbero potuta avvisarla dell'imminente accadimento. Come se avesse gli occhi di qualcuno puntati su di lei, Erica decise di girarsi senza fretta su se stessa per sedare quella sgradevole sensazione. Sussultò per un istante e istintivamente il suo corpo decise di fare un passo indietro, ma lei non glielo permetté e bloccò il suo piede a metà per poi poggiarlo a terra. Senza fretta si tolse le cuffie e ripose il piccolo lettore nella sua borsa, quindi restituì uno sguardo spento e un sorriso accennato a Lui; a quell'uomo che la stava fissando e che gli procurava quella sgradevole sensazione; a quella persona che, dentro di se, percepiva chiaramente come il serial killer che stava aspettando.
Erica esordì con voce bassa e con un tono quasi speranzoso “Quindi ... sei tu l'ultima persona che vedrò?”
“Oh si. Ti senti pronta piccola?”, chiese il bastardo.
“È da anni che mi sento pronta.”, rispose con un sorriso quasi di sfida.
“Bene, allora ... seguimi, la mia macchina è qui dietro”, disse mentre gli porse una mano mostrando un sorriso tranquillo e sincero. Erica allungò la sua e al momento della stretta, lui la tirò verso se con forza per poi portare il suo braccio sul fianco snello della giovane. La ragazza si lasciò andare completamente all'idea e poggiò la testa sul petto dell'uomo quasi con fare romantico, mentre assieme camminavano verso la fine inesorabile della sua vita.

