domenica 17 luglio 2011

La pace di Adrien

Era solo rumore di pioggia

Quella sera una tonalità più scura del nero dominava ogni angolo di cielo sopra la linea dell'orizzonte. Nemmeno il sole sarebbe stato capace di superare la coltre di nuvole che si era addensata sopra la città negli ultimi tre giorni, abbandonandola alle sole luci arancioni dell'illuminazione stradale.
L'aria era calma e non era ancora caduta una singola goccia di pioggia, ma i lampi che illuminavano il cielo stavano dando ragione alla previsione del servizio meteorologico. L'annuncio diramato informava che quella notte le tonnellate d'acqua accumulate in cielo si sarebbero abbattute sulla città; in tutta risposta i cittadini, con il supporto della protezione civile, avevano risposto all'avviso cercando di arginare i possibili danni. Tutto quanto quello che normalmente si sarebbe trovato per strada, come tavolini, sedie o quanto altro appartenesse ad un esercizio commerciale, era stato stipato alla bene-e-meglio nei locali chiusi ed ogni finestra o vetrata era stata protetta con il suo infisso in attesa del peggio. Piazza San Raphael, nel pieno centro storico, non faceva eccezione.
Nonostante l'altisonante 'piazza', si trattava in realtà di una piccola piazzetta, adibita a parcheggio, coperta di quadretti di porfido e circondata da ogni lato da vecchie costruzioni ristrutturate a due o tre piani con tanto di portico. Dati i posti auto disponibili e la protezione offerta dai portici, San Raphael era diventata un habitat naturale per alcuni locali notturni che aiutavano i lavoratori a distrarsi dai problemi di tutti i giorni, riempiendo di musica e voci l'ambiente circostante; con la notabile eccezione di quella sera. Le luci ed i suoni dei divertimenti notturni latitavano e, come per il resto della città, anche la piazza era ridotta ad uno spettro di sé stessa; osservazione che calzava perfettamente anche per l'unica persona presente al suo interno.
Fino a pochi anni fa Adrien era un cuoco canadese che stava facendo carriera in Francia, mentre ora viveva di espedienti e si ritrovava con un visto turistico scaduto, al pari di un comune clandestino. La vita sregolata e carica di stress di quegli ultimi due anni avevano causato in lui delle reazioni del metabolismo che lo avevano segnato come pressione alta, dermatite e un'allarmante perdita di peso, oltre che di capelli.
Sedeva in una Renault 8 quasi nuova, rubata pochi giorni prima in previsione dell'azione di quella notte. Come nei minuti precedenti al furto, anche in quel momento ‒ in vista della sua ultima mossa ‒ stava sudando freddo e le sue mani erano incapaci a stare ferme. Nonostante percepisse l'assenza di qualsiasi sguardo indiscreto rivolto verso la piazza, stava combattendo contro sé stesso per convincersi a prendere la pistola nascosta sotto il cruscotto della vettura.
Non servì nemmeno il tempo di pensare al concetto di 'rinuncia' che il motivo principale di quella situazione prese parola dentro la sua testa.
Che succede, non vorrai mica rinunciare?
“Rinunciare? No, sono già andato oltre... la pistola, l'auto rubata... non posso più fermarmi, non adesso”
E allora rilassati. Fai un bel respiro profondo e prendi la pistola. Il resto verrà da sé. Come sempre.
Adrien sospirò, prese la Walther P38 dal suo nascondiglio e uscì dalla vettura. Si diresse verso il portone di legno del vecchio stabile che chiudeva la piazza sul lato ovest con la pistola stretta nella mano sinistra. I suoi pensieri lo portarono per un attimo alla scena finale.
“Siete sicuri? E se non fosse stata lei?”
Deve essere stata lei, sennò non saremmo qui con te. Comunque sia, avrai quello che cerchi; te lo abbiamo promesso.
“Basta che dopo non sia lei a ricominciare con questa storia”
Loro non gli risposero.
