martedì 16 marzo 2010

Falling down

Fair deal - Part 1

Le due anime gemelle si erano ritrovate, di nuovo unite nella perfezione del loro amore. Il loro rapporto – fondato sul rispetto reciproco, sulla complicità e sulla mutua ricerca del piacere – poteva rivivere. Roberto si sentiva rinato dal più profondo degli abissi e il suo corpo era invaso dalla gioia. Credeva di averla persa per sempre, invece erano abbracciati ancora una volta alla calda luce del tramonto che andava svanendo, con i corpi che quasi si fondevano l’uno nell’altro. La stringeva forte come non mai e sapeva che questa volta niente avrebbe potuto separarli di nuovo. Ma il sollievo provato non riuscì a durare più di un profondo sospiro. Con il buio, quei quattro bastardi tornarono a farsi avanti, prima colpendo lui, e poi, credendolo morto, portando via Sara. Roberto la sentì urlare, sempre più forte. Con tutte le forze cercava di alzarsi per aiutarla, ma gli fu impossibile. Giaceva a terra, immobile, incapace di urlare o di chiedere aiuto. Alla fine il grido di lei venne soffocato e da quel momento lui non fu più capace di sentire alcun suono. Era solo nel buio e nel silenzio più assoluto e dopo un istante, parso un’eternità, riuscì a liberarsi da quella paralisi, gridando con tutto il fiato che aveva in gola.
L'urlo risuonò nella stanza e Roberto si risvegliò seduto sul letto, coperto di sudore.
Anche questo giorno, aveva rivissuto in sogno la sera dell’aggressione e, come ogni volta, cercò di sedare il pianto che stava tornando a bussare alla gola. Fuori la notte stava per cominciare e gli ultimi toni di rosso scomparivano all’orizzonte, tagliuzzati dalle strisce sottili di nuvole che, silenziose, si diradavano.
Il crudele ricordo gli stava rigando le guancie con lacrime che non riusciva a fermare. Visto lo scarso risultato nel ricacciare indietro il pianto si lasciò andare, sfogandosi in una gridata disperazione. Nemmeno nel sogno era capace di salvarla.
Dopo diversi minuti il dolore si placò da solo. Era ancora interrotto da saltuari singhiozzi quando si alzò. Ogni giorno si indeboliva sempre più e oggi gli risultava faticoso persino tirarsi su ma c’erano troppi ricordi in quel letto e nell’appartamento dove stava. Faceva male. L’unica cosa che gli restava da fare era guardare fuori, la città, nonostante la odiasse per come l’avesse trattato. Quella metropoli era stata il sogno suo e di Sara. L’obiettivo di vivere assieme e formare una famiglia era svanito, ingoiato da quella stessa città, divenuta una grottesca creatura di luci, acciaio e cemento; una giungla moderna ed inospitale, incapace di accogliere la vita umana. La osservava dalla finestra, cercando di evitare il riflesso del suo volto sul vetro. Aveva paura di vedere ciò che stava diventando. Sapeva che stava peggiorando ogni notte e non aveva più il coraggio di trovarsi faccia a faccia con quella realtà scomoda; per questo motivo nessuno specchio albergava più nell’appartamento da diversi giorni. Tutto quanto attorno a lui era diventato ostile e casa era una definizione che non aveva più niente a che fare con quel posto.
La notte che avvolgeva la città era una visione capace di innescare in lui quel desiderio folle che si gonfiava e annodava sotto lo sterno, quella voglia di riassaggiare il suo passato, quel gesto irresistibile che lo stava uccidendo con lenta dolcezza. Anche questa sera sarebbe tornato al Grungy Red.
Si diresse verso la cucina dove scartò l’ennesima tavoletta di cioccolato. Buttò la carta tra le altre gemelle accartocciate sul fondo del cestino e mentre si apprestava a dare il primo morso, il telefono decise di interromperlo.
Una frecciata lo colpì al cuore. Sapeva chi era e quanto l’altro stesse soffrendo; era doloroso per entrambi. Era stata una scelta difficile e straziante quella di tagliare i ponti con il passato, ma non voleva recare ulteriori dispiaceri alle persone che gli erano care.
Fece un sospiro e attaccò il vivavoce. Dalla piccola cassa del telefono uscì a tutta forza la voce amica e familiare che lo aveva accompagnato nella sua esistenza fin dall’asilo “Ciao Roby sono Andrea, ti prego non riatt—”, nonostante la preghiera il dito di Roberto chiuse la comunicazione.
È meglio così per tutti – pensò – mi dispiace ma non potete più salvarmi, ho scelto la mia strada.
L’effetto della voce del suo amico, per quanto breve fosse stata la comunicazione, gli strinse lo stomaco rendendolo incapace di finire la tavoletta. Faticò per arrivare a metà.
Andò a prepararsi in bagno, dove lo specchio aveva lasciato il posto ad una serie di grandi scritte a pennarello. Erano le stesse bellissime frasi che lei gli aveva scritto sopra nel corso della breve convivenza assieme. Frasi d’amore, di voglia di vivere e di coraggio che oggi gli facevano male. Anche se si trattava della grafia di Roberto non cambiava le cose, rivedeva lo stesso quella di Sara. Doloroso, ma non poteva farne a meno.
