mercoledì 31 agosto 2011

Inarrestabile

Materia arancione

Con quella corsa, io e Jennes stavamo infrangendo ogni record sulla tratta Centrale Purificazione Acque – Ospedale, qualcosa degno di essere menzionato negli annali dell'area di alienazione gialla; se mai fosse esistito. A passo di marcia, e con le dovute precauzioni durante il tragitto, quel pezzo di strada si prendeva un'ora e mezza per essere percorso; noi ‒ carichi come muli di reperti gialli e con un inarrestabile di almeno 90 chili su di una barella improvvisata per l'occasione ‒ stavamo arrivando a destinazione in meno di cinquanta minuti dalla partenza.
Ormai procedevamo all'unisono, perfettamente sincronizzati. Destro, sinistro, destro, sinistro, e oltre i nostri passi sull'erba cresciuta troppo a fianco della strada, l'unico altro suono era il fiato che correva dentro e fuori i polmoni bruciandoceli. La vista dell'ospedale provocò in entrambi un enorme sollievo psicologico, ma poco servì per il corpo; il diaframma e le braccia rimanevano in fiamme e l'adrenalina era già esaurita da tempo.
Quella struttura striminzita la chiamavano tutti l'ospedale, ma non sapevo quanto potesse esserlo stato realmente prima del disastro; fin dalla prima volta mi era sembrato troppo piccolo. Ignoravo quante altre strutture del genere si potevano trovare nel mezzo della campagna della Moravia meridionale, ma era molto più che sufficiente per l'allestimento di un laboratorio clandestino dentro l'Area. Per il 'direttore' del laboratorio, il Dott. Grishenko, era un vero lusso quel angolo sperduto. Se solo avesse avuto anche i circuiti del gas funzionanti e la corrente elettrica sarebbe stato perfetto. Per il primo problema non si poteva ancora fare molto, quanto per il secondo, si accontentavano di un grosso gruppo elettrogeno a gasolio delle dimensioni di un container da 20 piedi nel seminterrato che occupava il posto dell'ambulanza.
Entrammo di corsa dal doppio portone spalancato, superando sia i banchi delle accettazioni sfondati che il disordine delle panchine d’attesa rovesciate alla rinfusa per l’atrio, per dirigerci al piano interrato dove c’era la sala preoperatoria. Eravamo certi che Grishenko ci stava aspettando lì.
Cominciammo a scendere per le scale d’emergenza. Le braccia avevano provato a convincermi di mollare quel carico antropomorfo da quasi un quintale già una decina di minuti fa, ma nonostante tutto ero riuscito a resistere fino alla fine. Il bruciore era tale che mi sembrava di averle perse in battaglia. Sapere che eravamo arrivati non aiutava molto. A metà dell'ultima rampa il mio corpo diede atto ad un gesto di protesta facendomi mancare un gradino. Finii con battere il culo su un gradino mentre Jennes ‒ continuando la discesa ‒ oltre a schiacciarmi il corpo della bestia contro, mi cadde addosso. Il fracasso e le imprecazioni avvisarono il medico del nostro arrivo. Aprì la porta che dava sulla tromba delle scale che avevamo già riassettato il carico sulla barella.
«Oh, finalmente!», esordì tradendo impazienza.
«Ah certo!» il fiatone rompeva la voce con cadenza regolare «Scusaci… se non siamo… arrivati puntuali… con questo bastardo… da cento chili… sulle spalle!»
«Avrei voluto… vedere te» incalzò Jennes «Piuttosto… dove lo molliamo?»
«Là, su quel lettino.», ci indicò un letto mobile dietro di lui.
Lasciammo il bastardo con gran sollievo per le braccia di entrambi. Non le sentivo più.
«Adesso spiegatemi per filo e per segno tutto quello che è successo. Dove lo avete trovato, cosa faceva e come lo avete ucciso. Già non capita di frequente di uccidere uno di questi cosi e tornare indietro per raccontarlo, figurati portarselo dietro per farlo esaminare.»
Mi sedetti a terra ansimando seguito a ruota da Jennes «Facciamo… una bella cosa… tu ci dai… una bottiglia di acqua… potabile… a testa… e ti raccontiamo… tutto»
«Horosho, se volete ci sono delle sedie nella stanza qui vicino»
Rivolsi uno sguardo interrogativo a Jennes che scosse la testa rifiutando «Stiamo bene qui… per ora»
Grishenko fece spallucce «Vi porto dell’acqua. Riposatevi».
Tornò dopo un minuto con una sedia pieghevole e due grosse bottiglie d'acqua di plastica. Ce ne lanciò una a testa, aprì la sedia, si sedette sopra e rimase li a guardarci aspettando che cominciassimo a parlare su cosa fosse accaduto. Cercai di prendere la bottiglia al volo, ma le braccia si stavano rifiutando di collaborare. Fermai la sua corsa con la faccia, accompagnando il goffo gesto ad un gemito. Jennes non fu da meno. Con grande fatica prosciugammo quelle bottiglie d'acqua tiepida, interrompendo di tanto in tanto le sorsate per ansimare dell'aria e riposare le braccia tremanti.
Feci frullare in aria l'indice per far capire a Grishenko di darci altro tempo; lui annuì e si alzo andando ad esaminare il cadavere. Mentre continuavamo a boccheggiare cominciò a dare un occhiata ai fori di proiettile uno per uno. L'inarrestabile doveva aver ricevuto almeno una cinquantina di proiettili prima di crollare a terra e il dottore ce ne avrebbe messo di tempo per verificarli tutti a quel modo. D'un tratto strabuzzò gli occhi, portò le dita su un foro cercando di slargarlo, per poi distaccarsi di colpo e spingere il lettino dentro una sala. Grishenko svanì dietro la porta senza fiatare.
Chiusi gli occhi e lasciai cadere la testa all'indietro sulla parete cercando di recuperare un po' di forze per il futuro 'terzo grado' che ci avrebbe fatto il dottore dopo l'esame del corpo.
Probabilmente sarei stato anche capace di addormentarmi subito ‒ lo sforzo era stato enorme e l'assenza di adrenalina cominciava a sentirsi ‒ se non fosse stato per l'urlo terrificante che arrivò dalla sala nella quale si era infilato Grishenko. Jennes e io ci guardammo senza capire il perché. La risposta arrivo un istante dopo, quando la caratteristica voce dell'inarrestabile coprì quella del medico.
Cercammo di scattare in piedi, ma il corpo non reagiva agli stimoli. Riuscii a divincolarmi dalle spalliere dello zaino nello stesso istante nel quale Grishenko si precipitò fuori dalla porta. Non pensai nemmeno per un istante di prendere il kalashnikov ‒ sarebbe stato troppo pesante da maneggiare ‒ e pregai le braccia di raggiungere in velocità la CZ75 nella fondina cosciale. L'inarrestabile superò le porte con un balzo mentre stavo ancora armeggiando con la fondina, quando una scarica della mitraglietta Skorpion di Jennes aggiunse ulteriori venti fori a quelli che gli avevamo educatamente fornito alla bestia durante la sparatoria di un'ora fa alla Centrale Purificazione Acque.
L'inarrestabile cadde esanime per la seconda volta.

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