Si era preparato a forzare la serratura dell'ingresso in caso di necessità, ma il portone si aprì senza fiatare non appena la sua mano destra si poggiò sulla maniglia. Lo richiuse subito dietro di sé e si ritrovò nella piccola corte interna del casolare. C'erano due ingressi ulteriori, uno per ogni ala dell'edificio. Con calma passò lo sguardo sulle targhette dei due citofoni alla ricerca di una scritta: Adrienne. Come vide il nome accanto al numero 1-5, un'esplosione di commenti rimbombarono nella sua testa.
Eccola – È lei – Finalmente! ‒ Bastarda ‒ Falla fuori ‒ Puttana! ‒ Uccidila ‒ Non avere pietà
Adrien si accovacciò, portandosi le mani alle tempie doloranti.
“Cazzo, piantatela! Avete aspettato per due anni, ora abbiate pazienza ancora per un po'”
Le voci dei fantasmi nella sua testa si placarono, ma li sentiva ancora bramare la vendetta come non mai.
Appena il dolore tornò sopportabile, si rialzò per imboccare l'ingresso dell'ala sud e raggiungere il luogo dove si sarebbe svolto l'ultimo atto del suo dramma: appartamento cinque, primo piano.
Man mano che si avvicinava alle scale, la tensione nervosa accumulata in attesa dell'omicidio cominciò a scemare; i sudori freddi stavano svanendo ed il tremore alle mani si era smorzato. Decise di lasciare spente le luci che avrebbero illuminato le scale ed i corridoi per evitare di attirare l'attenzione, facendosi guidare a destinazione soltanto dai saltuari lampi che si facevano strada oltre le fessure degli scuri. Percorrendo i gradini, provò a farsi un idea di quanto tempo passasse mediamente fra il lampo ed il tuono; la cosa gli sarebbe potuta tornare utile al momento dello sparo. La pistola stretta nella mano sinistra sembrava infondergli una fiducia fino a quel punto inaspettata. Come per il furto, nell'eseguire l'atto criminale le difficoltà sembravano scomparire, tutto sembrava alla sua portata. Era come se stesse eseguendo un copione già prestabilito, come se lo avesse già fatto e dovesse solo richiamarlo alla mente per evitare ogni errore. Si sentiva più sicuro, quasi inarrestabile. Era una miscela di sensazioni che gli iniettava un insano piacere ed una voglia di commettere quell'ultimo gesto. Un sorriso amaro emerse da quel turbine di certezze. Si stava chiedendo se, più che fiducia nelle proprie capacità, non fosse solo adrenalina sommata ad una buona dose di incoscienza.
Aveva raggiunto il fondo del corridoio, la porta di fronte a lui riportava i caratteri '1-5'. La mano destra premette sulla maniglia, che scese a vuoto; la serratura era chiusa. “Sarebbe stato chiedere troppo” pensò. Inserì la sicura alla pistola e se la infilò nei pantaloni dietro la schiena, poi prese da una tasca della giacca gli attrezzi e cominciò a forzarla. Bastarono pochi minuti ed ebbe la meglio sulla porta di ingresso, poi Adrien sgattaiolò dentro richiudendola silenziosamente dietro di sé mentre i fantasmi cominciarono a bisbigliare tra di loro entusiasti.
Le scuri chiuse delle finestre lasciavano filtrare dalle feritoie della luce che velava di arancio tutto l'appartamento, interrotto ogni tanto dai lampi bianchi di protesta delle nuvole. Davanti a lui si presentava un piccolo soggiorno pieno di comfort con un angolo cucina sulla sinistra, sulla destra intravedeva un bagno e due ulteriori stanze: la prima sembrava una camera da letto mentre dell'altra si vedeva solo una porta chiusa. Si diresse verso un tavolinetto del soggiorno dove giaceva della corrispondenza aperta, prese qualche busta e si diresse verso la finestra per cercare di leggerne il contenuto.
Che succede adesso?
“Voglio trovare delle prove che la coinvolgono con la Brigata Indipendentista”
Ti ricordi come scomparve dopo l'esplosione? Davvero hai bisogno di altre prove? ‒ Noi non siamo un prova sufficiente? ‒ Che discorsi sono! ‒ Non perdere altro tempo ‒ Traditore!
“Ho già abbastanza innocenti ad affollare la mia testa” gli rispose mentre continuava a scorrere le lettere.