sabato 3 ottobre 2009

Cinical

Dialogue test - Part 1

Mi stupisce sempre. Non come la prima volta che la incontrai, ma resto sempre colpito dalla naturalezza del suo modo di fare. Era seduta al solito tavolo del Panama's Court mentre ammazzava l’attesa leggendo un manuale d'informatica vecchio di qualche anno e sorseggiando una bibita analcolica con la cannuccia.
Il delicato viso abbronzato di Anna era invaso da qualche ciocca di capelli castani mossi, che come sempre venivano lasciati a loro stessi. Indossava una polo gialla senza maniche, con i bordini bianchi, che, nonostante le fosse stretta sul torace, era incapace ad esaltare il seno quasi piatto (sceglieva apposta le magliette così piccole nella speranza che l'aiutassero, ma l'effetto non era mai quello desiderato) e dei jeans elasticizzati a vita bassa lunghi fino al ginocchio nascondevano la prima metà delle gambe sottili e robuste della giovane colombiana. A terra giacevano i suoi inseparabili infradito. Era carina, ma niente che facesse gridare al miracolo.
Bastarono un paio di passi nella sua direzione perché si accorgesse di me. Nel tempo necessario ad affiancarmi al tavolo, lei finì la bevanda in tutta fretta e chiuse il libro lasciandolo cadere sul tavolo.
«Ciao amore – esordì con tono sdolcinato mentre si alzava dalla sedia – andiamo subito?»
«Ciao – risposi freddamente, odiavo quella scenata – si per favore»
«Mi porti tu il libro amore?», si mise in punta di piedi per darmi un bacio sulla guancia. Non era più di un metro e sessanta; mi abbassai per aiutarla nel compito.
«Non mi sembra che tu abbia le mani occupate … – volevo farla arrabbiare – … ehi!»
Come risposta, la vidi uscire del locale avvertendomi ad alta voce che c'era la bibita da pagare. Il barista mi fece un cenno e sorrise. Saldai subito il conto e la raggiunsi mentre si dirigeva al parcheggio.
Fuori la giornata di fine primavera mostrava tutta la sua forza ed il sole era forte da stroncare il respiro.
Sbuffando le chiesi «E' possibile che ogni singola volta che ti chiamo per un lavoro dobbiamo fare questa stupida recita?»
Finalmente il suo tono era tornato il solito, cinico e polemico «Senti, te l'ho già detto. Tutti mi credono una puttana e a me va benissimo. E' una copertura che funziona e non ho intenzione di farla cascare solo perché al signorino 'a me non piace il tono mieloso' non gli va giù, capito?»
Anna si dirigeva a passo spedito verso la sua Honda bianca. Mi fermai, un po' preoccupato.
«Vuoi andare con la tua?», chiesi, fingendo stupore.
«Andiamo solo con la mia», rispose seccata.
Lo immaginavo, volevo farla ragionare «Eh no, cara! Io prendo la mia, sai che non mi fi—
«Piantala con questa storia! Non ho mai fatto un incidente e non ho intenzione di cominciare oggi". Sconsolato, mi diressi verso la portiera del passeggero. Poi riprese a borbottare «Tutte queste storie solo perché sono una donna»
«Veramente non è per quel—»
«Oh! Ma dai?», disse con tono di finto stupore mentre sbatteva la portiera «Vaffanculo!»
Non ebbi neanche il tempo di chiudere la mia di portiera che il cambio era già in D e la vecchia Civic faceva fischiettare allegramente le gomme per le strade di Colòn. Mi allacciai in fretta la cintura.
Anna era incredibile. La guardavo provando un misto di stupore e apprensione mentre faceva correre la sportiva berlinetta nel lento traffico delle due di pomeriggio. Sapevo che questo supplizio non sarebbe comunque durato più di cinque minuti, casa sua non era molto distante; approfittai del tempo a disposizione per scaricare un filo tensione e farla arrabbiare ancora un pochino.
«Mi deludi, guidi ancora con il cambio automatico», dissi ridacchiando.
«Fottiti, con il manuale è impossibile», mi rispose gelida.
Sbuffai. Mi aspettavo una reazione più calda, quindi mi limitai ad attendere preoccupato ed in silenzio la fine della corsa.
Fermò la vetturina nel solito vicolo, scese e prima di chiudere la portiera con un colpo d'anca esordì «Le chiavi sono nel quadro, puoi chiudermi la macchina?»
Presi le chiavi e chiusi la macchina come richiesto, la raggiunsi che era già dentro alla palazzina mentre saliva le scale ciabattando rumorosamente. Arrivammo al secondo piano e ci fermammo di fronte alla porta con recato scritto '2F'. Estrasse dalla tasca all'altezza del ginocchio sinistro un mazzo di chiavi e cominciò a sferragliare in cerca di quella giusta.
«Vuoi una mano?», mi resi conto troppo tardi che non era il modo migliore per chiederglielo.
«Già che ci sei, dammene due», rispose cinicamente porgendomi le chiavi.
Sapevo qual'era la chiave e aprii la porta.
L'appartamento di Anna era sempre quello, da anni ormai. Il condizionatore, il divano, il doppio tavolone e le strane sedie in giro per casa non erano cambiate; le uniche novità riguardavano i computer, i modem, i router, i gruppi di continuità e le schede in giro per casa. Sono certo che se qualcuno frequentasse casa sua con cadenza giornaliera noterebbe ogni giorno qualcosa di diverso comparire e scomparire come per magia.
«Siediti pure dove ti pare, vado un secondo in bagno e poi comincio»
Entrai nel salotto adibito a stanza di lavoro, dove tutte le apparecchiature informatiche facevano bella mostra di sé. Mi sedetti sul soffice divano e, fissando i computer, ripensai a come Anna cominciò questa vita.
Era figlia di un abile programmatore in Colombia che lavorava per il governo. Fin da piccola, nella sua cameretta, non aveva avuto né bambole, né sale del the per le amichette ma solo schede di computer, tastiere e monitor – anche perché il suo problema rendeva complicate le normali amicizie. Grazie ai computer e alla rete, passò una gioventù felice e nerd senza il minimo rimpianto, fino a quando i genitori non furono assassinati dai narcotrafficanti per colpa del lavoro del padre.
Lei, già maggiorenne all'epoca, decise di lasciare il paese. Ora è qui e sfrutta la sua grande abilità con i PC al servizio di noi mercenari, criminali e cacciatori di taglie. Per lei è l'unico modo per guadagnarsi da vivere; che destino beffardo, un abilità del genere e non poter lavorare in una ditta normale per via dei pregiudizi.
«Eccomi, possiamo partire», mi disse con tono cortese «Allora, ricordami di chi ti devo cercare i dati»
Mentre accendeva vari interruttori e batteva dei codici sulla tastiera, le dissi «Un certo Arnoldo Benítez Rodrígez, è un povero cristo che si è ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. E adesso ho bisogno di lui il prima possibile. Mi serve la sua attuale residenza, un report della carta di credito … insomma il solito checkup prima di partire alla caccia»
«A-ha … e puoi dirmi in cosa si è messo in mezzo?», chiese con un'aria innocente che non le si addiceva affatto.
«Le informazioni costano, e non ho in—»
«Sconto?», mi interruppe seria.
«Mmh …», mi grattai la testa «Quanto?»
Si prese qualche secondo prima di rispondere. «Un venti percento va bene?»
Annuii. «Il colpo all'assicurazione. Pare che sia invischiato più di quanto vorrebbe far credere»
«Capisco … senti, mi porteresti il vassoio rosso dalla cucina?», chiese mentre fissava il monitor e batteva qualcosa sulla logora tastiera personalizzata. Un vassoio con quattro sandwich attendeva sul tavolo della stanza accanto. Andai a prenderlo. «Dove vuoi che li poggio?», chiesi.
«Mettili pure qui accanto», accennò un movimento con la testa. Ne prese uno fra le dita e cominciò a mangiarlo. Avevano un bell'aspetto.
Mi guardò con la coda dell'occhio «Vuoi un sandwich? … sono ottimi», smise di operare sul PC e si girò verso di me con la sedia.
«Non mi piacciono», risposi distaccato.
«Guarda che non li ho comprati, li ho fatti con le mie … – sorrise amabilmente in tono di sfida – … manine»
«Capirai, no grazie. Usa piuttosto quelle tue manine per fare ciò che sai fare meglio. Pescami quei dati dalla rete, ti pago per questo»
«Le mie manine ti farebbero il dito medio se potessero», rispose stizzita mentre si girava di nuovo verso il terminale.
«Scusami … e che ho fretta», forse ero stato troppo serio.
«Si, si, hai sempre fretta tu», sbuffò.
Le dita cominciarono a correre rapide sulla tastiera. Era talmente veloce che sarebbe quasi potuta essere una dattilografa, nonostante tutto.
«Quanto tempo ti servirà stavolta?», chiesi preoccupato.
«Non molto, siediti e dammi cinque minuti, ok?», era completamente immersa nel lavoro
«Ok», gli risposi mentre tornavo a sedermi sul divano.
Approfittai dell'attesa per cominciare a contare i soldi del compenso. Povera Anna, che vitaccia, o ci nasci così o fai una fatica incredibile a sopravvivere. Lei ci era nata, e in questo forse, era stata più "fortunata"; normalmente non ci dava mai molto peso, o almeno, così voleva far credere in giro.
Finita la conta – 1.800 dollari statunitensi – chiusi gli occhi e mi poggiai allo schienale, rilassando collo e schiena, sperando di riuscire a riposare un minuto prima di ricominciare la corsa del mio "ultimo giorno".
Non ebbi il tempo di sospirare che un «Bingo!» gioioso mi fece riaprire gli occhi e, rassegnato per non poter risposare neanche un poco, mi alzai per raggiungere Anna che stava già stampando il foglio con gli estremi dei dati richiesti.
Me lo porse. «Ecco il riassunto dei dati che mi hai chiesto», disse con tono gioioso «visto che non ci ho messo tanto?»
«Sei un tesoro», le risposi sorridendo.
«Sì certo, come no», mi disse cinica «ti sto masterizzando un CD con tutti i dati estesi nel caso dovesse servirti, mentre finisce, lascia i soldi sul tavolo che li voglio contare»
«Non ti fidi mai, no?»
«Mai», rispose convinta.
La guardai mentre contava le banconote sul tavolo. «Davvero non so come fai», dissi con un sospiro «In più, sei un hacker eccellente e non sei mai stata scoperta»
«La mia maledizione è la mia benedizione; nessuno potrebbe mai sospettare di me» rispose con quel suo tono soddisfatto e triste allo stesso tempo che la caratterizzava ogni volta che si parlava del suo problema.
«Ok» riprese «i soldi sono apposto ed il cd è pronto. Possiamo andare, ti riporto al locale».

