lunedì 7 dicembre 2009

Wake up

Multwins - Part 2

Angelo si svegliò di soprassalto, come tutte le volte che accadeva. Non faceva eccezione nemmeno l'emicrania, anche a questo risveglio si manifestava in tutta la sua forza.
Si abbandonò supino sul letto fissando il soffitto per svariati minuti, terminati i quali, si alzò lentamente dal letto, sollevato dal fatto che quel breve lasso di tempo l'aveva aiutato a smorzare il battere ritmico dell'emicrania.
Uscì dalla stanza per recarsi al bagno con passo stanco e con addosso la solita triste certezza che lo accompagnava oramai da parecchie settimane.
Entrato vide il libro lì dove lo aveva lasciato la sera prima – aperto su una pagina bianca e poggiato sul bordo del lavello. L’uomo, in piedi di fronte ad esso, era piegato in avanti con il volto a pochi centimetri dallo specchio. Da quella posizione poteva osservarsi attentamente, scrutando ogni piega della pelle e dettaglio del volto. I lineamenti leggermente allungati della mascella, la bocca dalle labbra molto sottili, gli occhi chiari e sofferenti di leggero strabismo non sembravano essere cambiati, ma i capelli corti e arruffati che facevano capolino ad una stempiatura appena accennata, erano una novità. Anche la barba, lasciata incolta da diversi giorni non era quasi mai capitata in precedenza.
Si rialzò senza fretta, mentre in lontananza le campane battevano le ore otto del mattino. Fuori dalla finestra la giornata era grigia e triste.
Spostò il libro lasciandolo sempre aperto e lo poggiò sulla tavola del gabinetto. Aprì l'acqua fredda del lavello per sciacquarsi il volto più volte con vigore per poi, non contento, infilare la testa sotto il getto d'acqua e lasciar correre il liquido ghiacciato sulla nuca. Chiuse l'acqua con ancora la testa reclinata sotto il rubinetto e rimase per un po' in quella posizione, come in contemplazione dell'appena ritrovata lucidità.
Allungò il braccio per afferrare l'asciugamano. Se lo portò attorno alla testa strofinandosi con forza fino a quando ogni singola goccia d'acqua, insieme al loro freddo pungere, scomparve, lasciando il posto ad un corroborante sollievo.
Estrasse la prima Polaroid dal borsone che giaceva sul freddo pavimento piastrellato, allungò il braccio che la reggeva verso avanti, e se la puntò contro. Cercò di inquadrarsi al meglio, sfruttando anche il suo riflesso nello specchio. Scattò la foto.
Prese l’istantanea, ancora nera, per poggiarla sulla pagina sinistra del libro mentre sul fondo della stessa annotò con una penna nera: Sabato 13 novembre 1982, variante 21.
Mentre la foto prendeva lentamente forma e colore, dallo stesso borsone scuro, estrasse del nastro adesivo per fissare l'istantanea alla pagina bianca. Completò l'operazione rapidamente, staccando i pezzi con l'aiuto dei denti, per poi rimanere a guardare, con fare assente, l'istantanea diventare sempre più chiara e definita, fino al termine dello sviluppo quando richiuse il libro con vigore facendolo rimbombare nella piccola stanza piastrellata. Lo posò nel borsone e ne controllò il contenuto. La Polaroid normale, la seconda Polaroid modificata, la fondamentale Orezemina, le altrettanto indispensabili siringhe di Propofol, i lacci emostatici, la Walther PPK silenziata, un cambio di abiti, il sacchetto con dentro tutto il necessario per l'igiene personale, la piccola sveglietta e il libro.
Ogni cosa era la suo posto. Fece la verifica meccanicamente, nonostante controllasse il contenuto almeno due volte al giorno. Non avrebbe mosso un passo senza la sicurezza di avere tutto con sé. Si cambiò d'abito e uscì dall'appartamento in affitto – saltando a piè pari la colazione – per dirigersi verso la modesta Lancia Delta che lo aspettava al parcheggio. Aprì il portellone posteriore, per poggiare il borsone nel vano bagagli e, una volta richiuso, si sedette alla guida della milletré.
Guidando con tutta calma, raggiunse il parcheggio dell'appartamento designato in poco meno di mezzora. Prima di prendere in mano il borsone, estrasse la pistola per nasconderla sotto il giubbotto. Così equipaggiato si diresse verso la porta dell'abitazione ricavata da una porzione della villetta bifamiliare.
Di fronte alla porta d'ingresso, lasciò il borsone per terra e suonò il campanello. Guardò l'ora, 9:19. Da dentro una voce fin troppo familiare lo avvisava che sarebbe arrivato subito. Prese la pistola in mano e lasciò scivolare il braccio lungo il fianco, distendendolo.
Era successo troppe volte, non sentiva nemmeno più un pizzico di emozione o di adrenalina. L'unica cosa capace di percepire in quel momento, di fronte a quella situazione, era la totale indifferenza. “Che schifo”, rifletté fra sé e sé.
La porta si aprì.

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