Dov'è il problema? Se lo farai, sia tu che noi saremo finalmente liberi.
“Questo lo dite voi. Come faccio a sapere che non state mentendo... o che non sono pazzo”
Non vorrai mica costringerci a giocare di nuovo sporco? A privarti ancora del silenzio per convincerti?
“No! No, per favore no. Non lo sopporterei più”
Allora muoviti! O questa sarà la volta che impazzirai per davvero ‒ Non hai più scelta! ‒ Sbrigati! ‒ Vogliamo essere liberi ‒ Così rimedierai al tuo err—
“NON SONO STATO IO! VOLETE CAPIRLO O NO!?”
Le voci scomparvero di nuovo, lasciandolo solo con le tempie doloranti.
«Idioti» sussurrò lanciando la corrispondenza sul divano.
Come un ombra cominciò ad attraversare tutto l'appartamento. Il solo pensiero della privazione del silenzio lo fece stare male; per loro quello fu l'unico modo di convincerlo a perpetrare la loro vendetta. Raggiunse l'ingresso della camera da letto e la tensione dei fantasmi divenne palpabile. Buttò un'occhiata all'interno della camera e la vide.
Un boato esplose nella sua tesa. Urla, imprecazioni e odio si riversarono fuori dai fantasmi.
“Silenzio! SILENZIO!”
Questa volta fecero molta fatica a placarsi.
Si fermò per qualche istante a guardarla dall'uscio della porta mentre dormiva sul fianco, in posizione fetale. Là, nel mezzo del lettone a due piazze, sembrava una ragazzina, con i suoi lisci capelli dorati e il seno appena accennato.
Maledetta bastarda, avrai la fine che meriti! ‒ Muori! ‒ Spara! ‒ Uccidila!
“No... non ancora”, entrò nella stanza con la pistola ancora dietro la schiena.
Cosa vuoi fare? ‒ Niente cazzate!
“Parlarle. Scoprire la verità”
No! ‒ Basta! Uccidila! ‒ Sai già la verità!
Si avvicinò fino ai piedi del letto per poi ‒ ignorando con gran fatica tutto il chiasso che urlava dentro la sua testa ‒ decidere di sedercisi sopra, accanto alle gambe di lei, per potergliele accarezzare. Come una volta, quando erano assieme; due anni fa. Non riusciva ancora a credere come quella donna, che l'aveva travolto nella più appassionante storia d'amore della sua vita, fosse stata in grado di inventarsi tutto solo per usarlo a sua insaputa come attentatore suicida.
Decise di parlarle appena le vide muovere un braccio in risposta alle sue carezze.
«Ciao Adrienne» sussurrò.
Prima ci fu un mugugnìo di protesta per l'ora ‒ era da poco passata mezzanotte ‒ poi un occhio si aprì. Passarono una manciata di secondi e non appena capì chi si stava trovando di fronte, spalancò gli occhi, scattò all'indietro battendo la schiena sulla testata del letto e richiamò le gambe al petto, allontanandole da quello che credeva un fantasma; il fatto venne ancora più accentuato da un lampo e dal vento che cominciò a bussare sulle finestre. La pioggia sarebbe arrivata da lì a poco.
«Oh, merda! Cosa? Tu... tu sei... tu dovresti essere... morto...» si guardava attorno come in cerca di un gruppo di persone pronte a gridare 'Sorpresa!'
«Invece sono qui, un fantasma a reclamare il suo nome»
Lei si stropicciò gli occhi e cercò di mettere a fuoco, incredula.
«Non sono un sogno Marie... posso chiamarti con il tuo vero nome, no?»
«S-sì... certo... come... come hai fatto... ti credevo morto... eri sull'aereo... poi l'incidente»
Esplosione! Non incidente, bastarda! ‒ Non ascoltarla! ‒ Uccidila prima che sia troppo tardi.
“SILENZIO!”
«Ti sbagli, non ero sull'aereo»
«Cos—»
«Mi sono sentito male in aeroporto e non sono riuscito a salirci. Al contrario degli altri passeggeri e del mio bagaglio...»