Mi lasciò davanti all'ingresso del locale mentre si allontanava rapidamente in auto.
La sua maledizione è la sua benedizione, mai parole più vere. Ripensavo a tutto quanto quello che mi aveva detto mentre camminavo verso la mia vecchia auto. Lei è completamente insospettabile. Chi avrebbe mai immaginato che una delle più grandi hacker dell'America centrale fosse una ragazza senza braccia dalla nascita.
Mi stupisce sempre.

martedì 22 settembre 2009

Brand new world - Final

Earth Spaceocracy - Part 9

Lo scioglimento della H.E.L.I.C.S. era stato prestabilito fin dall’inizio.
Durante la costruzione del sito su Jarvis, vennero pianificati accuratamente i primi passi del Ground-Orbital Lifting Infrastrucure. Per un periodo iniziale, la gestione sarebbe stata in mano ad una nuova Holding formata dalle ceneri della vecchia. Sarebbero rimasti quindi gli stessi “azionisti” del passato a gestire la piattaforma, fino a quando – superato un periodo detto di “affinazione” successivo al quale avrebbero legalmente perso ogni potere sull’ascensore – non avrebbero garantito a tutti l’accesso con prezzi di listino atti a coprire solo i costi d’esercizio, privandosi di qualsiasi profitto.
Un vero peccato che questo nobile e lodevole ideale, sia stato completamente eclissato dalla pubblicazione della durata del periodo di affinazione. Sessant’anni. Periodo nel quale la G.O.L.I.A.T.H. – Ground-Orbital Lifting Infrastructure Activity Temporary Holding – avrebbe gestito in maniera del tutto autonoma l’ascensore, praticando i prezzi d’interesse legati alle attività extra ordinarie di affinamento della struttura e degli uomini, formazione del personale, ricerche per il corretto sfruttamento e così via. Molte favole raccontate ai media per nascondere l’interesse non solo di recuperare i costi sostenuti – cosa che avrebbero accettato in molti dati gli sforzi sostenuti dalle economie ricche – ma per guadagnare una posizione di potere nei confronti di chi non era della partita. Infatti i prezzi che venivano praticati ai privati e alle nazioni che finanziarono il progetto erano convenienti se confrontati ai costi dei normali lanci di razzi. Per le altre nazioni, no. I vettori rimanevano più economici rispetto alle tariffe dell’ascensore.
Lo sfruttamento dello spazio fu quindi appannaggio solo di coloro che ebbero la possibilità di sostenere il progetto, e questa posizione di favore creò una sorta di colonialismo nei confronti di un mondo su un altro. Sarà ricordata per sempre come “spaziocrazia”.
Che il periodo di affinazione fosse una strategia per recuperare una posizione di rilievo, divenne palese con il passare dei primi anni. Le economie in ginocchio di questo “nuovo mondo” cominciarono a correre come mai visto prima nella storia e l’arroganza della G.O.L.I.A.T.H. si fece man mano sempre più presente nel modo di porsi nei confronti del “vecchio mondo”.
Ad oggi, si calcola che sono stati a malapena recuperati 1/3 dei costi sostenuti, a seguito della prematura chiusura per inutilizzo.
Curioso come David Velasquez sconfisse G.O.L.I.A.T.H., rendendo completamente anti-economico, antico ed inutile l’ascensore, nonstante gli enormi sforzi sostenuti, trasformandolo nel più grande e costoso monumento alla stupidità e avidità del genere umano.

Ma come questo avvenne, è la vera storia.

Revision

Personal comment

L'ho fatto.

Sono state applicate delle modifiche a Earth Spaceocracy - Part 7 e Part 8.
Con queste ho una rampa di lan... un ascensore spaziale preferenziale per la chiusura di Brand New World.
Mi dispiace se mi sono dilungato troppo.

Ancora grazie per l'attenzione,

Buona lettura.

domenica 20 settembre 2009

I'm sorry

Personal comment

Lo devo ammettere.
Sono dispiaciuto di non riuscire a esprimere come vorrei il capitolo di Brand new world. Dovrete portare ancora un po' di pazienza, ma ci sono tante cose che vorrei inserire. Sono tutte legate fra di loro in un contesto preciso e ordinato, ma faccio fatica a mettere sulla "carta" per bene. Il terzo capitolo è qui sotto, ma non sono completamente convinto del lavoro.

