martedì 18 maggio 2010

Awake and guilty

Fair deal - Part 4

Ognuno aveva raggiunto il suo obiettivo e ottenuto quello che voleva.
Samantha si crogiolava nell’estasi del sangue fresco che le stava impregnando il corpo mentre Roberto era riuscito a riavere Sara. Il suo corpo era libero da quel misto di sensazioni che lo opprimeva dal suo risveglio. Il suo petto era libero e respirava con serenità. La sua mente era appagata ed il suo corpo era dolorante, ma non riusciva a sentirlo in quanto il piacere della droga lo anestetizzava. Rispetto a prima il sollievo era enorme; era in pace.
L’effetto stava passando il suo massimo e avrebbe avuto una decina di minuti prima di ritrovarsi faccia a faccia con i risultati delle sue azioni. Avrebbe approfittato del bagno libero per darsi una ripulita ed andarsene subito. Scattò in piedi per andare verso la toilette ma la reazione del corpo lo immobilizzò sul posto. Alzandosi gli si era oscurata la vista, perdendo in un attimo la visione periferica e la percezione dei colori. Rimase fermo per una buona manciata di secondi e la vista riprese la sua normale funzionalità. Era la prima volta che gli succedeva e non ci volle molto per capire quanto brutta fosse la sua situazione. Si diresse verso la destinazione, cercando di evitare il suo riflesso nel piccolo specchio appeso alla parete.
Nel frattempo, nella stanza da letto il sogno stava scomparendo, lasciando che la realtà tornasse a prendere il posto lasciato dal cottage e da Sara. Quando rientrò dal bagno quello che trovò fu solo uno squallido locale notturno ed un corpo stupendo che si prostituiva mosso dal richiamo del sangue.
Raccolse i propri abiti dalla sedia e da terra per poi rivestirsi, seduto sull’angolo del letto, mascherando la fatica della sua situazione. Sentiva la sua pelle fredda e sudata, il cuore era in tachicardia e la sua mente faticava sempre di più a concentrarsi man mano che il tempo scorreva. Un presentimento si era fatto strada nei suoi pensieri, percepiva la fine vicina; più di quanto avrebbe mai voluto. Aveva sempre sperato che potesse coglierlo impreparato, magari durate un morso di Samantha, in mezzo al piacere, con l’immagine di Sara impressa nei suoi occhi – avvisarlo del suo arrivo era il tiro peggiore che potesse fargli. Non voleva poter riflettere su ciò che sarebbe successo, come aveva sempre fatto da quando aveva scoperto Samantha e il Grungy. Avrebbe voluto chiudere con il poco futuro rimasto in un colpo solo; indolore. Ma adesso capiva che non sarebbe stato così. Avrebbe sofferto.
Stava aggiustandosi il maglione quando sentì il materasso distendersi. Samantha si era alzata dal letto per dirigersi verso il bagno camminando a piedi nudi; i passi, che risuonavano sordi sulle piastrelle dell’altra stanzetta, vennero coperti dal rumore dell’acqua della doccia che cominciò a scorrere. Roberto finì di rivestirsi e si alzò per raggiungere la porta. Portò la mano sulla serratura e la fece scattare. Prima che la sua mano potesse abbassare la maniglia, lei si schiarì la gola tono di ammonizione. Voltandosi vide Samantha con ancora addosso l’intimo nero che le aveva portato, poggiata con una spalla contro la parete.
“Dimentichi niente?”
Roberto trovò insolita la sua richiesta e diresse la mano istintivamente sulla tasca del portafoglio. In risposta lei sbuffò e si avvicinò, recuperando nel tragitto il gilet azzurro di Sara dalla sedia.
“Parlavo di questi. Che fai, li lasci qui?”
Sulla sedia e a terra giacevano gli abiti di Sara ed il borsone era relegato in un angolo.
“Ti stanno così bene addosso …” osservò quel corpo perfetto per poi perdersi nei suoi occhi un’ultima volta “Tienili. A me non serviranno più”. Sapeva che non avrebbe avuto la forza per portarsi dietro quel fardello e cominciava anche a dubitare di riuscire a tornare a casa.
Prima che Samantha potesse replicare, Roberto la strinse a sé. “Grazie” le sussurrò; lui non sapeva come altro esprimere quanto le fosse grato per quello che era riuscito a rivivere questa notte. L’abbraccio tradiva un profumo di addio che qualunque donna sarebbe stata capace di riconoscere ad istinto, ma non lei. Non era più parte di quell’insieme.
Si lasciarono in silenzio in quanto le parole del saluto morirono in bocca ad entrambi. Roberto voltò le spalle alla camera e superò l’uscio. La porta gli si richiuse dietro.
Senza Samantha quel corridoio sembrava più buio e più vuoto. Era solo con se stesso e doveva muoversi a raggiungere il suo appartamento, il tempo era contro di lui.
Cominciò ad avviarsi verso il salone del locale ma al primo passo quasi si ritrovò a terra. La gamba l’aveva sostenuto a malapena e stava tremando sotto il suo peso. A stento riusciva a controllare il suo corpo – in piena ribellione. Aveva dato priorità alla sua anima e il fisico aveva raggiunto il limite; ora gli stava presentando il conto per tutti maltrattamenti subiti. Le forze lo stavano abbandonando ma lui continuava a mentire a se stesso. Si convinceva di riuscire a raggiungere casa sua, sdraiarsi sul letto e dimenticare tutto; poter ricominciare una nuova vita l’indomani, scusandosi con Andrea, richiamando i suoi genitori, riallacciando le amicizie e tornando dallo psicologo, ma sapeva che non c’è l’avrebbe fatta. Con le forze che gli rimanevano sarebbe stato impossibile arrivare alla panchina della metropolitana, figurarsi sprofondare con la testa sul suo cuscino. Sarebbe stato un miracolo riuscire a raggiungere il guardaroba per riprendere la sua giacca.
Nonostante la situazione e l’assenza di forza, il dolore latitava. Era ancora anestetizzato dalla sua droga e doveva sfruttare il poco tempo rimasto per andarsene da lì. L’idea che potesse svenire nel salone principale del Grungy Red, in mezzo alla calca di vampiri che a quest’ora invadevano il locale era poco allettante; preferì girare su se stesso per dirigersi verso l’uscita più vicina: la porta di servizio sul retro del locale. Non sarebbe stato capace di andare più lontano di così. Percepiva la morte in attesa dietro di essa, doveva prepararsi a soffrire.
Dopo quasi un minuto di passi stentati, spinse con il peso del corpo il maniglione antipanico e l’aria limpida e gelata della notte gli purificò i polmoni intossicati dall’eterno miasma che regnava nel locale. Il freddo gli sfregiò il viso e la pelle. Si rimproverò di aver lasciato la giacca imbottita nel guardaroba.
Poggiò la schiena contro la parete di cemento e si lasciò trascinare giù fino a sedersi a terra, nello sporco che invadeva la stradicciola.
Ecco il dolore che cominciava a salire. L’inerzia data dal misto di piacere ed emozioni che l’aveva portato fino lì era svanito, lasciandolo in preda ai rimorsi che avevano atteso quieti la sua uscita da quel rifugio temporaneo. Adesso avrebbe fatto i conti con loro.
Estrasse il portafoglio ormai pieno solo di una foto, la più importante: lui e Sara. La coppia perfetta guardava sorridente verso l’obiettivo della macchina fotografica. Eccola lì, la sua anima gemella. Roberto fissava il volto angelico di lei, con i suoi lisci capelli neri a caschetto da ragazzina che lo facevano impazzire, quegli occhi azzurro ghiaccio capaci di mozzare il fiato e la piccola, inimitabile cicatrice sotto il mento.
Possibile che non ti ricordi più di me? – chiedeva a se stesso – Possibile che dopo esserti trasformata in quel corpo senza vita mossa solo dal richiamo del sangue, ti sia davvero scordata della tua vita passata? Solo l’iniziale del nome è rimasta. Esse come Samantha, esse come Sara.
In quell’ultimo momento di lucidità, un pensiero corse all’unica persona che gli era stata vicina.