Quell'ultima frase mise in allarme Marie, anche se l'unico segno tangibile di quel cambiamento furono gli occhi che corsero per un istante al comodino accanto ad Adrien.
Sta tramando qualcosa ‒ Smettila con le chiacchiere e uccidila ‒ Ha avuto fin troppo tempo, falla fuori! ‒ Vendicaci! Prendi la pistola e spara
«Perché mi hai cercato? Che ci fai qui?»
«Sono venuto a zittire i fantasmi che tormentano la mia testa da quel giorno, sono venuto a chiederti la verità...»
Gli occhi di Marie tornarono per un attimo al comodino.
«Mi desti un pacco, mi dicesti che era di 'vitale importanza... da non aprire assolutamente'... per una sedicente sorella in Canada, giusto?»
«Sì... ma... aspetta... tu credi che la bomba sia stata opera mia? Credevo che le cose fossero chiare.»
«NO! Non lo sono! Dimmelo che non sei stata tu, convincimi! Cosa c'era in quel pacco?»
«Non... non...»
Non lo sa! ‒ Sta inventando una storia ‒ Mente, uccidila!
«Allora non lo sai?»
«Cazzo! Non posso dirtelo, è un segreto del g—»
«Io dico di sì», si alzò dal letto ed estrasse la P38 puntandogliela contro.
«Oh no, nonono, metti giù quella pistola Adrien»
«Sto aspettando»
Non aspettare ‒ Sparale! ‒ Fai fuoco!
«Io... oh cazzo...»
«Allora?!»
«No... nonono, aspetta... io n—», ancora rannicchiata, agitava le mani in avanti.
«SEI SORDA?!»
«CAZZO!», sbatté i pugni sul materasso «C'erano delle prove, va bene!? Prove per incastrare quegli stronzi della B.I.! Sono stati loro a far scoppiare l'aereo in volo perché avevano ricevuto una soffiata... ancora non capisci, vero?», si inginocchiò sul letto «Per questo ho dovuto cambiare identità, per questo mi sono dovuta nascondere e sono scomparsa. Ora sono nel programma di protezione, per questo ci hai messo così tanto tempo per trovarmi di nuovo», si alzò in piedi sul letto «Non si parlava di alcun superstite e ti credevo morto nell'esplosione per questo ho scelto questo nome, Adrienne... il tuo, perché mi ricordassi sempre di te», fece un passo nella sua direzione in lacrime.
“Cosa mi dite adesso?”
Non è vero! ‒ Uccidila! ‒ Sta solo guadagnando tempo, sbrigati a farla fuori! ‒ Sta mentendo!
«Mi sei mancato» tirò su con il naso «dio solo sa quanto mi sei manca—», si girò spaventata verso la porta «NO! Fermi!»
Adrien si girò spostando la pistola verso la porta della camera. Doveva immaginarlo, non c'era stato niente che avesse annunciato l'arrivo di altre persone, nemmeno un suono. L'ingresso era vuoto. Quando si rigirò il calcio di Marie era già lanciato contro la pistola.
Il canadese serrò la mano attorno alla P38 intravedendo in quel gesto un tentativo di disarmo, anche se ‒ più che un colpo vero e proprio ‒ gli sembrò solo uno spintone. Non capiva che intenzioni potesse avere, ma sentiva ancora di poter avere la meglio se le cose fossero andate peggiorando. Marie sapeva che non sarebbe riuscito a disarmarlo, ma il primo colpo era solo una preparazione per la seconda mossa. Ora che l'arma non puntava più su di lei e poteva colpirlo senza timore che un proiettile la centrasse. Richiamò indietro il piede lungo una traiettoria differente dalla prima, centrando l'uomo in piena testa con tutte le forze. Adrien per un attimo vide tutto grigio, l'equilibrio divenne precario e fece due passi all'indietro battendo la nuca sulla parete divisoria alle sue spalle. Rimase intorpidito dal dolore per un secondo. Nel mentre vide lei ribaltare il comodino, afferrare il coltello da combattimento nascosto in un doppio fondo e lanciarsi contro di lui.
Visto!? ‒ Reagisci ‒ Muoviti, spara!