Potrei andare a rieditare anche i vecchi capitoli ...
Se dovessi portare qualche modifica, sarete avvisati tempestivamente.

Per ora, buona lettura e spero che la cosa non vi stia annoiando.

P.S.
Credo che inserirò un diversivo per distendere un po' la mente da Earth Spaceocracy.

Brand new world - Part 3

Earth Spaceocracy - Part 8

Durante i primi anni a seguire il 2039, la situazione degli stati finanziatori era a rischio. Le previsioni, nonostante un certo coefficiente di sicurezza, furono superate e si videro costretti, per continuare nel progetto, a dover emettere nuove quote di partecipazione. L’Argentina, il Messico il Sudafrica e Israele riuscirono ad entrare grazie a questa apertura, Singapore non ebbe abbastanza tempo per trovare i fondi, l’Ecuador, mal visto per le pretese sulla locazione delle Galapagos, nemmeno. Molte quote furono coperte da stati già presenti grazie a grossi finanziamenti di ditte private che cominciavano a seguire con interesse i primi sviluppi.
Queste crisi di fondi si riproposero anche nel 2041 e nel 2046, e ognuna di queste crisi portò con se grandi disagi economici per le nazioni che ormai si vedevano in ballo nel progetto e che non potevano più tirarsi indietro. Nessun’altra nazione riuscì ad entrare nella partita, anche perché le nazioni già proprietarie di porzioni di capitale ebbero la priorità nell’acquisizione di nuove quote. Quando queste venivano opzionate, e la cosa accadeva parecchio di rado. Molto spesso veniva richiesto alle nazioni già possedenti le quote, di aumentare il valore delle stesse piuttosto che il numero. Soluzione che faceva capire quali sarebbero stati i nuovi equilibri mondiali, se la tecnologia, l’economia e l’industria avessero avuto l’incremento sperato per sostenere la nuova crescita e recuperare l’enorme investimento.
L’economia era satura di tecnologie conosciute; ora lo spazio a basso costo avrebbe creato nuovi settori che avrebbero generato nuovi flussi monetari e ricostruito le economie in ginocchio. Innovative forme di intrattenimento, costruzioni spaziali alla portata di tutti, esplorazioni e lanci in orbita in tempi ridottissimi e ricerche a basso costo negli ambienti zero G erano i primi orizzonti che avrebbero dato ritorni economici; la successiva nascita di nuove forme, all’epoca impensabili, per lo sfruttamento dello spazio erano la naturale evoluzione.
Al momento dell’apertura delle attività gli stati finanziatori erano stremati da tutti i fondi che furono versati per l’impresa. Le economie erano regredite e alcune nazioni che non parteciparono al progetto, si trovarono inaspettatamente molto ben posizionate nei confronti delle altre. Ma questa situazione durò giusto il tempo di un sogno.
La H.E.L.I.C.S. portò a termine lo scopo per la quale era nata. Spendere tutti i soldi ricevuti durante le attività di produzione e chiudere i battenti con un bilancio clamorosamente in passivo. La Ground-Orbital Lifting Infrastructure – o come era conosciuto e chiamato nella cultura popolare, l’ascensore spaziale – era finalmente pronto a cominciare le sue attività.
Tutti guardavano in direzione dell’Isola di Jarvis – chi per timore di quello che stava per accadere, chi fiducioso del fatto che non si sarebbe mai arrivati al punto di negarlo a qualcuno – dove un colosso che si ergeva per migliaia di kilometri in altezza, tagliava non solo il cielo in due, ma anche l’intero mondo.

martedì 15 settembre 2009

Brand new world - Part 2

Earth Spaceocracy - Part 7

Il R.I.S.E. era un ente internazionale finanziato da tutte le nazioni che avevano un qualsiasi genere di programma spaziale, e anche da una certa fetta di nazioni interessate al concetto dietro all’ascensore spaziale, cioè il raggiungimento e lo sfruttamento dello spazio a “basso costo”.
L’istituto terminò il rapporto sulla fattibilità sull’ascensore spaziale in 20 mesi. All’interno si trovavano tutti i dati e i dettagli per passare alla fase progettuale e operativa di questa nuova meraviglia del mondo. Fu un periodo ricco di stimoli e di speranze per l’umanità. Il R.I.S.E. fu la prima esperienza di sforzi congiunti alla ricerca di un traguardo economico per tutte le nazioni, e luminari di tutto il mondo erano riuniti per il bene comune.
Il rapporto era molto ben strutturato. Parecchi calcoli messi in relazione fra di loro davano la possibilità di valutare, calcolare e dimensionare, dal punto di vista strutturale, l’architettura e le dimensioni dell’ascensore. Ora la decisione su come operare, spettava ad una nuova entità.
La H.E.L.I.C.S. era una società con sede a Ginevra, fondata dall’ONU per via dell’importanza planetaria rivestita dal progetto, che mirava all’erezione della più imponente struttura del pianeta terra. Nello statuto della società veniva indicato che i soli azionisti accettati sarebbero stati i governi delle nazioni; se qualche grosso ente privato avesse avuto interesse ad entrare nel gruppo, avrebbe dovuto partecipare tramite finanziamenti ad una singola nazione. In base al costo iniziale previsto del progetto, erano stati stabiliti anche i valori e il numero delle quote per entrare. La NASA dovette appoggiarsi al suo principale finanziatore, il governo degli Stati Uniti, per entrare nella partita. Per l’ESA, si dovette trovare uno stato rappresentante per l’intera Europa. La scelta fu obiettivamente logica e abbastanza ovvia; il più grosso finanziatore, il proprietario legale delle isole dove si trova la base di lancio di Kourou e la nazione che ospitava la sede dell’agenzia, era la Francia. Non ci furono molte obiezioni a riguardo, nemmeno dalla Russia. Qualche agenzia europea volle partecipare anche singolarmente, appoggiandosi alla propria nazione e con l’aiuto di grossi finanziatori locali.
Parteciparono massicciamente anche il JAXA nipponico e il CNSA cinese. L’Indian Space Research Organisation, , la Agência Espacial Brasileira, il Korea Aerospace Research Institute, il NSAU Ucraino e il Canadian Space Agency entrarono in misura minore per le ridotte capacità economiche. Insieme a loro anche gli Emirati Arabi Uniti presero parte al progetto, forse più per prestigio che per interesse.
Le nazioni meno ricche, si indebitarono parecchio e rischiarono anche il tracollo economico pur di entrare. Si rendevano conto come questo avrebbe potuto cambiare il loro futuro, e non volevano perdere la loro occasione, a qualunque costo. Molte altre nazioni si videro tagliate fuori per gli alti costi minimi di partecipazione.
Il fatto che questi parametri siano stati decisi dopo la scelta di Jarvis e l’affare Ecuador, fanno credere che sia stata una scelta guidata, altri affermano che non era possibile identificare i costi delle quote prima di scegliere il luogo dove stabilire la struttura.
A partire da qui, il mondo cominciò a temere la riapertura di un divario che sembrava sulla via della chiusura.