Il telefono fisso di Andrea suonò nel cuore della notte. Si alzò di scatto dal letto – non era ancora riuscito ad addormentarsi – raggiungendo il telefono al terzo squillo. La voce portava con sé il mancato tentativo di prendere sonno.
“Pronto, chi è?”
“Mi dispiace” un sottile filo di voce si fece spazio nel silenzio della telefonata.
“Roberto?” bastò un secondo per capire “ ROBERTO! Dove cazzo sei? Al Grungy?”
“Mi dispiace” la voce si ruppe in un pianto.
“Oh merda, ti chiamo subito un’ambulanza. Cristo non fare scherzi! Non morire, resisti ti prego …” Andrea corse in camera a prendere il cellulare sul comodino. In un lampo aveva già digitato il numero del pronto soccorso e stava indirizzando un'ambulanza al Grungy Red, ma Roberto non riuscì a vedere i soccorsi.

Al funerale presenziarono i genitori ed una ristretta cerchia di amici smossi dalle parole di Andrea. Nessun altro, oltre a lui, versarono lacrime alla cerimonia.

3 commenti:

  1. mmmmhhhhh, Norman... il finale del finale è un pò spezzato... La terza puntata chiude con uno spiraglio, che riapri in questa quarta; sale l'attesa, i due protagonisti si lasciano, malinconia e poi ancora pathos e poi... ci si aspetta un qualcosa come viziati dalla terza parte: Il funerale desolato non può chiudere tutto come un lampo...
    questo il mio pensiero, ovviamente personale e senza critica ma solo come invito. Quel che intendo è che sembra che tu non ci abbia detto tutto!!

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  2. Mi trovo d'accordo con Berebettolo.
    Ben fatto ma, forse, un pò fuori ritmo.

    Mi rendo conto che è difficile.
    E capisco cosa hai cercato di fare.

    Apprezzo profondamente, in ogni caso.
    :)

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  3. Apprezzato, come sempre, anche da parte mia!
    Mi permetto di farti notare 2 sviste:

    "[...] lei si schiarì la gola tono di ammonizione."

    e

    "Nessun altro, oltre a lui, versarono lacrime alla cerimonia."

    Puramente dei dettagli, che ti faccio notare a causa del mio spirito pignolo ^^

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