Adrien era tranquillo, aveva ancora il tempo necessario per reagire e si stava già immaginando il finale della scena. Come nel copione che aveva preso forma nella sua testa: lui sparava e lei, colpita, cadeva esanime contro il suo corpo con il coltello che finiva per terra vicino a lui. Era questione di vita o di morte, le prove le avrebbe cercate dopo. Trattenne il respiro, puntò alla testa e premette il grilletto.
Click
“La sicura...”
MERDA!
Con l'aiuto di tutto il peso del suo corpo, Marie affondò talmente tanto a fondo nella carne del canadese ‒ appena sotto la clavicola sinistra ‒ che perfino una sporgenza del manico entrò nella spalla, insinuandosi sotto l'osso. In quel momento ad Adrien fu chiara una risposta. Non c'era sicurezza. Non c'era alcun genere di copione già scritto provato e riprovato. Dentro di lui c'era solo adrenalina ed incoscienza.
I loro volti erano così vicini che si sarebbero potuti baciare, proprio come quando stavano assieme, solo che questa volta sul volto di lei non c'era alcun simulacro d'amore recitato apposta per ghermirlo, c'era solo un ghigno di rabbia e degli occhi carichi di odio per chi non era morto due anni fa come aveva desiderato.
Adrien con quel colpo era stato privato della sicurezza che gli era cresciuta in corpo in previsione del finale e ora non riusciva a più capire quello che gli stava succedendo. Riuscì solo balbettare senza una logica apparente, fissando incredulo le mani di Marie che continuavano a spingere.
Quando si accorse di aver mancato il cuore, la donna cercò di estrarre il coltello con tutte le sue forze, ma le uniche cose che riuscì ad ottenere furono: un'imprecazione, una serie di passi all'indietro e una seduta sul letto dopo essere inciampata sul comodino. L'arma rimase lì, incastrata sotto la clavicola; sia per colpa del manico, reso scivoloso dal sangue e dal sudore, che dall'inattesa presenza dell'osso.
Ora che le mani di Marie non coprivano più il manico del coltello, Adrien fu capace di cogliere un dettaglio nell'istante in cui un lampo bianco illuminò la stanza. Sul lato c'era impresso il marchio della B.I. Alla sua vista tutto fu chiaro e lui cominciò a contare i secondi.
ADESSO TI SERVONO ALTRE RISPOSTE?!
“No”
Disinserì la sicura.
«Aspetta!» gridò lei.
Il tuono coprì il suono dello sparo.
Marie giaceva sul letto esanime, Adrien lasciò cadere la pistola a terra. Terminato l'eco del tuono, il silenzio più assoluto svuotò la sua mente. Un silenzio talmente perfetto che non aveva nemmeno intenzione di pensare per aver paura di intaccarlo. Non voleva pensare al fatto che fosse stato usato per far saltare quell'aereo in volo, non voleva pensare che quella fantastica storia d'amore fosse stata solo una bugia e non voleva neanche pensare al fatto che quella ferita lo stava per uccidere. L'unica cosa su cui si stava concentrando erano i fantasmi.
Avevano rispettato il patto, non erano più nella sua testa e non avvertiva più i loro sguardi dentro di lui, però li sentiva ancora, trepidanti, fuori dalla finestra che dava su Piazza San Raphael. Si diresse verso la finestra e la spalancò. Ora li sentiva chiaramente. Sembrava che i fantasmi avessero riempito la piazzetta; percepiva in loro l'approvazione per quello che aveva fatto, gli rendeva meno spiacevoli le azioni che lui stesso aveva deplorato. Gli innocenti avevano avuto la loro vendetta.
Sorrise di fronte allo scrosciare di mani che arrivava dalla piazza. Allargò le braccia e poi si esibì in un paio di profondi inchini, come un attore sul palco alla fine dell'atto finale, ignorando il fatto che era in procinto di perdere i sensi e che stava per cadere dal primo piano contro il porfido della pavimentazione. Dopotutto, quello che stava sentendo era il più lungo, intenso e sincero applauso che fosse mai stato eseguito per qualcuno. Anche se per chiunque altro era solo rumore di pioggia.

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