sabato 12 settembre 2009

Brand new world - Part 1

Earth Spaceocracy - Part 6

Il mondo sembrava un posto migliore.
Era cambiato parecchio rispetto ai primi anni del 2000. L’apertura del mercato cinese, lo sviluppo industriale e poi sociale dell’India, la crescita d’importanza del Brasile per i combustibili di origine vegetale e le due presidenze di Barack Obama – che furono d’esempio e cambiarono il modo di porsi degli Stati Uniti nelle future presidenze – portarono ad un stupendo squilibrio dei vecchi poteri economici che perduravano dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Il mondo, terminato il periodo dove una parte del pianeta viveva sulle ricchezze sottratte all’altra metà, cominciava finalmente a muoversi all’unisono verso un futuro, finalmente più pacifico.
I grandi divari economici e tecnologici non scomparvero; si appianarono. Quanto bastava per cominciare a limitare i grandi flussi migratori e a creare basi solide per la vita economica e civile di stampo occidentale in ogni paese. La valuta cinese era considerata abbastanza forte da affiancarsi a dollaro, euro, sterlina e yen, ed era comune moneta di scambio ben accettata in tutto il continente africano. Questo per via dei grandi progetti portati avanti dai governi locali in collaborazione con i cinesi.
I popoli più ricchi del pianeta avevano subito una leggera recessione economica per via dell’espansione del resto del mondo e da diversi anni a questa parte avevano cominciato ad osservare la volta celeste con insistenza. Nuovi progetti NASA e ESA facevano sognare e vedere il futuro più vicino. Nuove tecnologie e nuovi studi su razzi vettori più economici per il trasporto di “payload” in orbita, facevano sentire lo spazio quasi a portata di mano. Il grande progetto che però teneva tutti con il fiato sospeso era Mayflower I; la prima base fissa sulla luna nella storia dell'umanità.
Qui accadde l’inaspettato.
Il theian fu una scoperta capace di innescare una nuova rivoluzione industriale, senza penalizzare nessuno. L’ industria edile, aeronautica, aerospaziale e automobilistica furono i primi settori che si interessarono al theian per creare telai o scheletri molto più leggeri e allo stesso tempo resistenti. Tutti furono subito accecati dalla luce splendente del theian, e dalle possibilità che dava nelle soluzioni innovative a vecchi problemi. Cominciò una nuova corsa verso un ulteriore perfezionamento dei sistemi che già esistevano.
Soltanto una persona, per la precisione uno studente della facoltà di costruzioni aerospaziali di Padova, pensò all’applicazione più estrema e innovativa di questo materiale. Nella sua tesi di laurea fece uno studio, relativamente approfondito, sull’ascensore spaziale e la fattibilità di un tale progetto con la nuova tecnologia del theian.
Non passò più di un mese che il Research Institute for Space Elevator venne fondato, con lo scopo di valutare a fondo ogni possibile scenario per l’ascensore spaziale.
Questo fu l’inizio dell’inversione di tendenza.

