lunedì 25 gennaio 2010

The final test - Part 1

Multwins - Part 4

La visione del suo appartamento dove l'attendeva la terribile procedura, lo riportò alla cruda realtà in un colpo solo. Rapido e violento. Tutto quello di cui si era dimenticato, guardando il paesaggio e distraendosi con la musica, era di nuovo un peso che gli gravava sulle spalle, e ad ogni volta questo diventava sempre più pesante.
Il rumore della porta di casa che si chiudeva dietro di lui e che sarebbe dovuto essere sinonimo di un gradevole ritorno, veniva da lui sempre più associata al rumore di una cella carceraria.
Si recò in bagno. Lasciò il borsone per terra ed estrasse il libro. Adesso, accanto alla foto scattata la mattina, poteva affiancare quella scattata mezz'ora prima. Fissava l'istantanea con le lacrime agli occhi. Continuava a non crederci, ma questa “realtà” doveva avere ragione in qualche modo a lui incomprensibile.
Dove non c'era assolutamente niente di più che un muro per un occhio umano, la foto era stata capace di catturare l'essenza di ciò che cercava e cacciava con così tanta paura.
L'anima.
Un altra, intrappolata contro la sua volontà e nella totale incredulità dell'evento, nel libro che si era ritrovato costretto a riempire per paura. Era arrivato solo a metà e non sapeva se sarebbe stato capace di riempire tutte e quarantadue le facciate.
Ripensò a quel momento, in cui si trovò lui, faccia a faccia con l'assassino. Era stata una notte difficile, tra incubi, indigestione e alcool. Era in una condizione pietosa ed era tutt'altro che lucido; incapace di rendersi conto se i conati di vomito, le corse al bagno, i quattro Muppet giganteschi che lo picchiavano senza tregua fossero sogni o realtà. A ripensarci adesso era quasi certo che i quattro pupazzi capitanati da un assatanato Kermit fossero un sogno, ma in quel momento non era sicuro di niente. Anche quando un seccatore armato di Walter PPK silenziata gli bussò alla porta per assassinarlo, non fu capace di distinguere la realtà dal sogno. Carico di rabbia per le percosse dei Muppet, sfruttò l'occasione per spaccare il naso al tizio, disarmarlo e sparagli un paio di colpi addosso. Non fece la faccia idiota di tutti gli altri. Non in quel momento per lo meno. Quel volto idiota comparve la mattina dopo, quando capì che quel corpo a terra non era un sogno.
Trascinò dentro il corpo e il borsone che si portava appresso, e cominciò a perquisirlo.
Ci volle qualche ora perché la situazione gli fosse chiara e nonostante tutto continuava a non credere a ciò che si trovava di fronte.
Non voleva ripensare a tutto quello che accadde, avrebbe peggiorato la sua già flebile motivazione. Girò pagina e poggiò il libro sul lavello del bagno. I fogli erano bianchi e candidi.
Alzò la tavoletta per una veloce pisciata. Verde. Di nuovo. Gli effetti collaterali del Propofol cominciavano ad essere troppo presenti. Doveva rallentare il ritmo, non aveva intenzione di lasciarci le penne per quello dopo tutta quella fatica.
Scosse la testa e si girò verso il borsone. Prese: Orezemina, Propofol e un laccio emostatico. Guardò la confezione dell'Orezemina. Doveva solo ingerire una di quelle pillole. “Una sciocchezza” mormorò fra sé e sé, mentre gli tornarono in mente le parole del libro.
L'Orezemina, se assunta da sola, provoca una morte certa e dolorosa. L'unico modo per sopravvivere e godere dell'effetto finale, è superare il momento cruciale con l'aiuto di un anestetico. A causa dei problemi di dipendenza dati dai barbiturici, la mia scelta è ricaduta sulle nuovissime benzodiazepine. Molto più tollerabili dall'organismo. L'iniezione di anestetico deve essere fatta contemporaneamente con l'assunzione del farmaco transitivo”.
Si era premunito di tutto. Le dosi dovevano essere state quarantadue per ogni medicinale. Ma quando toccò a lui, erano rimaste solo trentatré.
Tornò a pensare al giorno nel quale cominciò questa sua nuova esistenza. All'errore di aver fatto passare solo un minuto dall'assunzione dell'Orazemina e l'iniezione dell'anestetico - era quasi morto dal dolore; al fatto di aver dovuto cercare quell'anima con diverse ore di ritardo rispetto ai 4 minuti canonici necessari per farla uscire dal corpo; al momento in cui realizzo che il cadavere che giaceva sul pianerottolo di casa prima, e nel suo soggiorno poi, quell'uomo che gli stava per puntare la pistola addosso, e che lo avrebbe ucciso se solo avesse potuto, non era altro che sé stesso.

2 commenti:

  1. non so per quale motivo ma ho visto che il mio commento su cheese datato 24/01 non è presente. visto che ormai è uscita la continuazione, evito di riportare alcune mie analisi e "anticipazioni" che poi si sono in parte realizzatee passo a una critica complessiva di questi 2 ultimi lavori.
    Su cheese ho apprezzato particolarmente 2 elementi da te introdotti:
    1 - l'aspetto logorante delle uccisioni. è bello il contrasto che si crea tra questa apparente semplicità indotta dalla routin del metodo d'uccisione contrapposto allo stress emotivo e alla paura provata dal killer. sembra quasi che affidarsi a un "metodo" ed a una routin sia l'unica possibilità che il killer ha per non crollare.
    2 - la sveglia., o per meglio dire, la coscenza del tempo che scorre. questo susseguirsi di ticchettii ossessivi che gli impediscono di rilassarsi perchè DEVE affrontare la parte più dura del compito che gli è/si è (lo scopriremo meglio) imposto.
    mi è piaciuto anche l'aspetto legato alla paura di fermarsi
    Passando a The Final Test, adoro la parte della porta di casa. hai espresso con pochissime parole un concetto molto molto più grande. la casa dovrebbe essere un luogo di pace mentre per il killer è un luogo dove vive la paura e il rischio del rito.
    non ho capito però l'ultimo periodo.... cioè ho le mie spiegazioni, e forse ne intuisco il significato, ma al momento è piuttosto nebulosa la questione.....

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