Con un sospiro si infilò sotto la doccia ancora fredda. Mentre lo scorrere dell’acqua cercava di sottrarlo a quel crudele gioco di ricordi, il telefono continuava a squillare ad intervalli cadenzati; Andrea cercava di far tornare alla ragione il suo amico, ma i suoi sforzi continuavano ad essere ignorati. Anche se era certo che non l’avrebbe mai ascoltato, lasciò l’ennesimo messaggio nella segreteria telefonica “Roberto ti prego, smettila di ucciderti in quel locale merdoso; so che non riesci a sopportare il dolore, ma devi superare questa fase. Sara sarà anche morta, ma tu no, non ancora! Resisti. Torna dallo psicologo, esci con noi, richiama i tuoi, cazzo fai qualunque cosa ma non andare più al Grungy Red. Cristo Roby, non ho intenzione di leggere sul giornale la notizia della tua morte …”, la voce si incrinò con un singhiozzo durante la breve pausa “non potrei sopportarlo. Ti prego richiamami”.
Uscito dalla doccia, indossò gli stessi vestiti del giorno prima e si diresse verso l’ingresso, dove una rinnovata e potente vampata di desiderio gli appesantì il torace appena gli occhi si posarono sul borsone che aveva preparato quella mattina e poi dimenticato. Adesso non bramava altro che essere già lì. Prese con sé la sacca e si lasciò l’appartamento chiuso a chiave alle spalle mentre il telefono, incessante, continuava a suonare invano.
Il locale distava un paio d’ore a piedi dal suo appartamento. Durante il viaggio, le emozioni che si mescolavano e che gli pulsavano da sotto lo sterno erano molteplici, forti ed incomprensibili. Ogni rimando del suo cervello a quello che stava per raggiungere, portava una nuova ondata di desiderio che lo spingeva a cadere sempre di più nel baratro in cui si era volontariamente perso. Resistere due ore con un tale scompiglio emotivo addosso lo avrebbe distrutto prima di arrivare, facendolo crollare in un nuovo pianto e in un’ondata di rimorsi. Per fortuna la metropolitana accorciava di parecchio quel supplizio di emozioni, con l’unico rovescio di dover fare i conti con i vetri delle carrozze e con i loro riflessi. Non voleva vedersi.
L’ultima volta, almeno quattro giorni fa, il fisico deperito, le occhiaie scure e la carnagione pallida avevano cominciato a fargli troppa impressione. Sembrava un drogato e dentro di sé sapeva come il termine calzasse perfettamente al suo stato attuale – se poi avesse fatto attenzione agli sguardi, ai commenti ed agli atteggiamenti degli altri passeggeri del convoglio, avrebbe ricevuto un’ulteriore conferma di quella sua condizione.
Viaggiava con lo sguardo perso oltre i finestrini e gli occhi scorrevano sulle scarne pareti di mattoni dei tunnel sotterranei. In quei momenti di inattività, dalla sua mente emergevano in sequenza tutti gli eventi che spinsero a quell’infelice routine; l’ultima bellissima gita avuta con Sara sulle colline oltre il confine e la stupenda alba passata assieme in quel piccolo cottage, l’aggressione e la perdita della sua adorata metà in quella triste notte, la prima sera a Grungy Red ed infine il doloroso addio dagli amici.
Per non farli soffrire più del necessario aveva voluto interpretare la parte dello stronzo ipocrita che aveva sempre mentito riguardo alla loro amicizia; era certo che così, al momento della sua morte – che sapeva avvicinarsi a gran velocità – nessuno avrebbe trovato molte lacrime o compassione per lui. Erano stati tutti dei grandi amici ed insostituibili, vicini nel momento del bisogno – soprattutto nei giorni dopo la perdita di lei – e non meritavano di soffrire più del dovuto. La cosa funzionò, eccetto che per Andrea. Aveva intuito cosa stesse nascondendo dietro a quello strano atteggiamento che non gli era mai appartenuto.
L’ultimo ricordo prima della destinazione era sempre lo stesso: il volto del suo amico con gli occhi carichi di lacrime pronte a cadere; aveva capito la follia del suo gesto e sapeva che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro. Era un addio. Avrebbe tentato qualsiasi cosa pur di salvarlo. Roberto sapeva che era vero, ma non glielo permise.
In meno di mezz’ora la sua figura si stagliava contro l’insegna rossa del locale.

2 commenti:

  1. interesting, rimarco che secondo me stai cambiando "forma", o semplicemente la curi molto di più. Come mai l'Amore? A quando il next stage?

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  2. Spero di riuscire a pubblicare il next stage in breve tempo. Non voglio forzare i passi, un po' come ho fatto nei racconti precedenti di Angelo e con il punk Dossier, con un risultato che non mi ha soddisfatto appieno. La storia che voglio scrivere è abbastanza chiara nella mia mente, ma devo essere capace di scriverla con attenzione o rischierebbe di perdere molto del suo effetto.
    Perché l'amore? E' una delle forze più potenti e incombrensibili dell'universo umano (insieme all'interesse composto), capace di rendere logico l'irrazionale.

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