mercoledì 9 settembre 2009

The Jarvis sacrifice

Earth Spaceocracy - Part 5

La H.E.L.I.C.S., nonostante le grandi disponibilità, si trovava di fronte ad un progetto colossale; non solo per quanto riguardava la prima e unica struttura del suo genere, quanto tutta la trasformazione dell’isola di Jarvis, da montagna di guano, nello snodo logistico multi modale più tecnologico al mondo. I 3,5 km2 dell’isolotto erano insufficienti per tutto il progetto, si sapeva fin dall’inizio, e nonostante la provenienza corallina e il suo habitat tropicale, le profonde e ramificate fondamenta e le colate di cemento armato furono posate senza alcun rimorso.
Gli ambientalisti non stettero a guardare con le mani in mano, si rendevano conto dell’importanza del progetto, ma si rendevano conto che, secondo quanto stabilito dal R.I.S.E., altri siti sarebbero stati altrettanto adatti per l’erezione; se non addirittura migliori. Nelle proteste che seguirono l’intera costruzione del sito, il nome dell’Ecuador veniva proposto e riproposto continuamente. Gli ambientalisti erano convinti che non si procedette alla costruzione su quel sito (nonostante anche avrebbe avuto un forte impatto ambientale anche lì) per motivi puramente politici. Che non stessero sbagliando, ad oggi, è palese, ma all’epoca non si sarebbe mai potuto immaginare quanto avrebbe diviso il mondo quella scelta.
Il progetto del centro multi modale si articolava sugli studi fatti dal R.I.S.E. Tutte le strutture di scarico per le navi portacontainer e non, l’aeroporto commerciale che sarebbe sorto di li a poco, le zone di controllo della pericolosità della merce, le strutture di adeguamento per i carichi, i magazzini di attesa e la zona di carico, erano tutti stati progettati per un volume di merce trasportato pari a 4N, dove N era la quantità prevista una volta arrivata a regime la struttura con la tecnologia attuale. Ci si aspettava quindi che nell’arco di utilizzo e di vita del complesso, la tecnologia sarebbe riuscita ad aumentare lo sfruttamento dei cavi e migliorare la tecnologia dei sollevatori portando fino a 4 volte il carico iniziale massimo ipotizzato. Le strutture di contorno, di conseguenza, erano state studiate per essere ampliate fin dal principio, secondo le planimetrie accuratamente studiate all’inizio del progetto, al ritmo scandito dell’evoluzione tecnologica a venire.
Tutto era stato previsto con precisione, dato l’enorme investimento, era giusto che tutti i dettagli fossero stati calcolati nell’infinitesimo e seguiti alla lettera, senza badare ai costi, che, nell’arco di utilizzo della struttura, si sarebbero ripagati. Al termine dei lavori durati quasi 11 anni e alla fine dell’estremo sacrificio di quel piccolo paradiso tropicale, la Holding for Ecquatorial Lifter International Construction Site, come preventivato, venne chiusa.
La porta per lo spazio era stata aperta per la prima volta nella storia dell’umanità.
L’ascensore spaziale era finalmente pronto.

giovedì 3 settembre 2009

Knocking at the space door.

Earth Spaceocracy - Part 4

L'odio genera altro odio.
Il proiettile - sparato chissà da dove, chissà quanto tempo fa e chissà, inizialmente, contro cosa – non avendo provato altro che odio, dalla sua nascita fino al suo utilizzo finale, scontento di non essere riuscito a compiere la sua missione distruzione, decise che avrebbe avuto la sua personale vittoria. Con una determinazione tale da farlo sembrare quasi cosciente, abbatté tutta la sua forza contro la Terra (quasi tutta, una parte fu dispersa su marte nella creazione della Valles Marineris).
L’impatto fu sconvolgente. Miliardi di miliardi di tonnellate furono sollevate dalla terra e portate in orbita attorno alla stessa.
La Terra riuscì, grazie allo scorrere del tempo, a far scomparire ogni traccia rimasta sul pianeta della lega a seguito del furioso scontro. Le condizioni del pianeta erano ben più corrosive di quanto non lo fossero sul freddo satellite senza atmosfera che si stava lentamente formando. La luna, nata dal theian, divenne per un lunghissimo tempo, la sua tomba.
La missione Mayflower I, fu ciò che fece rinascere il theian. La creazione della base in pianta stabile sulla luna e le accurate ricerche geologiche seguite, portarono alla luce delle microscopiche schegge del materiale. Gli scienziati della NASA, non furono in grado di capire subito di fronte a quale enorme tesoro si stessero trovando; l'unica cosa che capirono e che questo era un frammento di qualcosa mai osservato prima. Il frammento era talmente piccolo che rese impossibile determinare le caratteristiche meccaniche; si limitarono quindi, a studiarne l'analisi chimica e la forma cristallina che risultarono subito unici e mai analizzati in precedenza.
Ma i primi dubbi sulla provenienza naturale di questa lega cominciarono quando l’Agenzia Spaziale Europea, decise, per investimento sulla pura ricerca, di ricreare un campione del materiale; inaspettatamente l'impresa si rivelò molto più ardua del previsto. L’iniziale investimento e l’attrezzatura fornita risultarono inadeguati e, l’ESA chiese la partecipazione della NASA nello sviluppo di un campione di theian. La NASA accettò e chiese, per potersi finanziare anche privatamente, di condividere i diritti nel caso di commerciabilità della lega, se mai si dimostrasse valida. Non poterono fare una richiesta più indovinata di questa.
Una troupe di ricercatori di entrambe le agenzie, dopo circa sei settimane, riuscì a mettere assieme la corretta metodologia per produrre sperimentalmente dei provini di theian. I risultati furono semplicemente sbalorditivi. Una caratteristica unica della lega era la totale auto-perfezione delle fibre e la completa e naturale assenza d'impurità che rendeva il theian il materiale dalla più alta resistenza meccanica mai osservata prima, nettamente superiore perfino ai nanotubi di carbonio. Dal punto di vista di altre caratteristiche fisico chimiche, come la conducibilità termica/elettrica o dilatazione termica, non mostrava alcun valore particolare. L’eccellente resistenza, l’ottima lavorabilità, l’alta durezza, unita al leggero peso della lega, rendeva il theian, il re incontrastato della meccanica.
Il costo di fabbricazione di questa lega è parecchio alta se paragonata alle leghe di alluminio, acciaio o titanio, ma i vantaggi tecnologici di questo materiale fanno passare in secondo piano questo rovescio della medaglia. In certe applicazioni, il costo è irrilevante.
La mano capace di bussare alle porte dello spazio. Ecco come è stato salutato il theian alla nascita della H.E.L.I.C.S. e alla chiusura del R.I.S.E
Ma questa rivoluzione tecnologica divenne accessibile ai soli che furono provvisti della possibilità di finanziare il progetto. Questo riaprì una ferita sul pianeta che si era appena rimarginata.
E l’odio generò altro odio.

Raising moon

Earth Spaceocracy - Part 3

La luna è un satellite atipico, unico nel sistema solare e che quindi merita una particolare attenzione. E' inaspettatamente grande per essere il satellite di un pianeta così piccolo - in proporzione - tanto da considerare quasi il sistema Terra-luna un pianeta doppio, nonostante il punto di rotazione del sistema sia dentro la massa della Terra. Giusto per fare un esempio, satelliti di tali dimensioni sono appannaggio di pianeti molto più grandi come Giove, non certo di pianetuncoli come Venere, che viaggia in solitudine nella sua orbita, o Marte, possedente solo due miseri asteroidi.
Al contrario di quanto detto sulla Valles Marineris, a proposito della nascita della luna gli scienziati ci avevano visto abbastanza bene. A grandi linee: un enorme impatto su di una terra primordiale. E fin qui tutto bene; ma quando si comincia a parlare di un asteroide, spesso chiamato Theia, delle dimensioni prossime a quelle di Marte, è comprensibile che non si sarebbero mai potuti immaginare la realtà. Se poi vogliamo aggiungere al tutto la panspermia ... ma in effetti, tuttora, non si è troppo convinti che la vita sia arrivata tramite ... Theia. Chiamiamolo così. Per ora.
A quello che accadde alla Terra parecchio tempo fa è arduo crederci, ma oltre all'indizio, datoci inizialmente da Marte e la sua Valles Marineris, la vera conferma arrivò al termine della terza fase della missione Mayflower I; le sue accurate ricerche geologiche portarono alla luce quel frammento. Il primo contatto dell'umanità con il Theian. Un frammento di materiale che risolse un puzzle vecchio di milioni di anni. Theia non era un asteroide.
Quel qualcosa che impattò, con una violenza inaudita, sulla Terra primordiale e che sollevò talmente tanta materia in orbita da formare la luna, era qualcosa di talmente potente e pericoloso, che il solo transitare all'interno dell'atmosfera di Marte fu capace di creare quella cicatrice mostruosa; era qualcosa nato per distruggere, cresciuto nel profondo odio di qualcuno nei confronti di qualcun'altro e usato nella speranza di annientare. Oltre alla certezza di non essere soli nell'universo, capimmo finalmente cosa si nascondesse dietro la nascita della luna.
Theia era un proiettile.

mercoledì 2 settembre 2009

Jarvis, the treasure island

Earth Spaceocracy - Part 2

L'isola di Jarvis, fino al 2037 era una tranquillissima e disabitata isola corallina di forma trapezoidale dell'oceano pacifico, un ambiente incontaminato che veniva frequentato solo da studiosi con particolari permessi, un oasi natura protetta sotto la giurisdizione della US Fish and Wildlife Service. Un piccolissimo appezzamento di terra, poco più lungo di tre chilometri nella diagonale maggiore, che non era nemmeno incorporato nei territori degli Stati Uniti; un vero paradiso a pochi metri dall'equatore.
L'opposto di quello che rappresenta oggi, la punta di diamante della tecnologia terrestre.
Jarvis non era l'unico posto in cui si poteva fare. Era solo uno dei pochissimi luoghi dove era fattibile una tale costruzione e quando il R.I.S.E. confermò nel suo studio l'idoneità della locazione, il governo degli Stati Uniti, per sicurezza, reclamò immediatamente l'isola ora più preziosa che mai; considerando che il massimo dell'utilità di Jarvis si ebbe nel tardo ottocento quando venne usata per l'estrazione del guano, c'è da dire che il suo ruolo ora è molto più rispettabile.
Ma la scelta iniziale, si sa, non ricadde su Jarvis ma sulle Galapagos, molto più vicine ai territori continentali, al canale di Panama e parecchio più grande di quell'isolotto coperto di guano. Avevano tutte le carte in regola per essere l'unica scelta, e il governo legittimo che amministrava quelle isole era talmente sicuro che la scelta sarebbe ricaduta sul quel arcipelago, che avanzò delle richieste tali da far vanificare i vantaggi del più grande progetto che l'umanità avesse mai portato avanti nella sua intera storia.
Quella fu la grande occasione persa dell'Ecuador. Che sia stata questa avidità a condannare le attività degli stati non finanziatori per il futuro? Che questo eccesso di sicurezza sia stato il motivo scatenante dei nuovi enormi divari economici che sono tornati a separare la terra, probabilmente non lo sapremo mai. L'unica certezza e che per qualcuno le porte del futuro sono state chiuse, e tutti additano l'Ecuador come colpevole. Questa è la condanna dell'Ecuador.
Nel frattempo Jarvis, lontana, piovosa e considerata inizialmente troppo piccola per il progetto, da cava di guano è diventata miniera d'oro. Ma non per tutti.

martedì 1 settembre 2009

The moon gamble

Earth Spaceocracy - Part 1

La Valles Marineris è una grossa cicatrice sul volto di Marte. Un particolare sito geografico del pianeta noto da molto tempo prima che si confermasse la totale assenza di vita e di canali di irrigazione sul pianeta rosso. Questa teoria, specialmente quella dei canali, era fomentata dalla scarsa qualità dei telescopi dell’inizio del diciannovesimo secolo e dai cambi di colore regolari e periodici della superficie del pianeta che facevano supporre la presenza di una vegetazione stagionale e quindi di un altrettanto complesso sistema di canali.
Con il progredire della tecnologia, si capì che l’unico vero “canale” presente su Marte era appunto la Valles Marineris.
Inizialmente si credeva potesse aver avuto uno sviluppo geologico simile ai canyon terrestri, nonostante l'enorme dimensione dello sfregio facesse dubitare che fosse la normale erosione provocata dall'acqua e dall'aria. L’averlo catalogato come tale infatti è stato uno dei più grossi sbagli dell’astronomia moderna; ma certo, nessuno avrebbe potuto immaginare cosa celasse in realtà. Qualcosa che avrebbe superato la libertà creataci dalla scoperta del fuoco o della ruota nei primordi dell’umanità.
Allo stesso modo nessuno avrebbe potuto mai immaginare che la più costosa missione spaziale della storia dell'umanità - nonché il secondo progetto più costoso nato sulla terra - la missione NASA Mayflower I per la costruzione della base fissa sulla luna, avrebbe prodotto così tanti entroiti da ripagarsi in meno di un anno grazie alla scoperta di un singolo, piccolissimo frammento di materia.
L’attuale struttura che si erge, poderosa, sull’ isola di Jarvis è il segno tangibile dei risultati di questa missione spaziale, come anche è il segno tangibile che il mondo, dopo aver appianato i grandi divari economici, è tornato ad essere diviso in due per via della deplorevole avidità intrinseca dell’essere umano, e come tale, l’odio è tornato a dettare legge sul volto del pianeta azzurro.

sabato 29 agosto 2009

First contact

Kuwaitian Candys - Part 1

La mensa era quello che ci sarebbe dovuti aspettare da una struttura in lamierato, eretta nel mezzo di una zona industriale, eretta nel mezzo del deserto, eretto - insieme ad una discreta quantità di petrolio - da madre natura in quello che oggi è chiamato Kuwait. Null'altro che una serie di tavoloni in legno corredati di panche ai lati. Un ambiente che cercava di rinfrescarsi facendo lavorare all'impazzata un paio di condizionatori che soffiavano nella vana speranza di battere quel forno naturale che, all'esterno, superava con indifferenza i 50 gradi centigradi.

La mensa era vuota. Gli operai thailandesi avevano già finito il loro pasto e attendevano all'ombra le ore 15.00 per tornare a lavorare. Dal fondo della mensa il cuoco, anche lui thailandese - come tutti i dipendenti che non erano in una posizione di rilievo - li salutò e, mentre si avvicinavano con i vassoi di metallo - appena colmati di riso al vapore - ai banconi della cucina, portò fuori un enorme pentolone che posò pesantemente sul ripiano. Poggiàti i vassoi sul bancone, il cuoco ci presento delle scodelle, anche queste di acciaio, abbastanza convincenti nell'aspetto. All'interno si presentava un brodino scuro che faceva da sughetto ad una mistura di pollo a dadi e peperoncini.

Non sembra male - disse Norman mentre aggiustava la sua porzione sul vassoio - E' molto piccante?

Il termine piccante era una cosa che male si adattava alla situazione che stava avendo luogo nella sua bocca.

Se il solo pulirsi il dito - che aveva toccato un pezzettino di pollo per spingerlo all’interno del piatto - con le estremità delle labbra aveva causato quel panico alle papille gustative, non voleva nemmeno sapere che supplizio potesse essere leccare la forchetta.

Nonostante il panico che stava impazzando nella sua bocca, fece finta di niente e seguì i due colleghi al tavolo vicino ai condizionatori dedicato agli impiegati degli uffici.

Seduti al tavolo cominciò a mischiare il riso al vapore con la "infiammata di pollo" della scodella per cercare di rendere il riso saporito e nella speranza di smorzare un po’ l'eccessiva piccantenza della seconda pietanza.

Il cuoco, portò al tavolo anche acqua fresca, dell'insalata e delle mele e se ne tornò dietro alle cucine con i ringraziamenti di tutti.

E' sempre così piccante il pollo thai? - chiese Norman

Andrew assaggiò il piatto incriminato, e dopo due secondi e un forte colpo di tosse rispose roco - Ci sono andati un po’ pesanti oggi.

Mi sento sollevato - esordì rilassato Norman - credevo di avere dei problemi con il piccante.

[...]

Erano passate diverse ore dal pranzo quando gli tornò su un po’ d’aria dallo stomaco. Soppresse ogni rumore del piccolo rutto, ma basto quello per rimembragli in modo tangibile il piccante pranzo della giornata. Fra se e se commentò - Incredibile.

Si alzò, andando alla ricerca di un altro bicchiere d'acqua fresca.

Presentation

Un gentile saluto a tutti coloro che stanno per perdersi nelle pagine di questo blog.

E' un annuncio un pò esagerato attualmente. C'è solo questo post e non so quanto potrà o vorrà andare avanti la serie delle storie creseziane; ma ci spero e ci metto la più buona volontà nel farlo.

Oltre che a scrivere qualcosa spero anche di riuscire a scrivere qualcosa di leggibile e che vi faccia provare cio che cercherò di trasmettere. In fondo è tutto quello che vorrei. Trasmettere un emozione a qualcuno.

Ad oggi dovrei avere abbastanza tempo per farlo ... non mi dilungo troppo, e vediamo di cominciare subito.

Vi auguto una buona lettura.

Saluti.